La Nato vince una guerra senza sparare un colpo

La UE si arrende senza condizioni (con tanta allegria)

articoli, video, disegni di CALP (Collettivo Autonomo Lavoratori Portuali di Genova), Ennio Remondino, Giacomo Gabellini, Stefano Orsi, Giuseppe Masala, Gianandrea Gaiani, Patrick Boylan, Mirko Campochiari, Mirko Mussetti, Valentina Neri, Thierry Meyssan, Davide Malacaria, Isaac Asimov, Nicolai Lilin, Gilbert Doctorow, Emmanuel Todd, Nouriel Roubini, Aurélien, Alessandra Ciattini, Guy Somerset, Carlos Latuff, Salvador Dalì

La Nato sempre più americana arruola ufficialmente l’Unione europea – Ennio Remondino

La foto di un allegro funerale alla ‘Difesa europea’: «Charles Michel presidente del Consiglio Ue, Jens Stoltenberg, Nato norvegese ma tutto americano, e Ursula von der Leyen governo europeo chiamato Commissione, dopo la firma dell’accordo di collaborazione tra Unione europea e Nato». Pierre Haski, France Inter, solitamente molto severo, questa volta su Internazionale si modera e segnala che «Il nuovo dialogo con la Nato rallenta l’autonomia dell’Ue».
Autonomia quando mai? E da adesso in poi, quanta ne resta della già poca che in maggior parte si fingeva che ci fosse?

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Paradosso Europa tutta Nato per colpa di Putin

«È sicuramente uno dei grandi paradossi creati dalla guerra voluta da Vladimir Putin: il conflitto in Ucraina ha prodotto un riavvicinamento tra l’Unione europea e la Nato, ovvero l’esatto opposto di quanto sperava il presidente russo e qualcosa che la Francia non auspicava di certo», annota e lamenta Haski. «I leader delle due organizzazioni, le cui sedi a Bruxelles sono distanti pochi chilometri ma che per molto tempo si sono tenute a distanza reciproca, si sono incontrati il 10 gennaio. Da un lato Jens Stoltenberg, segretario generale della Nato, dall’altro Ursula von der Leyen e Charles Michel, a rappresentare l’Unione europea. I tre hanno firmato una dichiarazione che promette di portare la cooperazione “a un livello successivo”».

Livello successivo quale? Un generale al vertice Ue?

Quasi una di quelle storiacce di passione e sesso clandestine che segnano le coppie legali di mezzo mondo. La Difesa, già definizione ipocrita, che vuol dire, attrezzarsi a picchiare prima e più duramente dell’avversario, questo l’irrisolto ‘senso del peccato’ sino a ieri in casa Ue. «Per buona parte della sua esistenza l’Ue è rimasta in disparte in tutte le questioni che riguardavano la difesa, anche perché una parte dei paesi che la compongono aveva scelto una posizione neutrale, mente gli altri agivano all’interno della Nato». Quel vario a diverso gusto del peccato di cui maliziosamente parlavamo noi, tra Paesi libertini ed altri dichiaratamente bigotti. Anche se quasi tutti peccatori. «La Francia (libertina ndr) è rimasta a lungo all’esterno delle strutture militari della Nato, pur facendo parte dell’alleanza. Questa complessità rendeva preferibile la scelta di escludere le tematiche della difesa da una Unione che aveva già i suoi bei problemi a realizzare l’integrazione economica».

Tra matrimonio e funerale

«L’Ucraina non ha portato esattamente una rivoluzione –ammette Pierre Haski-. I 27, infatti, avevano già cominciato a cambiare orientamento prima della guerra di Putin, soprattutto su iniziativa della Francia. Nel discorso pronunciato alla Sorbona nel 2017, l’anno della sua elezione, Emmanuel Macron aveva invocato una “autonomia strategica” europea».

‘Autonomia strategica’ ma da chi?

«È servito un po’ di tempo per avanzare, ma già nel 2019 Von der Leyen aveva descritto la Commissione europea di cui è presidente come un’entità “geopolitica”. Considerando che la definizione ha preceduto di tre anni la guerra in Ucraina possiamo dire che Von der Leyen ci avesse visto lungo. Da allora i 27 hanno fatto alcuni piccoli passi, come la creazione di una linea budgetaria dedicata a programmi di armamento comuni».

Le armi dell’Unione all’Ucraina

«Quando è scoppiata la guerra, i paesi dell’Unione hanno compiuto il gesto senza precedenti di consegnare armi all’Ucraina. Si è trattato di una piccola rivoluzione culturale, anche se bisogna ricordare che la maggior parte degli aiuti militari è arrivata su base bilaterale, con il coordinamento della Nato e sotto l’egida degli Stati Uniti». Coordinamento e comando reale, da sempre il nodo chiave dell’esistenza stessa dell’Alleanza atlantica.

Quale autonomia strategica Ue?

«Qual è la situazione attuale dell’autonomia strategica europea? Questa è la domanda cruciale, perché la guerra in Ucraina e il ruolo centrale ricoperto dagli Stati Uniti hanno fatto il gioco della Nato, al momento l’unica proposta affidabile sul continente».

Le diverse Nato in casa Ue

«I paesi del “fronte est” come gli stati baltici o la Polonia, preoccupati dalla guerra condotta a pochi chilometri dai loro confini da un paese che conoscono fin troppo bene (la Russia), vogliono la protezione della Nato e soprattutto di Washington. Due paesi neutrali, la Finlandia e la Svezia, hanno addirittura deciso di entrare nella Nato, lasciando in posizione neutrale solo quattro stati sui 27 dell’Unione (Austria, Cipro, Irlanda e Malta)». In realtà, a voler guardare bene, le frazioni possibili, comprese quelle più sfumate sono molte altre, ma è disfattismo inutile insistere. L’essenziale è stato detto.

La Francia da De Gaulle a Macron

Pierre Haski, noto e abile giornalista francese, non si nasconde dietro il dito e di Francia ci parla, a prendere atto dell’ultima resa europea sul fronte difesa, resa alla Nato americana. «La Francia ha scelto un atteggiamento realista accettando il fatto che la brutalità della guerra renda fuori luogo lo slogan dell’autonomia. Parigi ricopre un ruolo nella Nato soprattutto con la sua presenza militare in Romania e negli stati baltici, nell’attesa di giorni migliori. La difesa europea, fino a quando esiterà una minaccia alle frontiere, sarà garantita dalla Nato, e negarlo significherebbe coltivare un’illusione. Questo è il senso del testo firmato il 10 gennaio a Bruxelles».

Prossimo Commissario Ue alla difesa?

Sempre più soli sul fronte critico nei confronti della gestione di questa drammatica crisi, non solo contro la folle aggressione di Putin -troppo facile-, ma anche dubbiosi su certi comportamenti politici precedenti di parte Nato, ci consoliamo nella ironia, in attesa di un dopoguerra, quando mai sarà, che prevediamo altrettanto sofferto e lacerante della guerra stessa.

Per Jens Stoltenberg, segretario generale Nato scaduto, direttamente l’incarico di ‘Commissario Ue alla Difesa’?

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Dai portuali di Genova un appello alla mobilitazione contro le guerre

 

Appello del Collettivo Autonomo Lavoratori Portuali di Genova  per un’assemblea pubblica e una mobilitazione contro le guerre e per la pace tra i popoli e tra gli oppressi

 

Negli anni scorsi, nel porto di Genova, una mobilitazione partita dai lavoratori del porto ha impedito l’imbarco di materiale bellico diretto in Arabia Saudita e destinato alla guerra in Yemen.

Analoghe manifestazioni a sostegno del blocco del traffico di armi si sono tenute in altri porti europei contro le navi della compagnia saudita Bahri, che rifornisce d’armi e mezzi militari tutto il Medio Oriente. Ma anche mobilitazioni contro produttori di armi, contro la costruzioni di nuove basi militari, contro treni e aerei che oggi riforniscono conflitti accesi per puro interesse economico e geopolitico.

Sono conflitti sanguinosi che mietono vittime giornalmente, devastano territori, alimentano la crisi climatica e ambientale, spingono migliaia di persone ad abbandonare i loro paesi per emigrare.

Oggi siamo a un anno dall’inizio della guerra tra Russia e NATO per procura in Ucraina, guerra che non accenna a trovare una soluzione.

Uno scontro iniziato nel 2014 da parte dell’Ucraina verso le zone del Donbass, che ha provocato decine di migliaia di vittime di cui nessuno parla, sfociando in un conflitto allargato nel febbraio del 2022 e che oggi rischia di arrivare ad un escalation nucleare.

Il conflitto avviene nel cuore dell’Europa, un conflitto in cui l’Italia è attivamente coinvolta con invio di armi e non solo. Una guerra che ha delle cause che vanno al di là delle cose che vengono propagandate.

Una guerra che ci racconta come il capitalismo a guida dell’Occidente e degli USA in particolare sia in profonda crisi che si trasforma in aggressioni militari sempre più aperte.

In cui non si esita di fronte a nulla, sacrificando i popoli coinvolti nascondendo però i veri obiettivi, inventando scontri di civiltà laddove esiste innanzitutto uno scontro per l’egemonia economica, per la supremazia mondiale sullo sfruttamento dell’intero pianeta.

Il complesso militare industriale è tra i molti responsabili di questa escalation, quello almeno che ci guadagna di più, agendo in combutta con governi sempre pronti ad approvare politiche di saccheggio sulle risorse naturali in varie zone del mondo.

Governi che nell’Unione Europea agiscono come burattini proni ai diktat USA nell’inviare armi in Ucraina per far continuare il conflitto, armi sempre più potenti (ultima la richiesta dello scudo antimissile).

