La meritocrazia invivibile
di Guglielmo Ragozzino (*)
Ricchi contro poveri, borghesi contro proletari o l’élite del merito contro gli immeritevoli? “L’avvento della meritocrazia”, un libro di Michael Young del 1958, presenta la distopia di un’invivibile società futura (la nostra?) governata dai più ‘intelligenti’, con la ribellione di tutti gli altri.
Si sa chi ha inventato (o scoperto) la democrazia, l’aristocrazia, la gerontocrazia, la burocrazia e così via? Naturalmente no. Invece si sa chi ha inventato la meritocrazia. A metà del secolo scorso: è stato il sociologo inglese Michael Young, anzi, per dirla tutta, un lord a vita, il Baron Young of Dartington. La meritocrazia è da quel momento nel nostro futuro. Young l’ha capito, ma non si limita a darle il nome; ce l’ha raccontata in anticipo. Molto preoccupato, deciso a fare il possibile per difenderci, ha elaborato la distopia che ne spiega tutti i rischi, descrive tutti i malanni che essa porta con sé.
Il merito – se possiamo usare questa ormai pericolosa parola – di aver ristudiato l’opera e riproposto la figura di Young è di Pierre Rimbert, importante redattore di Le Monde diplomatique, in un lungo contributo apparso nell’agosto scorso. (Pierre Rimbert, La bourgeoisie intellectuelle, une élite héréditaire, agosto 2020).
Young ha scritto nel 1958 un libro, “L’avvento della meritocrazia”, pubblicato in Italia nel 1962 dalle Edizioni di Comunità, ma è il completo titolo originale: The Rise of the Meritocracy, 1980-2033 An Essay on Education and Equality che spiega meglio le intenzioni futuribili dell’autore che si prende anche il gusto, con seriosa gravità, di citare se stesso come autore di un testo di trent’anni più tardi, naturalmente mai scritto. La meritocrazia che Young prevede e teme è la forma di rapporti sociali che vede installarsi in Inghilterra con l’inarrestabile definitivo passaggio dell’organizzazione sociale che cambia dalle “caste”, nate nell’agricoltura (proprietari contro proletari) a quella forma di convivenza divisa in “classi” tipiche della rivoluzione industriale e descrive il prevalere degli intelligenti, superdotati sul resto della società e dei mezzi utilizzati per ottenere il nuovo ordine della Nazione. Sì, perché l’obiettivo da praticare è quello di tenere l’Inghilterra – e di conseguenza ogni altro paese concorrente, più avanti del resto del mondo, per godere dei vantaggi del primato scientifico e produttivo, in una sfida continua.
Young scrive dagli anni Cinquanta la storia, avveniristica, del futuro cinquantennio -1980-2030, quello a cavallo del nuovo, atteso, millennio, quello che porterà ai nostri anni e al quindicennio successivo, quando nella nuova strage di Peterloo salterà tutto per aria e toccherà provarne un’altra. Ci siamo, quasi. Vediamo di capirci almeno qualcosa.
Abbiamo di fronte un mondo confuso. Abbiamo assistito alle successive (e collegate) sconfitte dell’aristocrazia, con i suoi fasti e i suoi egoismi, e poi quelle della classe operaia, sempre in cerca di uguaglianza e di lavoro più leggero e di tempo libero retribuito. La definitiva sconfitta di entrambe le classi, i ricchi del potere economico e i poveri della classe operaia, è causa ed effetto dell’emersione di una nuova classe, “meritocratica” che comprende i più intelligenti degli umani, con altissimi Q.I. (Quozienti d’intelligenza). Il compito dell’amministrazione inglese è di separare, il prima possibile, gli intelligenti e capaci dagli altri, gli stupidi, che sono una zavorra o un impedimento, o quanto meno una perdita di tempo per i più dotati. Affinché i capaci – cioè quelli dotati di intelligenza superiore – non perdano troppo tempo, occorre rifare le scuole – l’intero sistema scolastico – mettendolo a disposizione dei meritevoli. La scuola inglese di metà secolo è diventata pubblica e paritaria: s’insegnano a tutti le stesse cose, negli stessi tempi. La decadenza delle grammar school, dei college più rinomati e su su fino a Eton e perfino alle università di Cambridge e Oxford, è inarrestabile. Nel frattempo, negli altri Paesi: Usa, Russia, perfino in Cina, tutto va più in fretta. Le esportazioni corrono e l’Inghilterra rimane indietro. Occorre porvi riparo al più presto per non essere distanziati nella corsa generale.
