La nave Batavia e il lato oscuro del secolo d’oro olandese

di Maria Luisa Vincenzoni (*)

Batavia è il nome arcaico dei Paesi Bassi, batavi furono chiamati dai Romani gli abitanti di queste terre in mezzo al mare del Nord Europa, Batavia è anche il secondo nome dato a Jakarta, in Indonesia, dove sulle navi olandesi si imbarcavano spezie profumate, tessuti preziosi, argento e schiavi.

La Batavia e l’età dell’oro

Batavia era infine il nome del veliero dell’età dell’oro olandese che fece un solo viaggio, nel 1629, urtando la barriera corallina dell’Australia occidentale dopo un feroce ammutinamento.
Batavia, per secoli in fondo al mare, poi parzialmente recuperata, diventa per i Paesi Bassi un simbolo: trasportò merci preziose, manufatti artistici, spezie e medicamenti, idee e inquietudini “eretiche” che presero forza con il ridimensionamento dei cattolici e aprirono alla mentalità
protestante. 
La Batavia, se non avesse fatto
naufragio, avrebbe dovuto imbarcare anche schiavi, con le diverse gradazioni di assoggettamento cui la merce umana veniva sottoposta. Gli schiavi erano trasportati dalla Compagnia delle Indie, ma appartenevano in genere a mercanti a privati, che li distribuivano alle dure corvée in vari luoghi di lavoro e nei lavori agricoli.

Alcuni di loro avevano compiti meno massacranti. Le donne bengalesi erano ricercate come ricamatrici per le tele più fini, i malesi come artigiani, ma gli schiavi dei Paesi affacciati sull’Oceano Indiano occidentale, particolarmente il Mozambico, era destinati ai campi.
Nel complesso, viene portata a destinazione una forza lavoro immensa che alimenta il modello capitalistico del “miracolo olandese dell’epoca d’oro”.

Nella dodicesima e più recente provincia olandese, la Flevoland, istituita nel 1986, terra contesa felicemente al mare, è stata costruita, nella capitale Lelystad, grazie al maestro d’ascia Willem Vos, una replica della Batavia a scopo didattico. Il museo racconta la storia del diciassettesimo secolo dei Paesi Bassi.

In attesa di restauro

I polder, zone costiere pianeggianti protette da dighe, prosciugate e rese fertili, offrono un orizzonte stupendo. Non solo la replica della Batavia, che risale ormai al 1985, ma altri antichi scafi “spiaggiati” attendono un restauro. Il maestro Vos, dopo il sostegno di Comune di Provincia, sta ora ricevendo la generosità delle aziende private.
La professoressa
Anjana Singh, storica del colonialismo all’università di Groningen, che ha partecipato ai dibattiti radio-televisivi in Flevolandia sul restauro della Batavia è convinta che questo possa essere istruttivo.
La copia – ci spiega la professoressa Singh -mostra, entro certi limiti, anche il lato oscuro delle attività della
VOC, la Verenigde Oos-Indische Compagnie, la compagnia delle Indie Orientali. Nei media popolari, in televisione o radio, aggiunge la studiosa, la VOC è spesso mostrata in chiave positiva.

Lo spirito imprenditoriale degli Olandesi è messo in luce. Qualche anno fa, ricorda la docente, un primo ministro si è anche riferito allo “spirito della Compagnie delle Indie Orientali”. Ha ricevuto alcune critiche, ma in generale tra i cittadini dei Paesi Bassi c’è un senso di orgoglio associato alla VOC. Per la professoressa Singh, molte persone ignorano il lato oscuro della storia, “E’ stato raccontato loro di profitti e spirito commerciale, ma non della violenza, del razzismo, della discriminazione, dello schiavismo che andarono di pari passo col commercio – aggiunge la studiosa – Un esempio di omicidio di massa è quello del massacro, nel 1740, di millesettecento e quaranta cinesi in Batavia. Si stima che poi, nel giro di pochi giorni, ne furono uccisi fino a diecimila. In termini moderni, sarebbe stata chiamata una pulizia etnica.

La Voc, dolore e guadagni

Per Anjana Singh “il commercio è sempre spietato. La massimizzazione del profitto era lo scopo della Compagnia delle Indie Orientali. La VOC mosse guerra ai portoghesi e agli inglesi che erano in India, ma anche contro gli stessi governanti indiani. Un esempio: nel 1741 la Compagnie delle Indie Orientali combattè il re di Travancore, a causa dei diritti per procurare il pepe dall’interno del Paese. La VOC perse e restò in una situazione di compromesso, realizzando solo una parte del suo obiettivo commerciale. Durò mezzo secolo, poi vennero cacciati dalle forze britanniche che si battevano per la Compagnia delle Indie Orientali Inglese”.


Ma cosa significa oggi il
colonialismo per i discendenti di coloni e colonizzati? Per la storica dell’università di Groningen «È difficile appiccicare un cartellino col prezzo del dolore e con quello dei guadagni. Ciò che deve essere detto è sembra non esserci alcun senso di responsabilità sociale. Chiedete al cittadino medio olandese se si vergogna per le azioni del suo Paese come potere colonizzatore. Avrete una risposta chiara: no, perché io non ho nulla a che fare con questo. Io non ho commesso questi crimini. D’altra parte, tutti sono orgogliosi della prosperità e dell’arte dell’epoca d’oro. Penso che la decolonizzazione, iniziata solo negli anni Quaranta e Cinquanta, sia un processo, decolonizzare le menti richiede tempo. I popoli colonizzati, d’altra parte, soffrono ancora per le atrocità del passato».
Una nuova, completa presentazione della restaurata
nave Batavia potrà aiutare a comprendersi meglio.

(*) ripreso da www.strisciarossa.it

 

 

 

 

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