In Italia il Governo Meloni continua la politica “filoatlantista” del Governo Draghi dimostrando che non esiste nessuna possibilità né volontà di disubbidire a una politica sanguinosa e fallimentare anche per lo stesso futuro della UE.

I lavoratori e gli sfruttati di ogni paese non hanno nulla da guadagnare. La guerra non è soltanto un enorme macello per i popoli ma porta con se anche devastazione sociale, tagli di risorse per il lavoro e per il welfare per sostenere le spese militari.

Porta ad aumenti delle tariffe che si scaricano sulle popolazioni mentre le speculazioni sui prezzi fanno lievitare i profitti di pochi soggetti economici. Risorse pubbliche a favore della guerra, tolte a quelle che sono le richieste dei lavoratori come il riconoscimento dei lavori usuranti o gli aumenti salariali in base anche all’aumento dell’inflazione. O come le risorse negate al “reddito di cittadinanza” e la “disoccupazione”.

Soldi che vengono meno per la pubblica istruzione o la pubblica sanità. Fermarli però è possibile cominciando dai nostri territori. Boicottando la guerra cominciando da casa nostra.

Il 28 gennaio alle ore 18:30 al CAP di Genova in Via Albertazzi 3r, come lavoratori del Porto, chiediamo a tutte le realtà di partecipare all’assemblea pubblica per costruire assieme una giornata di mobilitazione a Genova per il 25 febbraio.

Chiediamo a tutti i lavoratori e lavoratrici, ai cittadini e alle cittadine, ai sindacati alle organizzazioni sociali, collettivi, centri sociali, alle forze politiche di sostenere questa giornata; una occasione di lotta contro la guerra e per la pace tra i popoli e tra gli oppressi.

Invitiamo tutti e tutte a raccogliere quest’appello.

Guerra alla guerra! Pace fra i popoli!

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Gli ucraini in difficoltà in Donbass, i vertici militari russi alla guida delle operazioni – Gianandrea Gaiani

…Anche a Bakhmut le forze russe sembrano puntare su una manovra a tenaglia per chiudere a ovest l’accerchiamento delle truppe di Kiev rimaste all’interno dell’area urbana devastata da mesi di combattimenti e per tagliare loro la via della ritirata verso Slovyansk.

Come è emerso anche dai reportage di alcune testate statunitensi, le truppe di Kiev combattono da mesi a Donetsk in condizioni di svantaggio tattico e avrebbero dovuto optare per una ritirata che avrebbe consentito loro di trincerarsi su linee più favorevoli e risparmiare le spaventose perdite subite in questi mesi.

Il valore simbolico e politico di Soledar e Bakhmut e soprattutto la decisione del presidente Volodymyr Zelensky di non cedere un solo metro di territorio ha costretto l’esercito ucraino ad alimentare il fronte in questo settore con un continuo afflusso di brigate sottratte ad altri fronti quali Kherson e Zaporizhzhia. Le stime riferiscono di 12/15 mila caduti da agosto a Bakhmut.

Nei giorni scorsi erano circolate voci circa le reiterate pressioni dei vertici militari ucraini, in testa il capo di stato maggiore, generale Valerii Zaluzhnyi, per indurre Zelensky ad autorizzare il ritiro da Soledar e Bakhmut.

 

Sforzi vani che ricordano, con un parallelo storico a battaglie combattute in queste stesse regioni, quelli attuati dai vertici della Wermacht per indurre Adolf Hitler ad autorizzare il ritiro delle truppe da diversi settori del fronte orientale su posizioni meglio difendibili.

La difesa a oltranza di territori la cui difesa comporta prezzi eccessivi da pagare non ha alcun senso in termini militari anche se può averlo in termini simbolici e politici.

Lo sanno bene anche i russi che con le ritirate dei mesi scorsi hanno perso il controllo della regione di Karkhiv e delle aree di Kherson a nord del Dnepr ottenendo però il vantaggio di accorciare il fronte compensando la superiorità numerica degli ucraini e di consolidare le linee difensive. Certo il prezzo da pagare è stato soprattutto politico e di prestigio, con un forte dibattito scoppiato in Russia che ha messo sotto accusa i vertici militari.

Gli ucraini si sono fatti trascinare nella battaglia “alle condizioni della Russia” mentre i comandi militari avrebbero voluto ritirarsi su una nuova linea difensiva sulle alture a ovest di Bakhmut.

 

Un militare ucraino della 46a brigata Aeromobile che combatte nel settore di Soledar ha detto anonimamente aveva riferito nei giorni scorsi alla CNN che la situazione nella città orientale ucraina è “critica” e il bilancio delle vittime è ora così alto che “nessuno conta i morti”. “Stiamo tenendo fino all’ultimo”, ha detto il soldato, descrivendo un campo di battaglia dinamico, in cui gli edifici cambiano di mano ogni giorno e le unità non possono tenere traccia del numero crescente di morti. “Nessuno ti dirà quanti morti e feriti ci sono. Perché nessuno lo sa per certo” ha detto.

Secondo il militare, alla fine i leader militari ucraini abbandoneranno la lotta per Soledar. “Tutti capiscono che la città sarà abbandonata. Voglio solo capire qual è il motivo per continuare a combattere casa per casa. Perché morire, se la lasceremo comunque oggi o domani?”…

 

…Come Analisi Difesa ha in più occasioni sottolineato, il fatto stesso che la Difesa britannica pubblichi ogni giorno sui social il bollettino dell’intelligence, ne evidenzia chiaramente gli obiettivi propagandistici e di Info Ops, tesi quindi a offrire un’interpretazione del conflitto in Ucraino che influenzi direttamente l’opinione pubblica e i suoi leader.

Certo è evidente che il coinvolgimento di tutti i vertici militari nel comando dell’operazione speciale indica chiaramente la volontà del Cremlino di impedire in futuro scarichi di responsabilità tra i diversi comandanti…

…L’innalzamento del livello di leadership va abbinato soprattutto all’ampliamento delle operazioni contro un nemico che a Mosca non viene più individuato solo nei “nazisti” ucraini ma nella stessa NATO, alla necessità di una maggiore integrazione interforze, di una più efficace funzione di comando e controllo, di una puntuale mobilitazione dell’industria della Difesa anche per garantire, come richiesto espressamente da Putin, un afflusso costante di equipaggiamento moderno e adeguato alle forze mobilitate (riservisti e volontari) che stanno affluendo verso l’area delle operazioni.

Questo non è stato l’ennesimo rimpasto alla guida delle operazioni ma il più alto coinvolgimento di tutti i vertici militari nella gestione del conflitto: un’evoluzione il cui significato apparirà probabilmente più chiaro quando sarò più evidente il livello di ambizione delle prossime iniziative militari russe.

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Anche negli USA si chiede la pace in Ucraina e il ritiro della NATO – Patrick Boylan

Ma com’è possibile riportare la pace in Ucraina dicendo NO alla NATO? Che c’entra la NATO?

Ce lo spiegano gli Statunitensi per la Pace e la Giustizia di Roma, in un loro documento diffuso in occasione della manifestazione dei fratelli newyorkesi. Eccone un brano esteso.

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Il conflitto in Ucraina non nasce dal tanto sbandierato “desiderio di impero” del presidente russo, Vladimir Putin, bensì dal molto meno sbandierato “desiderio di impero” della NATO… e di Wall Street. Si tratta di un desiderio di dominare e di sfruttare altri paesi, lo stesso impulso che ha portato alle invasioni (rivelatesi poi ingiustificate) dell’Afghanistan, dell’Iraq, della Libia, della Siria e poi, nel 2014, della stessa Ucraina quando, ad assaltare Kiev e ad imporre un leader voluto da Washington, erano le milizie ucraine filo naziste addestrate nelle caserme NATO in Polonia.

Oggi – come nel lontano 2014 – si vede a malapena la mano della NATO dietro l’insorgere dei tragici eventi in Ucraina. Ma c’è. E riconoscere questo fatto è importante perché ci consente, a noi pacifisti occidentali, di poter agire da protagonisti per riportare la pace.

Prima, però, dobbiamo renderci pienamente conto in che maniera la NATO ha agito e agisce.

Secondo la Narrazione Ufficiale, appena ricordata, il conflitto in Ucraina sarebbe dovuto esclusivamente al sogno del sig. Putin di diventare un nuovo Hitler e di conquistare il mondo. Solo che, sogni a parte, Putin sa benissimo – come i fatti stanno a dimostrare – che la Russia è sì una potenza nucleare, ma non ha le forze per condurre una guerra planetaria e nemmeno una guerra su scala europea; addirittura, ha molta difficoltà a fare una guerra nella sola regione est dell’Ucraina, il Donbass. Quindi, a meno di non essere completamente pazzo, il sig. Putin non può aver attaccato l’Ucraina, come ha fatto, convinto di essersi lanciato alla conquista del mondo, un pezzo alla volta, come recita la propaganda del Pentagono ripresa dai mass media mainstream.

Putin ha attaccato l’Ucraina perché la NATO lo ha provocato a farlo, annunciando (poi smentendo, poi annunciando di nuovo, poi smentendo, poi riannunciando, in una calcolata guerra dei nervi) il suo intento di espandersi fino ai confini russo-ucraini, costruendo lungo quei confini diversi siti per missili nucleari che i russi non potrebbero abbattere, essendo il punto di lancio così vicino a Mosca.

In altre parole, la Russia ha attaccato perché la NATO ha tirato fuori un coltello (l’Ucraina, appunto) e glielo sta puntando alla gola.

