Alberto Acosta, Enrique Viale
Siglo Veintiuno Editores, Argentina, 09/2024 – 208 pp.
Perché consideriamo normale che le multinazionali abbiano dei diritti e possano rivendicarli mentre ci risulta inconcepibile che la natura, da cui dipende la nostra vita, goda di tale riconoscimento? Dato che superare questa follia è una delle grandi sfide dell’umanità di fronte al collasso ecologico e sociale, Alberto Acosta ed Enrique Viale, referenti internazionali del pensiero e delle lotte ecologiste, raccontano cosa significano i diritti della natura e perché il tema è molto lontano dall’essere una formalità giuridica o una semplice novità.
In questo testo introduttivo e illuminante, approfondiscono le ragioni storiche che, a partire dalla conquista dell’America e anche prima, spiegano il ruolo della natura come fornitrice passiva di rifornimenti e deposito di rifiuti, al servizio della crescita infinita di un pianeta finito. E mettono in luce le false soluzioni, come lo sviluppo sostenibile o il capitalismo green, strategie cosmetiche che promettono di rispettare le norme ambientali mentre incoraggiano lo sfruttamento estrattivista della terra, dei minerali, dell’acqua o forme più innovative di mercificazione.
Recuperando le voci critiche di filosofi, economisti, rappresentanti dei popoli indigeni e giuristi, e il bilancio di esperienze pionieristiche nel riconoscimento della natura come soggetto di diritti, Acosta e Viale affermano che non si tratta di ritornare a pratiche premoderne, mitificare il passato o condannare i progressi scientifici. Né di inventare tutto da zero, perché c’è un gran patrimonio di lotte comunitarie e visioni del mondo che hanno molto da insegnarci.
Senza ergersi a difensori di una natura incontaminata, gli autori invitano a comprendere il valore intrinseco della natura e la necessità di ripristinare i suoi cicli vitali, la sua diversità e i suoi ecosistemi. E puntano a lavorare alla ricerca di una svolta di civiltà che anteponga la solidarietà, la giustizia sociale e i legami di armonia tra tutte le forme di vita, all’ordine economicista del produttivismo ad ogni costo.
Aprire di più la porta dei diritti della natura
di Alberto Acosta ed Enrique Viale*
“Il riconoscimento dei valori intrinseci della Natura impone mandati universali,
poiché la vita deve essere tutelata in ogni angolo del pianeta.
Problemi ambientali globali, come il cambiamento climatico o l’acidificazione degli oceani,
“Rinforzano ulteriormente quell’etica come valore essenziale”.
(Eduardo Gudynas, intellettuale uruguaiano)
Quando all’orizzonte appare qualcosa di nuovo, come ad esempio per molte persone i Diritti della Natura, al disinteresse segue la derisione. Poco dopo, man mano che queste idee innovative avanzano, pur rimanendo un’ignoranza abbastanza diffusa, che normalmente è terreno fertile per alimentare le paure verso ciò che non si conosce, non mancano minacce nonché azioni repressive violente.
La possibilità che qualcosa di diverso dall’essere umano possa essere pensato come soggetto di diritti costituisce una “aberrazione”. Si tratta di un criterio abbastanza generalizzato negli ambienti sociali considerati illuminati. Inoltre, molti giuristi riconosciuti e personalità influenti vedono grandi difficoltà nell’applicazione di quella giurisprudenza che riconosce la Natura come soggetto di diritti.
Questa non è una novità. Nel corso della storia, qualsiasi espansione dei diritti era inizialmente impensabile. Ricordiamo che quando ebbe inizio la colonia, i popoli indigeni non solo non avevano diritti, ma si affermò addirittura che fossero privi di anima. L’emancipazione degli schiavi o l’estensione dei diritti agli afroamericani, alle donne e ai bambini furono allora respinte come cose assurde.
Basterebbe ricordare che, quando gli schiavi furono liberati, non mancò chi reclamava le “perdite” subite dai loro “proprietari”, la cui “libertà” di commercializzarli, usarli e sfruttarli era irrimediabilmente limitata.
