La metamorfosi di Lola
recensione a «Atti casuali di violenza insensata» di Jack Womack
La dodicenne Lo, cioè Lola Hart, inizia a scrivere il suo diario il 15 febbraio. Non conosciamo l’anno ma capiamo quasi subito che siamo negli Stati Uniti di un futuro relativamente vicino. L’ultima data sul diario è il 10 luglio. Pochi mesi per una educazione alla violenza o forse a una estrema, ambigua autodifesa. Quasi inevitabile per come ce la presenta Jack Womack nel romanzo «Atti casuali di violenza insensata» pubblicato nel 1996 da Feltrinelli e ora riedito da Meridiano Zero (la traduzione è di Grazia Gatti; 300 pagine per 16 euri).
Non ha una brutta famiglia Lo. Una sorellina più piccola è rompiscatole ma neanche troppo; padre presente e affettuoso; madre (che abusa di Prozac, Xanax e simili ma non capiamo da quanto) più insicura ma certo non cattiva. Basta poco però a trasformare il quadro: il padre perde il lavoro, bisogna cambiare casa, andare in un quartiere più “proletario”. Intanto si osservano squarci di una guerra interna – civile, razziale, sociale, schizofrenica o cosa? – che la tv nega e nessuno sembra aver voglia di raccontare o spiegare.
All’inizio la New York del romanzo non sembra troppo diversa dall’oggi. Scuole pubbliche (fasulle) e private. Giochi, cattiverie, amicizie e prime inquietudini sessuali fra adolescenti. Campi di recupero nazistoidi per ragazze/i troppo disobbedienti. Già accade: come il crescere delle bande giovanili oppure l’uso di tecniche spietate contro i debitori o chi non è in regola con l’affitto Ma sullo sfondo si intravede un “di più” di violenza che crescerà: un primo presidente ucciso, poi un secondo; duemila morti a Los Angeles per “incidenti” nelle strade; un’operazione militare – sarcasticamente chiamata Domestic Storm – per riportare l’ordine nelle città. Si commenta che «è Serbia dappertutto» oppure che si vive in una «democrazia d’occupazione». D’altro canto «ci si abitua in fretta a tutto». Verso la fine Lo scrive nel diario «sono storie che loro non racconteranno mai» e ha ragione: loro – quelli dalla parte del potere – da sempre cancellano le storie delle vittime. I riflettori sono per i vip e il buio per chi è nip… not important person.
Compromesse le relazioni nella scuola privata sembrerebbe che Lo trovi subito una nuova amica nel quartiere: Isabel detta Iz («non parlava come una nera»). Ma intanto i genitori di Lo sprofondano nella crisi e la ragazzina scopre che se vivere in quella brutta casa è dura a due passi da lì c’è un inferno.
Anche stavolta mi attengo alla regola base del recensore intrigofilo – accennare la trama senza svelar troppo – e dunque mi fermo qui.
Un libro ben scritto ma duro. Secondo il suo autore «è il più spaventoso ma anche il più positivo» fra i suoi romanzi. Non sono in grado di confermare o smentire perché nulla di Womack è stato tradotto, a parte «Futuro zero» (che non ho letto). Contesto invece l’etichetta cyberpunk che gli è stata appiccicata. Semmai fantasociologia del dopo-domani mattina: ovvero se questa è la linea di tendenza, ecco cosa accade alle persone. In un certo senso è l’altra faccia de «Il signore delle mosche» di William Golding: se lì un evento eccezionale in poco tempo riportava i ragazzi a uno stato selvaggio qui è il minimo sfilacciarsi delle abitudini – causato da un lento collasso economico (familiare ma anche generale) – che porta Lola in un mondo imprevisto dove «solo violenza aiuta dove violenza regna» per dirla con il vecchio Brecht. E una battuta brechtiana scappa anche al padre di Lo quando, di fronte alle ultime notizie, spiega che «il governo è pronto a sciogliere il popolo».
Ai meno giovani Womack fa venire in mente la rivoluzione messicana? In effetti un quasi omonimo (John) scrisse una bella biografia di Zapata che fu tradotta anche in italiano. Tutta un’altra storia.