Come bisogna reagire a un bullo (in questo caso, la NATO) che tira fuori un coltello e te lo punta alla gola? Devi supplicarlo di risparmiarti? Devi gridare “aiuto”? Per il sig. Putin, né l’uno né l’altro. Egli ha scelto di usare la violenza contro la minaccia di violenza, attaccando per prima: un crimine secondo il diritto internazionale e un tragico errore che sta costando caro alla Russia.

Inoltre, quella scelta ha dimostrato quanto è sbagliato rispondere alla violenza con la violenza.

Ma dobbiamo concludere che essa dimostra anche che il sig. Putin sia davvero pazzo o, come minimo, un bugiardo? In fondo, egli afferma di aver dovuto fare una guerra preventiva contro un pericolo che non è nemmeno imminente.

Nel fare così, tuttavia, egli può vantare degli illustri predecessori. Gli USA, ad esempio, l’hanno fatto più volte. Nel 2003, il Presidente Bush invase l’Iraq per impedirlo di usare delle ipotetiche armi di distruzione di massa mai trovate, occupando poi illegalmente il paese per altri dieci anni, senza subire sanzioni o condanne da parte dell’Unione Europea. E nel 1962, il Presidente Kennedy rispose al presunto intento dell’allora URSS di installare missili nucleari a Cuba, a meno di 90 km dagli Stati Uniti, apprestandosi a dichiarare la Terza Guerra Mondiale! Malgrado il fatto che egli sapesse benissimo che questa sua decisione, se messa in pratica, sarebbe stata giudicata dalla Storia un errore criminale, in quanto gli ipotetici missili sovietici non rappresentavano ancora un pericolo imminente contro gli USA. Kennedy si discolpò presso l’opinione pubblica affermando che nessun paese può accettare nemmeno i preparativi per l’installazione di missili nucleari sui propri confini.

Fortunatamente, nel 1962, l’URSS fece marcia indietro e rinunciò all’installazione dei suoi missili a Cuba (anche perché aveva ottenuto, come contropartita in trattative segrete, lo smantellamento di una base missilistica USA in Turchia). Così fu scongiurata una conflagrazione nucleare.

Oggi, però, la NATO si rifiuta di fare marcia indietro.

Anzi, sta suonando i tamburi di guerra, ufficialmente per aiutare l’Ucraina a riconquistare il Donbass e la Crimea in nome della sua sovranità ma in realtà per poter poi installare le sue basi missilistiche proprio lì.

In altre parole, Wall Street e la NATO (braccia armata dell’alta finanza USA) hanno ogni intenzione di tenere il coltello puntato alla gola della Russia, installando missili balistici sui confini russo-ucraini. In tal modo potranno costringere la Russia a capitolare su tutta la linea – pena l’annientamento. Ad esempio, potranno imporre alla Russia un Presidente pro USA, disposto a cedere alle multinazionali statunitensi e in particolare quelle britanniche, a prezzi stracciati, le vaste risorse energetiche russe, come gli USA fece fare ad Eltsin negli anni ‘90.

Ora, riflettiamoci un istante.

Cosa faremmo NOI se ci trovassimo in una situazione del genere? Cioè, se fossimo la Russia.

(1.) Non potremmo accettare un coltello alla gola.

(2.) Ma non potremmo nemmeno reagire con un attacco, perché ciò peggiorerebbe le cose.

Esiste forse una terza via?

È quello che dirà la manifestazione odierna a New York. Esiste sì una terza via, diranno ad esempio le donne dell’ONG Code Pink, co-organizzatrici. E’ una via, però, che non esige dalla Russia, come invece fanno Washington e Kiev, il ritiro unilaterale russo dall’Ucraina per lasciar entrare la NATO, in quanto ciò equivarrebbe a chiedere alla Russia di suicidarsi.

Perciò la risposta è proprio quella opposta: esigere dalla NATO di ritirarsi. Perché può e deve farlo.

Infatti, la NATO non ha nessun bisogno di installare i suoi missili sui confini russo-ucraini, dove non potrebbero essere abbattuti. Quei missili rappresentano già un deterrente sufficiente collocati laddove si trovano ora.

Inoltre, sappiamo (dall’offerta di negoziati che la Russia ha fatto PRIMA dell’invasione, nel dicembre 2021) che Putin è più che disposto a fare concessioni. Quindi la NATO potrebbe verosimilmente ottenere una contropartita accettabile (come Krusciov da Kennedy nel 1962) se solamente accettasse, in via definitiva mediante trattato, di non espandersi fino all’Ucraina.

“Ma l’Ucraina non è libera di entrare nella NATO, se vuole?”, si chiede spesso. La risposta è negativa. “La mia libertà finisce dove comincia la vostra” disse Martin Luther King. Non abbiamo la libertà di stoccare bombe nel nostro giardino se ciò mette in pericolo i nostri vicini. Per lo stesso motivo, il Messico non è libero di aderire alla CSTO (la versione russa della NATO) e di lasciar installare missili russi lungo i suoi confini con gli USA. O l’Ucraina di aderire alla NATO. La libertà non è incondizionata, è sempre vincolata dal rispetto per l’incolumità degli altri.

Ciò significa che, nel pretendere che la NATO faccia marcia indietro, non stiamo chiedendole di arrendersi a un bullo. La NATO non avrebbe dovuto fare la sua provocazione per cominciare. Perciò fare marcia indietro significa semplicemente “resettare” le cose al punto di partenza.

In conclusione, dunque, esiste sì una possibilità di pace in Ucraina e ce l’abbiamo nelle nostre mani. Perché solo NOI possiamo fermare l’espansione della NATO all’est.

La Russia non riesce a farlo, lo si vede. La Cina si rifiuta di schierarsi. L’Europa o guarda dall’altra parte (Austria, Irlanda, ecc.) o appoggia la NATO fornendo armi per alimentare la guerra in Ucraina (Italia, Francia, ecc.). L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite non ha il potere di fermare l’espansione della NATO e il Consiglio di Sicurezza, che avrebbe il potere, non lo farà mai perché tra i membri permanenti, con diritto di veto, ci sono paesi appartenenti all’Alleanza Atlantica.

Ciò significa che spetta ai popoli degli stessi paesi della NATO premere sui propri governi per fermare la sua espansione all’est. Questa è l’UNICA strada per ripristinare la pace.

Ed è l’unica maniera per aiutare davvero i poveri ucraini. Infatti, “aiutarli” non significa inviare loro più armi, checché se ne dica. Non dobbiamo ascoltare quegli ucraini che ripetono la linea del Pentagono chiedendo “più armi” per farsi poi uccidere e consentire così alla NATO di sfinire la Russia in una lunghissima guerra di attrizione. Dovremmo ascoltare, invece, gli ALTRI ucraini, quelli che il governo “democratico” non ha ancora ucciso o incarcerato per aver chiesto la pace. Quelli che vogliono che l’Ucraina resti fuori dalla NATO, per garantire quella pace. (I nostri media non lo dicono, ma l’Ucraina ha ucciso o fatto “sparire” più di 80 blogger e giornalisti, considerati traditori perché avevano osato chiedere la pace e la neutralità.)

Dovremmo ascoltare loro, i coraggiosi ucraini non ancora “fatti scomparire”, invece dei tirapiedi del Pentagono che vediamo sempre in TV.

Perciò lo slogan della manifestazione di oggi a New York è una proclama che tutti noi possiamo sottoscrivere, insieme a tutti gli ucraini amanti della pace. E cioè:

ESPANSIONE DELLA NATO — NO!
PACE IN UCRAINA — SÌ!

L’ONU non può fermare l’espansione della NATO ad est? Tocca a noi farlo, per riportare la pace.

People have the power!

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Sempre più jihadisti lasciano la Siria per l’Ucraina

Mentre la prospettiva di un riavvicinamento tra Ankara e Damasco si fa più imminente, gli elementi più estremi dell’opposizione armata siriana lo hanno avvertito come un tradimento, accelerando una tendenza che, nell’ultimo anno, ha visto molti jihadisti trasferirsi in Ucraina.

Oggi, il quotidiano libanese Al-Akhbar ha riferito che dopo diversi mesi, il noto estremista ceceno e leader della milizia “Soldati del Caucaso”, Abdel Hakim al-Shishani, è ricomparso in Ucraina come “partigiano di Kiev” facente parte della cosiddetta ‘ legione internazionale ‘, istituita per attrarre e reclutare combattenti stranieri contro la Russia.

Secondo quanto si legge nell’articolo, recentemente ci sono state notizie di un aumento del numero di combattenti stranieri che lasciano la Siria per dirigersi verso il “nuovo campo di battaglia”, rafforzato dalla “mancanza di bisogno di ‘jihadisti’ sul suolo siriano da parte della Turchia” e dal suo “deciso interesse … per sbarazzarsi di loro. Ciò avviene dopo i recenti colloqui volti a riconciliare Damasco e Ankara, per i quali l’opposizione ha già espresso un forte disprezzo.

Inoltre, si evidenzia anche un ruolo di primo piano svolto dall’intelligence turca nel facilitare questo trasferimento di estremisti attraverso il paese, “almeno durante i primi mesi della guerra russo-ucraina. Un  modo con il quale Ankara si può sbarazzare dei miliziani dalla Siria e spianare la strada a una soluzione della guerra siriana (ammesso che all’epoca la riconciliazione fosse seria, e lo sia ancora). Secondo Al-Akhbar, lo stesso Shishani è passato attraverso Turchia diretto alla “nuova terra del jihad”, proprio come aveva inizialmente intrapreso per unirsi alla guerra in Siria.