Qualcosa di simile accadde quando il lavoro minorile – una gradita forza lavoro a basso costo nel nascente processo di industrializzazione – fu messo in discussione in Inghilterra all’inizio del XIX secolo.
La controversia è stata grande. “La proposta mina la libertà contrattuale e distrugge le basi del libero mercato”, proclamavano gli illuminati dell’epoca. Questa tipologia di lavoro quasi schiavistico potrebbe finalmente essere eliminata, almeno in termini legali, sebbene sia ancora presente anche in molte catene del valore transnazionali.
Nel mondo in cui viviamo, sembra “normale” che le imprese godano di diritti quasi umani. In paesi come gli Stati Uniti, modello di giustizia universale per alcune persone, la legge ha esteso la portata dei diritti alle società private alla fine del XIX secolo. Da allora alle imprese sono riconosciuti diritti paragonabili a quelli degli esseri umani: diritto alla vita, alla libertà di espressione, alla privacy, ecc. Questa realtà – a nostro avviso distopica – è attuale in vari modi nel resto del pianeta. E nessuno ci presta attenzione perché è una tradizione di lunga data.
Attualmente molte di queste posizioni rimangono più o meno stagnanti, a tal punto che pretendere che anche scienziati o giuristi rinomati comprendano e accettino la questione, equivale a chiedere loro di uscire dalla loro propria ombra. Ed è proprio questo il significato dei Diritti della Natura: dobbiamo fuggire dalle ombre della Modernità. Solo con questa ferma convinzione possiamo superare i difetti che ci portiamo dietro da centinaia di anni. E questo non è facile, perché alterare quella verità quasi rivelata, che considera l’essere umano come una specie superiore, e accettare che la Natura sia soggetto di diritti risulta un compito enorme.
Questi nuovi diritti – che in realtà sono una sorta di diritti originari – non sono semplicemente un altro campo del diritto il cui scopo è garantire un ambiente sano per gli esseri umani: ciò è compito dei Diritti Umani nella loro dimensione ambientale. I Diritti della Natura sono qualcosa di diverso, propongono una svolta radicale. Anche se occorre subito notare che essi non si oppongono ai Diritti Umani, poiché non solo si completano, ma si rafforzano a vicenda.
Se si accetta la totalità della loro complessità giuridica, questi Diritti della Natura rompono con i fondamenti stessi della Modernità, aprendo la porta a una sovversione epistemica in tutti gli ambiti della vita umana, compreso quello economico. Siamo di fronte ad una sorta di SVOLTA COPERNICANA. A partire da questi diritti si possono quindi prefigurare cambiamenti strutturali che prima o poi ci permetteranno di muoverci verso altri orizzonti di civilizzazione. In realtà, non ci sarà grande trasformazione se non ci saranno contemporaneamente cambiamenti nell’umanità stessa.
Sono alcune delle riflessioni con cui iniziamo questo libro che raccoglie proposte e riflessioni di vari gruppi umani e di tante persone impegnate nella costruzione di altri mondi possibili, in chiave di PLURIVERSO: un mondo dove entrano altri mondi -secondo la formula zapatista-, senza che nessuno di loro sia vittima di emarginazione e/o sfruttamento, e dove tutti gli esseri umani e non umani possano vivere con dignità e in armonia con la Natura. Nelle parole del grande intellettuale colombiano Arturo Escobar, abbiamo bisogno di “mondi e conoscenze costruiti sulla base di diversi compromessi ontologici, configurazioni epistemiche e pratiche dell’essere, del conoscere e del fare”.
Quito/Buenos Aires, 4 settembre 2024
* Economista ecuadoriano e giurista ambientalista argentino, coautori del libro “La Naturaleza sì tiene derechos. Aunque algunos no lo crean”. Giudici del Tribunal Internacional de los Derechos de la Naturaleza. Membri del Pacto Ecosocial, Intercultural del Sur.
** Traduzione Giorgio Tinelli per Ecor.Network.