Ma l’Inghilterra priva o quasi di beni di natura, non perderà terreno dando, come si conviene, merito al merito. Sarà la scuola a trasformare se stessa, trasformando di conseguenza, rapidamente, tutto l’assetto sociale. Tutto a favore dei giovani meritevoli.
Come si scoprono i giovani meritevoli? Li si seleziona in base al Q.I. che per opera di speciali sociologi è divenuto una strumento perfezionato. Si scopre ben presto che occorre scegliere i giovanissimi su cui puntare tutto, molto presto, ben prima dei 14 anni o 13 o 11 anni, quando, nella tradizione scolastica inglese, si effettua la scelta decisiva. Bisogna agire per tempo e perciò selezionare i meritevoli nella scuola primaria o ancor prima, ai nidi d’infanzia. Gli scienziati estremisti suggeriscono addirittura di selezionare prima della nascita, prima del concepimento il possibile portatore di altissimo Q.I.
Young era un giovane politico molto promettente prima di scrivere “L’avvento della meritocrazia”; una decina di anni prima, non ancora trentenne – era nato nel 1915 – toccò a lui il compito di scrivere il manifesto del partito laburista per le elezioni del 1945: “Let us face the future”, che contribuì alla vittoria di Clement Attlee contro i conservatori di Winston Churchill. In seguito Young lavora al governo, con prospettive brillanti di carriera politica; solo che il nostro eroe ha altre idee. Si può capire che anche i laburisti gli vanno stretti, non solo gli aristocratici alla Churchill; così torna agli studi all’università, lavora per il sindacato, elabora nuovi modelli educativi egualitari. Arriva il ’58, l’anno della “meritocrazia”. I fabiani rifiutano il libro che viene pubblicato, come osserva Rimbert, da un paio di amici che si occupano di libri d’arte. Il successo non manca. In dissenso con i laburisti, in dissenso con i comunisti, in dissenso – naturalmente – con i conservatori, Young continua a svolgere il proprio compito di organizzatore culturale, di “social visionary and innovator” come è scritto sulla sua pietra tombale, cercando di spiegare così quel che ha cercato di fare, quel che ha cercato di trovare. La sua distopia non è un romanzo, come le altre più famose, ma è il resoconto dei pericoli connessi all’affermazione della nuova classe degli scienziati intelligenti a discapito di tutti gli altri. Diversamente da Il tallone di ferro di Jack London, Il mondo nuovo di Aldous Huxley, i due libri di George Orwell, La fattoria degli animali e 1984, Young non ha tempo e neppure voglia di scrivere un romanzo tradizionale, non si preoccupa di una trama; è la cultura stessa che vuole metter in ginocchio, il modo abituale di studiare e di insegnare, l’incompetenza usata per immagazzinare la scienza nelle menti (e senza perdere tempo). Egli ha fretta, prevede e descrive per noi lettori i pericoli delle nuove forme di scuole e apprendimenti. Vuole che si sappia subito dove andremo a finire.
Vive a lungo, muore nel 2002. Mette al mondo sei figli con tre mogli. L’ultima figlia, Sophie Ann Young, nasce quando egli ha più di 80 anni; è come un ultimo sberleffo al pensiero meritocratico che prescriveva di accantonare gli anziani, in modo che non facessere perdere tempo ai futuri meritevoli. Qualche anno prima, nel 1978, accetta di diventare lord e si sceglie un nome che richiama la sua povera, affettuosa, tradizionale scuola media, Dartington. A chi gli rimprovera di essersi arreso all’aristocrazia replica che i soldi connessi alla carica gli facevano comodo. Aveva altro da fare.
PS – Come si è detto, Young rifugge da elementi narrativi. L’unico spunto è affidato al redattore dell’opera che informa che la parte finale è forse manchevole perché l’autore dello studio è caduto negli scontri di Peterloo nel 2035. Va aggiunto che lo storico e sociologo che svolge la ricerca raccontata da Young è molto stupito della piega degli avvenimenti e così ha molte difficoltà a raccontare la contestazione che cresce da parte di tutti coloro che si sentono esclusi dalla meritocrazia: sono tutti etichettati come populisti. Sembra che a muoversi per le prime siano state le femministe, che si sono sentite escluse dal nuovo modello e abbiano rifiutato di trasformare i sentimenti in scienza; si siano così cambiate di abito, si siano dipinte le labbra, abbiano rinunciato ai vantaggi del merito che toccava anche a loro e si siano associate ai tecnici – il nuovo nome dei lavoratori manuali. Ma questa è davvero un’altra storia. Il sociologo inventato da Young è caduto a Peterloo e non può più raccontarla.
(*) da sbilanciamoci.info. La vignetta – scelta dalla “bottega” – è di Altan.