I funzionari siriani hanno anche ricordato il ruolo di Washington nel facilitare questi trasferimenti in Ucraina, poiché gli Stati Uniti sono stati coinvolti nel trasferimento di estremisti tra Siria, Iraq, Libia e Afghanistan…

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Finanza armata. Chi sostiene la produzione di testate nucleari – Valentina Neri

Dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, nel dibattito internazionale è riapparso un argomento che speravamo di avere archiviato per sempre: la minaccia nucleare. Non accadeva dalla crisi dei missili di Cuba del 1962, esattamente sessant’anni prima. Se le armi nucleari continuano a esistere è perché nove Stati le posseggono ancora. Perché decine di imprese private producono le componenti necessarie per i loro arsenali. E perché centinaia di istituti finanziari investono in tali aziende.

A ricostruire i flussi di capitali che girano attorno a questo business è la campagna Don’t Bank on the Bomb mediante il report “Risky Returns: Nuclear weapon producer and their financiers” (Ritorni pericolosi: i produttori di armi nucleari e i loro finanziatori), redatto dalla Campagna internazionale per l’abolizione delle armi nucleari (ICAN) e dall’organizzazione non governativa Pax.

Quanti soldi vanno all’industria delle armi nucleari

Il report si focalizza su 24 società “fortemente coinvolte” nella produzione di armi nucleari. La prima della lista è la Northrop Grumman, con i suoi 24,3 miliardi di dollari di contratti in essere, senza contare il consorzio e le joint venture. Spiccano per il loro giro d’affari miliardario anche Aerojet RocketdyneBae SystemsBoeingLockheed Martin e Raytheon Technologies; tutte statunitensi ad eccezione di Bae Systems, inglese ma comunque operativa Oltreoceano. Nella lista c’è anche un nome che noi italiani conosciamo bene, quello di Leonardo. Sommando i contratti in essere di queste aziende, si arriva a un totale di 280 miliardi di dollari spalmati nei prossimi decenni.

 

Sono 306, per la precisione, le banche e società finanziarie che in un modo o nell’altro sono legate a queste 24 aziende. Tra prestiti e finanziamenti, tra gennaio del 2020 e luglio del 2022 le hanno sostenute con oltre 746 miliardi di dollari. Esatto, miliardi. L’aumento, rispetto al precedente report pubblicato nel 2021, è pari a 61,5 miliardi. Tra il 2021 e il 2022 si è assistito a un calo di obbligazioni e prestiti, accompagnato però da un incremento delle partecipazioni azionarie.

È vero che le 24 aziende sono colossi che contano svariati rami di attività, non soltanto quelli legati alle testate nucleari. Ed è vero che un investitore ha pur sempre il potere di limitare le finalità per cui possono essere usati i suoi fondi. Ma è vero anche che questa facoltà viene esercitata soltanto in una minoranza dei casi, ribadisce il report…

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L’ordine mondiale è precipitato già nel 2022 – Thierry Meyssan

Nella storia è una costante: i cambiamenti sono rari ma repentini. Il prezzo più alto lo pagano generalmente gli ultimi a scorgerli arrivare perché se ne accorgono troppo tardi. Al contrario dell’immagine statica che se ne fa l’Occidente, le relazioni internazionali sono state sconvolte già nel 2022, a danno soprattutto di Stati Uniti, Regno Unito e Francia; spesso a vantaggio di Cina e Russia. Occhi puntati all’Ucraina, gli Occidentali non si accorgono della nuova distribuzione delle carte

Accade di rado che le relazioni internazionali vengano sconvolte come lo sono state nel 2022. E non è finita. Il processo non si fermerà, anche se intervenissero fatti a perturbarlo, o addirittura a interromperlo per alcuni anni. Il dominio dell’Occidente, ossia degli Stati Uniti e delle ex potenze coloniali europee (in particolare Regno Unito, Francia e Spagna), nonché asiatiche (Giappone) sta per finire. Nessuno più ubbidisce passivamente a un capo, nemmeno gli Stati ancora vassalli di Washington. Ognuno comincia a pensare con la propria testa. Non siamo ancora nel mondo multipolare che Russia e Cina cercano di far emergere, ma lo vediamo costruirsi.

Tutto è iniziato con l’operazione militare russa per fare applicare la risoluzione 2202 del Consiglio di Sicurezza e proteggere l’insieme della popolazione ucraina dal governo nazionalista integralista. L’azione russa non è certo quella descritta da Stati Uniti, Unione Europea, Australia e Giappone. Gli Occidentali sono convinti che la Russia abbia invaso l’Ucraina per modificarne con la forza i confini. Ma questo non è quanto annunciato dal presidente Vladimir Putin, né quanto fatto dall’esercito russo, né quanto dimostra il decorso dei fatti.

Lasciamo da parte la questione di sapere ove sia la ragione e ove il torto: dipende se si ha consapevolezza che la guerra civile dilaniava l’Ucraina dalla deposizione del presidente democraticamente eletto, Viktor Yanukovich, nel 2014. Gli Occidentali, che non ricordano i 20 mila morti di questa guerra, non possono credere che i russi siano intervenuti per far cessare il massacro. E siccome ignorano anche gli Accordi di Minsk, di cui tuttavia Germania e Francia, a fianco della Russia, si erano fatti garanti, non possono credere che la Russia abbia agito in nome della «responsabilità di proteggere» proclamata dalle Nazioni Unite nel 2005.

Eppure, l’ex cancelliera tedesca Angela Merkel [1], nonché l’ex presidente francese François Hollande [2] hanno pubblicamente dichiarato di aver firmato gli Accordi di Minsk non già per mettere fine alla guerra civile, ma per guadagnare tempo e armare l’Ucraina. Entrambi si compiacciono per aver teso una trappola alla Russia, ma questo non gli impedisce di accusarla di essere l’unica responsabile dell’attuale guerra. Non sorprende che Merkel e Hollande, di fronte all’opinione pubblica, s’inorgogliscano per la propria ipocrisia, ma in altre parti del mondo ciò che affermano suona diversamente. La maggior parte dell’umanità crede che gli Occidentali stiano mostrando il loro vero volto: cercano di dividere il resto del mondo e di mettere in trappola chi vuole essere indipendente; parlano di pace, ma fomentano guerre…

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I carri armati “magici” della Nato sposteranno le sorti del conflitto in Ucraina? – Davide Malacaria

…Le armi magiche non esistono. Né esistono bacchette magiche che permettano a Kiev di scacciare completamente i russi. Questa la tragica realtà che non si vuol dire, perché rischierebbe di indurre l’opinione pubblica a chiedere di porre fine al mattatoio.

Lo dice in maniera chiara anche Bing West, ex consigliere del Segretario della Difesa, sulla National Review, che analizza i tanti conflitti precedenti, dalla Corea al Vietnam ad altri, nei quali gli Stati Uniti si sono astenuti dall’attaccare i territori dei Paesi che sostenevano i loro nemici, come in questo caso si stanno astenendo dall’attaccare la Russia, rifiutando agli ucraini i missili a lungo raggio e, si potrebbe aggiungere, l’ingaggio diretto.

Senza attaccare in profondità la Russia, cioè senza scatenare la terza guerra mondiale, la guerra è persa. Già l’alternativa, drammatica, alla sconfitta dell’Ucraina è la terza guerra mondiale. Tale follia va fermata.

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Il conflitto evitabile – Isaac Asimov

Forse questo brano di Asimov ci parla dell’oggi e del domani mattina (come fa spesso la buona fantascienza) per indicarci una strada piuttosto che un’altra? O per ricordarci che “la violenza è l’ultimo rifugio degli incapaci”? Oppure per aiutarci a guardare sul lungo periodo? Oppure…  Leggete e capirete.

[…]

“Ogni periodo dell’evoluzione umana, Susan,” disse il Coordinatore, “ha avuto il suo particolare tipo di conflitto umano… la sua varietà di problemi che, a quanto pare, potevano essere risolti soltanto con la forza. E ogni volta, cosa abbastanza avvilente, il ricorso alla forza non ha mai risolto veramente quei problemi. Anzi, sopravvivevano attraverso una serie di conflitti, poi si dileguavano spontaneamente quando l’ambiente sociale ed economico si modificava. E allora sorgevano nuovi problemi e nuove guerre… Un ciclo apparentemente interminabile. Pensi ai tempi relativamente moderni. Vi fu la serie di guerre dinastiche nel sedicesimo e diciassettesimo secolo, quando il problema più importante, in Europa, era se toccasse alla casa d’Asburgo o a quella dei Valois e poi dei Borboni dominare il continente. Fu uno dei cosidetti ‘conflitti inevitabili’, dal momento che l’Europa, ovviamente, non poteva continuare a esistere se apparteneva metà agli uni e metà agli altri.

“E invece l’Europa continuò a esistere, e nessuna guerra spazzò via una delle due dinastie e consolidò l’altra, fino a che il sorgere di una nuova concezione sociale in Francia, nel 1789, fece scivolare prima i Borboni e poi, a lungo andare, anche gli Asburgo lungo una discesa polverosa fino all’inceneritore della Storia.

“E in quegli stessi secoli vi furono anche le più barbare guerre di religione, provocate da un altro importantissimo problema: l’Europa doveva essere cattolica o protestante? Non poteva essere metà e metà. Era ‘inevitabile’ che decidesse la spada… che tutto sommato non decise nulla. Intanto, in Inghilterra stava sorgendo la civiltà industriale e, sul continente, un nuovo nazionalismo. Ai giorni nostri l’Europa è ancora metà cattolica e metà protestante e questo non importa a nessuno.

“Nel diciannovesimo e nel ventesimo secolo vi fu un ciclo di guerre nazionalistico-imperialistiche; il problema più importante era quali parti dell’Europa dovessero controllare le risorse e la capacità di consumo di determinate parti della non-Europa. Ovviamente tutta la non-Europa non poteva continuare a esistere in parte inglese, in parte francese, in parte tedesca e così via… Fino a che le convinzioni del nazionalismo si diffusero abbastanza e la non-Europa pose fine a una situazione che le guerre non erano riuscite a risolvere, decidendo che poteva continuare a esistere magnificamente, rimanendo tutta, completamente, non-europea. E così abbiamo uno schema…”

“Sì, Stephen, lei semplifica troppo,” disse Susan Calvin. “Queste non sono osservazioni molto profonde.”

“No… Ma in molti casi la cosa più difficile è proprio rendersi conto di ciò che è ovvio. La gente dice: ‘è evidente come il tuo naso’; ma quanta parte del mio naso riesco a vedere, a meno che qualcuno non mi tenga davanti uno specchio? Nel ventesimo secolo, Susan, comincia un nuovo ciclo di guerre… come chiamarle? Guerre ideologiche? Le emozioni della religione applicate ai sistemi economici, piuttosto che ai sistemi soprannaturali? Ancora una volta le guerre furono ‘inevitabili’ e questa volta c’erano le armi atomiche, quindi l’umanità non avrebbe potuto sopravvivere al suo calvario rappresentato dal solito spreco di ‘inevitabilità’. E vennero i cervelli positronici. E vennero appena in tempo; e, con loro, venne il volo interplanetario. Non sembrò più tanto importante che il mondo seguisse Adam Smith o Carlo Marx. Non avrebbe avuto molto senso, nella nuova situazione. Entrambi i sistemi dovettero coesistere e finirono per ritrovarsi quasi sulla stessa linea. Ma c’era un altro pericolo. La fine di qualsiasi altro problema aveva semplicemente dato origine a un problema nuovo. La nostra economia robotica su scala mondiale può presentare i suoi propri problemi; e per questa ragione noi abbiamo le Macchine. Ora, sebbene le Macchine non siano altro che i più vasti agglomerati di circuiti calcolatori mai inventati, – continuò Stephen Byerley – sono pur sempre robot entro i limiti della Prima Legge e quindi la nostra economia su scala terrestre è in accordo con i migliori interessi dell’Uomo. A meno che…”

Una lunga pausa poi la dottoressa Calvin lo incoraggiò, ripetendo: “A meno che…”

Il fuoco si piegò e saltellò attorno a un ceppo, poi scoppiettò verso l’alto.

“A meno che,” disse il Coordinatore, “le Macchine non siano impari alla loro funzione. Ecco, dal momento che le Macchine ci danno risposte errate, assumendo che esse non possono essere in errore, c’è soltanto una possibilità: sono stati forniti loro dati sbagliati! In altre parole, l’errore è degli uomini e non dei robot. Così io ho compiuto il mio recente giro d’ispezione planetaria… Era necessario, dal momento che vi sono quattro Macchine, ciascuna delle quali dirige una delle Regioni Planetarie. E tutte quante danno risultati imperfetti, la Regione Orientale, la Regione Tropicale, la Regione Settentrionale e la Regione Europea”.

La Regione Europea era un’anomalia, sotto molti aspetti. Come area, era di gran lunga la più piccola: la sua superficie non era neanche un quinto della superficie della Regione Tropicale, la sua popolazione non era un quinto della popolazione della Regione Orientale. Geograficamente, assomigliava soltanto in modo vago al’Europa pre-atomica, dal momento che escludeva ciò che un tempo era stata la Russia europea e ciò che era stato un tempo l’arcipelago britannico, mentre includeva le coste mediterranee Dell’Africa e dell’Asia e, con un bizzarro balzo attraverso l’Atlantico, l’Argentina, il Cile e l’Uruguay. Tra tutte le Regioni, era l’unica che, nell’ultimo mezzo secolo, presentasse una netta diminuzione della popolazione.

“L’Europa,” disse la signora Szegeczowska, nel suo morbido francese, “è essenzialmente un’appendice economica della Regione Settentrionale. Noi lo sappiamo, e non ce ne importa. In quanto alla Macchina… Cosa può dire se non: ‘Fate questo e sarà meglio per voi’? Ma cos’è il meglio per noi? Essere un’appendice economica della regione Settentrionale. Ed è poi tanto orribile? Niente guerre… Viviamo in pace ed è piacevole, dopo settemila anni di guerre. Siamo vecchi, signore. Le regioni che furono la culla della civiltà occidentale sono raccolte entro i nostri confini. Abbiamo l’Egitto e la Mesopotamia, Creta e la Siria, l’Asia Minore e la Grecia… Ma la vecchiaia non è necessariamente un’età infelice. Può essere una gioia…”

“Forse lei ha ragione,” disse affabilmente Byerley.

“È piacevole. Il resto della Terra può continuare a lottare. Io vi trovo un parallelo interessante. Ci fu un tempo in cui Roma era padrona del mondo. Aveva adottato la civiltà e la cultura della Grecia. Una Grecia che non era mai stata unita, che si era rovinata con le guerre. Roma la unì, le portò la pace e la lasciò vivere una vita sicura e priva di gloria. La Grecia si occupò delle sue filosofie e della sua arte. Fu una specie di morte, ma era riposante e durò, con brevissime interruzioni, per circa quattrocento anni.”

“Eppure,” disse Byerley, “alla fine anche Roma cadde e quel sogno drogato ebbe fine.”

“Ma non esistono più barbari che possano rovesciare la civiltà.”

“Forse siamo noi stessi i nostri barbari, madame Szegeczowska”.

dal racconto «Il conflitto evitabile» di Isaac Asimov nell’antologia «Io, robot» (del 1950 e più volte ristampata)

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Le guerre creano le nazioni – Gilbert Doctorow

Nei media tradizionali si è parlato molto di come la guerra con la Russia, iniziata il 24 febbraio 2022, abbia forgiato l’Ucraina in una nazione sotto la brillante guida del presidente Zelensky. Questa nazione ha trovato fiducia in se stessa nella sua apparente capacità di resistere all’invasione armata da parte del potente vicino a est e persino di contrattaccare con un certo successo, misurabile nei grandi guadagni territoriali nell’oblast di Kharkov prima e in quello di Kherson poi. La nuova nazione ucraina sta condividendo le difficoltà e ci dicono che la speranza della vittoria la tiene unita, per ora.

Del fatto che un quarto della popolazione ucraina abbia abbandonato il paese non si parla. Non sto contando solo quelli che sono fuggiti in occidente, ma anche quelli che sono fuggiti in Russia. E perché si dovrebbe discutere il significato di questo fatto? Un quarto della popolazione dei tre stati baltici, un quarto dei rumeni e dei bulgari fuggirono all’inizio degli anni ’90 dopo il crollo delle economie dei loro paesi a seguito alla rottura dei legami commerciali con la Russia e mentre questi paesi tentavano, inizialmente senza successo, di integrarsi nei mercati europei. Che gli ucraini fuggano ora da una guerra mentre quelli di prima erano rifugiati economici, il risultato finale per chi rimane non cambia: e’ una specie di pulizia etnica autoinflitta che sfocia nella costituzione di una nazione politicamente piu’ omogenea dopo la crisi.

Nel frattempo, dall’inizio della “Operazione militare speciale”, nessuno ha parlato di come si sta formando una nuova nazione in Russia. La cosa non deve sorprendere ovviamente dato che i nostri esperti nelle università americane ed europee e nei centri studi hanno ormai smesso di essere centri studi sulla Russia, che era la loro funzione quando furono creati e per cui ricevono finanziamenti dall’inizio della guerra fredda nel 1949.

L’Harriman Institute della Columbia University e il Davis Center (ex Centro di ricerca sulla Russia) di Harvard sono diventati centri di studio sull’Ucraina in tutto e per tutto. Non importa che ad Harvard avessero già un centro di ricerca sull’Ucraina, istituito e sponsorizzato separatamente fin dagli anni ’70. Ma come accade spesso, gli amministratori dell’università seguono il profumo dei soldi, e il corpo docente si accoda.

Ma gli studi sulla nazione ucraina che sta emergendo avranno vita breve. Nella forma attuale, questa nazione gestita da ultranazionalisti è condannata a morte dalla sconfitta che inevitabilmente subira’ sul campo di battaglia, cui fara’ seguito la rimozione dal potere di coloro che hanno condotto il paese sulla strada – sbagliata – della pulizia etnica e del genocidio. Nel frattempo, la Nuova Russia, anch’essa plasmata dalle sfide di una guerra totale, rimarrà con noi ancora per molto tempo e cosa che vedremo nei mutevoli equilibri geopolitici e militari globali. Consiglierei ai nostri studiosi negli Stati Uniti e in Europa di pensare bene a come impiegare il proprio tempo, se vogliono avere una qualche rilevanza nelle decisioni di politica internazionale nel prossimo futuro.

Ma in questo articolo mi limiterò a delineare alcune aree di particolare interesse per la trasformazione che vedo profilarsi nella società russa, nella sua economia e nella sua posizione internazionale, cosi’ come questa Nuova Russia viene formandosi a causa della guerra…

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Gli Usa potrebbero perdere il controllo della finanza mondiale a causa del conflitto in UcrainaEmmanuel Todd

Emmanuel Todd è certo che gli Stati Uniti si trovino in una fase di declino a lungo termine e, sullo sfondo del declino della loro influenza nel mondo, hanno deciso di premere per una maggiore influenza nei loro “protettorati originali”, acquisiti dopo la Seconda Guerra Mondiale.

Lo storico e antropologo francese Emmanuel Todd ha dichiarato in un’intervista a Le Figaro che il conflitto ucraino è esistenziale per gli Stati Uniti, i quali, in caso di esaurimento delle economie europee amiche, rischierebbero di perdere la presa sulla finanza mondiale.

Nel suo commento, ricorda un’analisi offerta dal professor John Mearsheimer, dell’Università di Chicago, che sosteneva che mentre per la Russia questo conflitto era “esistenziale”, per gli Stati Uniti era solo un altro gioco tra altri Paesi, e che la vittoria o la sconfitta in esso sarebbe stata di scarsa importanza per gli USA. “Ma questa analisi è insufficiente. Il [Presidente degli Stati Uniti Joe] Biden ora deve affrettarsi. L’America è fragile e la resistenza dell’economia russa sta spingendo il sistema imperiale statunitense verso il baratro. Nessuno si aspettava che l’economia russa sarebbe stata in grado di resistere alla “potenza economica” della NATO”, ha detto Todd.

È certo che gli Stati Uniti si trovino in una fase di declino a lungo termine e che, sullo sfondo del declino della loro influenza nel mondo, abbiano deciso di premere per una maggiore influenza nei loro “protettorati originari”, acquisiti dopo la Seconda Guerra Mondiale, in altre parole Europa e Giappone. In questo contesto, il crollo dell’economia europea, osserva l’esperto, comporta grandi rischi per gli stessi Stati Uniti.

“Se l’economia russa resiste a lungo alle sanzioni e riesce a dissanguare l’economia europea, riuscendo a sopravvivere grazie al sostegno cinese, il controllo monetario degli Stati Uniti sul mondo crollerà e con esso la capacità degli Stati Uniti di finanziare il loro enorme deficit commerciale a costo quasi zero. Questa guerra è diventata esistenziale per gli Stati Uniti. Non possono uscire dal conflitto prima della Russia. Non possono mollare la presa. Questo spiega perché ora siamo in una guerra aperta, in un confronto che è destinato a sfociare nel collasso di una parte o dell’altra”, afferma Todd.

 

Problemi economici e sociali

Il conflitto in Ucraina “porta a un’economia reale che permette di misurare la ricchezza reale degli Stati e la loro capacità produttiva”, afferma l’esperto. In particolare, Todd sottolinea il raddoppio della produzione russa di grano dopo l’introduzione delle prime importanti sanzioni nel 2014, nonché la posizione di leader della Russia nella costruzione di centrali nucleari, non solo in patria, ma anche all’estero.

L’esito del conflitto “dipenderà dalla capacità di entrambi i sistemi di produrre armi”, ritiene Todd. Lo storico osserva che il passaggio a una guerra di logoramento riduce l’influenza delle tecnologie militari avanzate degli Stati Uniti, utilizzate dall’Ucraina. La situazione porta in primo piano la disponibilità di personale qualificato, di risorse materiali e di potenziale industriale. “A questo punto inizia a intervenire il problema fondamentale della globalizzazione dell’Occidente: abbiamo spostato così tante industrie [dal nostro territorio] che ora non sappiamo se i nostri impianti militari saranno in grado di mantenere il ritmo di produzione desiderato”, ha aggiunto.

Oltre alle risorse naturali e industriali, l’esperto sottolinea il grande ruolo delle risorse umane e dell’istruzione. Egli sottolinea che gli Stati Uniti hanno un vantaggio più che doppio rispetto alla Russia in termini di popolazione, ma consiglia ai suoi lettori di ricordare che negli Stati Uniti solo il 7% degli studenti si specializza in professioni ingegneristiche, mentre in Russia ce n’è circa il 25%, il che in definitiva dà alla Russia un vantaggio competitivo. “Gli Stati Uniti stanno colmando questa lacuna con studenti stranieri, soprattutto indiani e, in misura ancora maggiore, cinesi. Questa risorsa sostitutiva è però inaffidabile e sta già diminuendo”, ha detto.

Scontro di ideologie

Todd ha anche invitato a non dimenticare “l’equilibrio ideologico e culturale del potere”. Ha ricordato che durante l’era sovietica, l’ideologia comunista è stata utilizzata come soft power, ottenendo consensi in Cina e in parte in India e in Europa. Tuttavia, per il mondo musulmano, questa ideologia non era attraente a causa del suo ateismo ufficiale, ritiene l’esperto. “Oggi la Russia, che si sta nuovamente posizionando come una grande potenza, non solo anti-coloniale, ma anche patrilineare e conservatrice rispetto ai costumi tradizionali, può attirare un sostegno molto maggiore”, ha spiegato.

“I giornali occidentali sono tragicamente divertenti: continuano a dire: ‘La Russia è isolata’. La Russia è isolata”. Ma quando si dà un’occhiata alle votazioni all’ONU, si scopre che il 75% del mondo non segue l’Occidente, che in questi momenti sembra molto piccolo”, afferma Todd. “Il conflitto attuale, che i nostri media tendono a descrivere come uno scontro di valori politici, a un livello più profondo è un conflitto di valori antropologici. È questa mancanza di consapevolezza e di profondità che rende il confronto pericoloso”.

Confronto globale

“La realtà è che la Terza Guerra Mondiale è già iniziata. È ovvio che il conflitto, inizialmente una guerra territoriale limitata, si è evoluto in un confronto economico globale tra l’intero Occidente, da un lato, e la Russia, sostenuta dalla Cina, dall’altro, fino a diventare una guerra mondiale”, ritiene Todd. Egli ipotizza che, dati gli attuali fattori economici e demografici, le ostilità dovrebbero terminare entro cinque anni.

Ritiene che in un modo o nell’altro i Paesi europei stiano “partecipando all’uccisione dei russi” fornendo equipaggiamenti militari all’Ucraina, anche se non si mettono in pericolo. “Gli europei si concentrano soprattutto sull’economia. Possiamo percepire il reale coinvolgimento nella guerra attraverso l’inflazione e la carenza di vari beni”, ha sottolineato l’esperto.

La Russia, afferma, pur partecipando a una guerra economica [con l’Occidente], sta parzialmente ripristinando l’economia militare, ma allo stesso tempo sta facendo del suo meglio per prendersi cura della popolazione”.

“Questo è lo scopo del ritiro delle truppe da Kherson che ha seguito il ritiro dalle regioni di Kharkov e Kiev. Stiamo contando i chilometri quadrati conquistati dagli ucraini, mentre i russi aspettano la caduta delle economie europee. Siamo la loro prima linea”, ha dichiarato Todd.

(Traduzione di Nora Hoppe)

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Più guerra significa più inflazione – Nouriel Roubini

Il combinato disposto del sostegno bellico al regime di Kiev unito alle scellerate e autolesionistiche sanzioni imposte alla Russia hanno provocato crisi economica in Europa e spinto l’inflazione a livelli mai visti da decenni.

Il rallentamento della crescita è particolarmente pronunciato nei paesi vicini all’Ucraina, come la Polonia e l’Ungheria, ma anche l’Italia e la Germania, fortemente dipendenti dal petrolio e dal gas russi, stanno subendo la pressione.

Secondo Nouriel Roubini, il noto economista che ha previsto la crisi finanziaria del 2008 e la successiva Grande Recessione, il futuro è a tinte fosche per l’economia mondiale.

Le economie avanzate e i mercati emergenti sono sempre più impegnati in ‘guerre’ necessarie – alcune reali, altre metaforiche – che porteranno a deficit fiscali ancora più ampi, a una maggiore monetizzazione del debito e a un’inflazione persistente. Il futuro sarà stagflazionistico, e l’unica domanda è quanto sarà grave per Roubini.

“L’inflazione è aumentata bruscamente nel 2022 sia nelle economie avanzate che nei mercati emergenti. Le tendenze strutturali suggeriscono che il problema sarà secolare, piuttosto che transitorio. In particolare, molti Paesi sono ora impegnati in varie ‘guerre’ – alcune reali, altre metaforiche – che porteranno in futuro a deficit fiscali ancora più ampi, a una maggiore monetizzazione del debito e a un aumento dell’inflazione”.

Dunque “il mondo sta attraversando una forma di ‘depressione geopolitica’, caratterizzata dall’acuirsi della rivalità tra l’Occidente e le potenze revisioniste allineate (se non alleate) come Cina, Russia, Iran, Corea del Nord e Pakistan”.

Con il rischio sempre maggiore che nel conflitto in Ucraina possa entrare direttamente la NATO. “Di conseguenza, gli Stati Uniti, l’Europa e la NATO si stanno riarmando, così come praticamente tutti i paesi del Medio Oriente e dell’Asia, compreso il Giappone, che ha avviato il suo più grande potenziamento militare da molti decenni a questa parte. Livelli più elevati di spesa per armi convenzionali e non convenzionali (comprese quelle nucleari, cibernetiche, biologiche e chimiche) sono praticamente assicurati e queste spese peseranno sulle casse pubbliche.

Anche la guerra globale contro il cambiamento climatico sarà costosa, sia per il settore pubblico che per quello privato. La mitigazione e l’adattamento al cambiamento climatico potrebbero costare trilioni di dollari all’anno per i decenni a venire, ed è sciocco pensare che tutti questi investimenti possano favorire la crescita. Dopo una vera e propria guerra che distrugge gran parte del capitale fisico di un Paese, un’ondata di investimenti può ovviamente produrre un’espansione economica; tuttavia, il Paese è più povero per aver perso gran parte della sua ricchezza. Lo stesso vale per gli investimenti climatici. Una quota significativa del capitale sociale esistente dovrà essere sostituita, perché è diventata obsoleta o perché è stata distrutta da eventi climatici”.

L’economista poi aggiunge altre motivazioni come le future pandemie e l’automazione che provocherà un aumento significativo della disoccupazione, tra i motivi che causeranno un aumento del debito pubblico.

A causa di questo scenario per i “paesi che prendono a prestito nella propria valuta, l’opzione conveniente sarà quella di consentire un’inflazione più elevata per ridurre il valore reale del debito nominale a tasso fisso a lungo termine. Questo approccio funziona come un’imposta sul capitale contro risparmiatori e creditori a favore di mutuatari e debitori, e può essere combinato con misure complementari e draconiane come la repressione finanziaria, le tasse sul capitale e l’insolvenza totale (per i paesi che prendono a prestito in valute estere o il cui debito è in gran parte a breve termine o indicizzato all’inflazione). Poiché la “tassa sull’inflazione” è una forma sottile e subdola di tassazione che non richiede l’approvazione legislativa o esecutiva, è il percorso predefinito di minor resistenza quando i deficit e i debiti sono sempre più insostenibili”.

Ma non finisce qui. Roubini conclude affermando che “ci sono anche molti shock di offerta aggregata negativi a medio termine che potrebbero aggiungersi alle pressioni stagflazionistiche di oggi, aumentando il rischio di recessione e crisi del debito a cascata. La Grande Moderazione è morta e sepolta; la grande crisi del debito stagflazionario è alle porte”.

da qui

 

 

L’Occidente è debole dove conta…e alcune delle conseguenze non sono ovvie – Aurélien*

* L’autore scrive sotto lo pseudonimo di Aurelien, e di sé dice di aver fatto una lunga carriera professionale nel governo durante gli anni della Guerra Fredda, e di aver poi passato un bel po’ di tempo a insegnare e scrivere, soprattutto per un pubblico accademico e professionale. In sostanza, dice di aver girato abbastanza il mondo, incontrato abbastanza persone e fatto abbastanza cose da avere un’idea di come le cose funzionino nella vita reale…)

In questo articolo tratto dal sito ‘Trying to understand the world’, l’alto funzionario britannico che scrive sotto lo pseudonimo di Aurelien* (e che già abbiamo tradotto qui e qui) fa il punto sulla inadeguatezza della capacità militare e di sicurezza dell’Occidente rispetto alle sfide attuali e ne analizza le principali conseguenze. In seguito alle scelte strategiche perseguite negli ultimi decenni, l’Occidente si trova ora infatti – pur dotato di armi sofisticatissime e con una spesa per la difesa che si mantiene elevata – non solo sfornito dei mezzi adatti a una guerra su vasta scala di tipo convenzionale, ma anche nell’impossibilità di ricostituirli in tempo utile. Questa discrepanza tra le scelte strategiche degli anni passati e gli obiettivi che le élite democratiche e Neocon si sono dati, è l’elefante nella stanza (o meglio il fenicottero rosa), con cui si arriverà necessariamente a fare i conti.

 

Ho sostenuto più volte che molto probabilmente l’Europa si ritroverà presto parzialmente disarmata, politicamente isolata ed economicamente vulnerabile, e che, a meno di qualche tipo di intervento sovrannaturale, quei processi non possano essere invertiti. Qui voglio entrare più nel dettaglio di quelle che penso possano essere alcune delle conseguenze di questa debolezza militare e in materia di sicurezza, oltre ad estendere brevemente l’analisi agli Stati Uniti. Alcune delle possibili conseguenze potrebbero risultare sorprendenti.

Ci troviamo, credo, in un momento abbastanza unico nella storia del mondo: l’Occidente, collettivamente la più grande singola costellazione economica del mondo, ha passato trent’anni a ridurre progressivamente la sua capacità di combattere una guerra terrestre/aerea convenzionale, specializzandosi invece nelle modalità estreme dei conflitti. In pratica, ciò equivale ad armi nucleari e sottomarini, caccia ad alte prestazioni e aerei d’attacco da un lato, e contro-insurrezione e proiezione della forza in un ambiente permissivo dall’altro, senza che ci sia molto in mezzo. Come spiegherò tra poco, non è la prima volta che le nazioni hanno ridotto radicalmente le loro forze armate o vi sono state obbligate, né è la prima volta che le nazioni si trovano con forze irrimediabilmente inadatte ai compiti che potrebbero dover eseguire; tuttavia questa è, in realtà, la prima volta che intere capacità sono state abbandonate sulla base del presupposto che non sarebbero mai state necessarie, e ora è impossibile ricostituirle. Vale a dire, che l’attuale capacità militare convenzionale dell’Europa e degli Stati Uniti oggi è poco adatta all’attuale situazione mondiale, ma è tutto ciò che sarà a disposizione nel prossimo futuro.

Paradossalmente, questa situazione non è dovuta al fatto che i paesi hanno tagliato la spesa per la difesa. Alcuni l’hanno fatto, ma altri, come gli Stati Uniti, hanno continuato ad aumentarla. Eppure è chiaro che la spesa complessiva per la difesa ha relativamente poco a che fare con la reale capacità militare, una volta superato un certo livello minimo di finanziamenti e strutture di forza. Al contrario, tagli dei costi limitati e a breve termine ai tempi di addestramento, al reclutamento o alle scorte di munizioni, possono creare problemi che successivamente possono risultare estremamente costosi e richiedere tempo per essere risolti. Spendere un sacco di soldi per le cose sbagliate non offre alcun vantaggio rispetto a spendere un po’ meno soldi per le stesse cose sbagliate. Il trucco è spendere i soldi per le cose giuste. Il problema, ovviamente, è che la spesa per la difesa (e non solo per le attrezzature) è per definizione così a lungo termine e così suscettibile al cambiamento e alla moda politica, che è davvero raro trovarsi con le armi e le strutture di forza giuste per la prossima operazione quando ne sorge il bisogno. Quindi la situazione in cui si è trovato l’Occidente ora non è concettualmente inedita: solo che questa volta è difficile, se non impossibile, scorgere una via d’uscita.

Ora, è importante sottolineare che, di per sé, la decisione di abbandonare la concentrazione sulle forze per la difesa del territorio era probabilmente quella giusta da prendere, trent’anni fa. Era difficile capire perché mai avrebbe potuto essere necessario combattere di nuovo una grande guerra terrestre/aerea convenzionale: le due guerre del Golfo contro l’Iraq sono state combattute perché potevano essere combattute, non perché fosse necessario. Se quella decisione fosse stata collegata a un’intelligente strategia politica per affrontare le macerie lasciate dalla guerra fredda, sarebbe stato difficile criticarla. Peccato quindi che fosse legata, invece, a una strategia politica di minaccia e antagonismo nei confronti di un grande Stato che aveva deciso di mantenere la capacità di combattere conflitti terra-aria su larga scala. Ma questa è la situazione…

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L’Europa che ci aspetta – Alessandra Ciattini

L’attuale guerra fa tornare alla ribalta antichi disegni come l’Intermarium e l’egemonia della Germania, entrambi assai pericolosi

Abbiamo già avuto modo di riflettere sulla questione dell’Eurasia e sulla sua relazione con la guerra per procura tra Ucraina e Russia, che purtroppo sembra durerà ancora a lungo per ragioni geostrategiche che l’Occidente collettivo non comunica alle sue popolazioni, ma di cui discute in segreto in ambiti più ristretti. Solo pochi giorni fa Angela Merkel ha avuto il coraggio o la sfrontatezza di comunicare al mondo, attraverso un’intervista a “Die Zeit”, che gli accordi di Minsk costituivano soltanto un espediente per temporeggiare e consentire all’Ucraina di armarsi con l’aiuto della Nato, per far fronte all’inevitabile attacco russo. Naturalmente di questo non si è parlato negli squallidi talk-show frequentati dai soliti manipolatori, altrimenti l’immagine del malvagio Putin sarebbe risultata incrinata.

Appare veramente paradossale che i media dominanti continuino ad accusare la Federazione Russa di imperialismo, quando una lettura approfondita delle attuali vicende svelano un astuto e diabolico disegno delle autentiche potenze imperialistiche, di cui non troviamo traccia nei giornali più importanti.

Come ha dichiarato più volte Putin e i suoi vari portavoce, l’obiettivo di queste ultime è estendere il loro controllo sull’immenso territorio russo, ricco di straordinarie risorse per rilanciare il capitalismo neoliberista in piena crisi sistemica. Insomma, si tratta di ripetere in grande, quello che è stato fatto con lo smembramento della Jugoslavia, paese straordinario che aveva combattuto contro i nazisti e aveva consentito per decenni la convivenza pacifica di etnie differenti.

Scrive Clara Weiss sul WSWS (World Socialist Web Site): “La disgregazione della Russia e la sua sottomissione al capitale Usa costituirebbero un trampolino di lancio strategico utile alla classe dirigente di quel paese per imporre un “nuovo secolo americano”, subordinando la Cina e l’Eurasia più in generale ai suoi obiettivi. Le risorse giocano un ruolo rilevante in questo progetto. Per il bisogno persistente di petrolio e gas naturale, come per il bisogno in rapida crescita di critical minerals (ossia quelli rari e indispensabili all’alta tecnologia come il cobalto), la Russia non può che esser considerata una massa continentale vitale con una vasta gamma di ricchezze”. Continua l’autrice: “Se la guerra contro la Russia è un «trampolino di lancio» per la guerra contro la Cina, il controllo del Mar Nero è visto come un trampolino di lancio per la disgregazione della Russia” (trad. mia). Cerchiamo di vedere insieme perché, tenendo al contempo in conto lo straordinario riarmo della Germania e la sua ora dichiarata funzione…

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LA SECONDA VITTIMA DELLA GUERRA È LA COMPASSIONE – Guy Somerset

George Orwell è famoso per aver detto: “La prima vittima della guerra è la verità”.

Se questo può essere esatto, un secondo posto è occupato dal senso di compassione tra i combattenti.

Ogni volta che scoppia un conflitto, non passa molto tempo prima che lo sciovinismo prenda piede in una popolazione. Fasce di individui che prima si consideravano amici sconosciuti diventano presto nemici anonimi. Troppo spesso questo sentimento è incoraggiato dai governi come mezzo per incoraggiare le uccisioni.

Detto questo, in questo periodo di quella che dovrebbe essere la fratellanza cristiana, si dovrebbe riflettere su alcuni fatti importanti…

Nessun russo comune odia gli ucraini

Prima di tutto – nonostante ciò che i telegiornali possono dirvi – pochi, se non nessuno, dei russi comuni odia gli ucraini.

Anche se i media occidentali insultano, calunniano e malignano su una popolazione russa che sperava di evitare questa catastrofe, il sentimento generale dei russi è di determinazione piuttosto che di disprezzo. Il sentimento di “fare ciò che deve essere fatto” è molto più diffuso dell’odio dogmatico. Questo è fondamentale per gli osservatori esterni, vista l’incessante caratterizzazione negativa dell’atteggiamento russo nei confronti dei combattimenti.

Anche i sostenitori più accaniti considerano la liberazione degli slavi co-etnici e russofoni e la prevenzione della successiva ostilità della NATO come la ragion d’essere della situazione attuale – nessuno vuole combattere solo per combattere. Nessuno, o se così fosse solo i fuoriusciti, nutre una profonda inimicizia nei confronti dei civili ucraini, che sono fondamentalmente considerati come ingannati a combattere dai loro politici corrotti.

Pochi soldati russi odiano gli ucraini

La maggior parte dei militari di ogni Paese preferirebbe non combattere. A volte combattere è necessario, come quando la leadership immorale di un vicino belligerante abusa della vostra minoranza etnica e minaccia di puntare armi nucleari sulla vostra capitale. Tuttavia, in genere i soldati cercano di portare a termine i loro compiti e di tornare a casa. Solo una piccolissima minoranza si mette in marcia per danneggiare intenzionalmente la vita di un altro.

Mentre la propaganda di atrocità che denuncia abusi specifici (comuni durante le battaglie) tenta di far credere che il tipico soldato russo sia desideroso di commettere ogni sorta di brutalità, la verità è l’esatto contrario. La maggior parte dei militari lavora in condizioni incredibilmente difficili, nonostante il loro impegno nel dovere.

Tutto questo per dire che i russi capiscono che questa lotta non è qualcosa che una persona normale vorrebbe fare. Ci sono stati circa dieci anni di negoziati prima che gli eventi arrivassero a questo punto. Anche il Presidente Putin ha dichiarato che il conflitto non è stato voluto dal governo russo.

L’aspetto cruciale per una futura riconciliazione è capire che ogni amministrazione aveva un punto di vista sul perché fosse necessario combattere, ma quando si tratta di coloro che hanno combattuto entrambe le parti hanno agito senza cattiveria personale.

Raramente gli americani odiano i russi

Dopo quasi un anno di costante manipolazione mediatica si potrebbe credere che tutti gli americani disprezzino i russi.

Con grande disappunto di CNN, ABC, NBC, CBS, FOX, MSNBC e del resto dei media dell’alfabeto (spesso diretti dalle agenzie governative dell’alfabeto), gli americani normali non provano antipatia per i russi.

Per inciso, un esempio lampante delle stupefacenti assurdità prodotte negli Stati Uniti è stato l’incipit del programma Law & Order: SVU, che è un dramma poliziesco che dovrebbe occuparsi di casi di violenza sessuale a New York… ma inizia con russi che uccidono ucraini senza motivo… in Ucraina! Questo è ciò con cui gli americani hanno a che fare ogni giorno e che proviene dai nostri media controllati.

Fondamentalmente il sentimento americano – mai rappresentato dai media qui – è che ciò che sta accadendo in Ucraina è triste… che dovremmo aiutare i civili sofferenti… e che dovrebbe finire il prima possibile.

Se chiedete a qualcuno le ragioni del conflitto, vi dirà “la Russia ha invaso l’Ucraina” o la menzogna dei media “Putin vuole far tornare l’URSS”. Quasi nessuno è in grado di dire quali siano le cause complesse del conflitto, il che ovviamente è intenzionale, essendo nell’interesse dei politici americani corrotti prolungarlo.

Nonostante questo fatto, gli americani di base non odiano i russi. Gli americani, al contrario del governo, preferiscono farsi gli affari propri. Gli americani hanno una comprensione incompleta della situazione solo perché un resoconto incompleto viene loro fornito essenzialmente da tutti i notiziari di lingua inglese.

Per quanto possibile, è importante che i russi sappiano che le azioni dei politici americani non rappresentano le opinioni della popolazione americana.

Pochi comuni europei occidentali odiano i russi – tranne forse in Polonia…

Ancora una volta, è molto difficile spiegare a chi è all’estero la distinzione tra politici e popolazioni delle nazioni occidentali. Il mito del sistema è che il governo attua una politica approvata dal popolo. Purtroppo questo è raramente, se non mai, il caso.

Così abbiamo la situazione attuale in cui gli europei stanno subendo una marcata riduzione del loro standard di vita. Dall’Inghilterra alla Germania, gli elettori tagliano le spese per le vacanze, abbassano il riscaldamento per risparmiare e in tutto il continente molti mangiano meno per potersi permettere un alloggio.

Tutto questo a causa del fanatico sostegno dei politici all’Ucraina. Come gli americani, la maggior parte degli europei vede le battaglie come una “situazione sfortunata”, ma difficilmente come lo scontro di civiltà che viene loro propagandato. In molti Paesi sono già state organizzate marce per uscire da questa situazione.

Tuttavia, i media europei spesso incolpano la Russia straniera per le difficoltà imposte dalle politiche interne.

Se questa propaganda prenderà piede o meno è una questione critica dei prossimi mesi. È fondamentale per il mondo che ciò non avvenga. Gli europei che non sono coinvolti nell’attività politica non devono essere i destinatari dell’animus dall’estero, poiché hanno poco potere di incidere sulla governance e in questo momento vogliono per lo più essere neutrali.

Il pericolo esiste quando coloro che sono disposti a premere per la fine del sostegno all’Ucraina si sentono investiti personalmente nel conflitto. Per quanto possibile, forse al di là dell’efficacia, occorre fare uno sforzo per distinguere tra il popolo e i parlamenti di queste nazioni.

A prescindere dalle cause o dalle motivazioni, il conflitto russo-ucraino non è una preoccupazione dell’europeo comune che cerca di mantenere il proprio lavoro, riscaldare la propria casa e sfamare i propri figli.

Gli europei comuni non sono attualmente contro i russi comuni… e dobbiamo mantenere questa situazione.

Riavvicinamento storico

Due ultimi esempi di come si possa procedere per le persone normali dopo i combattimenti dimostrano che è possibile realizzare ciò che in questo momento sembra impossibile.

In primo luogo, la guerra civile americana ha fatto più morti di tutte le altre guerre americane messe insieme. L’inimicizia tra i belligeranti era così intensa che pochi credevano che il Paese sarebbe stato di nuovo unito.

Nel 1913, però, ci fu una sorta di “riunione di famiglia” a Gettysburg, generalmente considerata una delle battaglie più feroci e un punto di svolta della guerra stessa. Uomini anziani di entrambe le fazioni si riunirono come compagni che avevano condiviso un’esperienza e avevano capito che per andare avanti non potevano guardare indietro con rabbia. Ecco qui un raro filmato dell’incontro.

In secondo luogo, sebbene la maturità sia diminuita notevolmente negli ultimi decenni, negli anni Novanta in America si era capito che i combattenti della Seconda Guerra Mondiale in Germania non erano intrinsecamente malvagi.

Il film Memphis Belle raccontava la storia del primo bombardiere americano a raggiungere il livello di missioni di combattimento che davano diritto al ritorno a casa. Statisticamente, questa cifra era impossibile da raggiungere, il che significa che matematicamente gli uomini sarebbero morti prima di ottenere il diritto di essere sollevati.

Ciò che è importante ai fini di questa discussione è che alla fine del film c’è un epilogo che dedica l’opera artistica a tutti gli uomini che hanno coraggiosamente combattuto da tutte le parti durante la guerra. Ecco il trailer.

Il nostro nemico sarà di nuovo nostro fratello

Un’ovvietà di ogni conflitto è che finirà. Quando finisce, dobbiamo ricordare il coraggio e il sacrificio di tutti. Nonostante per molti di noi questa battaglia sia stata resa inevitabile, sarà nostro merito considerare l’umanità che rimane quando il fuoco cessa.

La conservazione della compassione è la chiave per qualsiasi pace imminente – e questa è la Verità.

Guy Somerset scrive da qualche parte in America.

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Fonte:
https://english.pravda.ru/opinion/155348-war_compassion/
Traduzione di Costantino Ceoldo

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