La quarta dimensione di Ghiannis Ritsos

di Marisa Bello (*)

Cinque figure di vecchie donne leggendarie raccontano la loro storia che ha radici nel mito. Ma le loro storie antichissime, sottratte al totale oblio mitologico, si snodano nei paesaggi urbani di oggi. Le splendide ville che sembrano aver accolto la loro esistenza sono in rovina, ma sui ruderi il poeta fa brillare ogni tanto il bagliore metropolitano di un’insegna con i colori dell’oggi. In spazi d’altri tempi fuma, metafora del presente, una sigaretta. I millenni sembrano divorati dal vortice degli accostamenti, quello che viene narrato è cronaca, presente, eppure antichissimo mito. I ricordi delle anziane protagoniste, sono commozione che afferra; tuffo nel più remoto passato che ha tessuto il presente. Questi versi fanno sentire nei piedi più salde le antiche radici. Le donne di Ritsos sono tutte prossime alla morte; ognuna racconta, ricorda. Ma ricordare, se è emozione che serra la gola, è anche acuta comprensione – distanza – e la morte diviene qui davvero “ideale terreno di coltura della vita”. In questi versi la fine delle vecchie signore del mito diviene davvero, come diceva Kerényi “conoscenza chiara della morte, deliberato servire la vita”. E queste mitiche figure femminili sembrano più umane che mai nella narrazione dei loro frammenti di vita fulgidi come gioielli, che se ricevono alcuni bagliori dalle luci affievolite del mito, estinguendo la distanza del tempo, ci vengono ora restituite in uno spazio – tempo interiore, slargato e nuovamente trasfuso di vita. Così l’eco del tempo ci investe restituendoci la memoria di autentiche antenate spirituali colme di saggezza, cariche di ricchi vissuti emotivi che forse proprio per la loro mancanza di eroismi diventano la quintessenza della femminilità. Ritsos ci svela miti e riti delle sue eroine attraverso i loro pensieri segreti. Nessuna ha compiuto niente di eroico, nessuna è stata neppure madre. Eppure dai loro racconti scaturiscono fiumi di immagini vitali, e come le diverse variazioni di uno stesso tema musicale, ognuna parla d’amore e ci conduce ad una vera profonda immersione in noi stessi per, forse, dar volto ai nostri pensieri segreti, forse, cercare il suono dei nostri miti.

Marisa Bello

(*) da https://marisa-bello.blogspot.com/2022/01/quarta-dimensione-di-ghiannis-ritsos.html

 

Crisotemi

“A quei tempi,

spesso, passeggiando da sola in giardino, capitava

che mi s’avvicinasse alle spalle senza far rumore la luna, e

d’improvviso

mi tappasse con le mani gli occhi domandando: ‘Chi sono?’.”

“Allora

mi avvicinai allo specchio e provai, per la prima volta, a tingermi

le labbra,

con quel rossetto misterioso e sacro di mia madre. Sulle mie

labbra

si stese un bel tramonto pieno di rimorsi – un triste bagliore

rosso.”

 

Ismene

“I grandi orologi a muro sono fermi – nessuno li ricarica;

e se qualche volta sosto davanti ad essi, non è per guardare

l’ora,

ma per specchiare nel loro vetro il mio volto,

stranamente bianco, di gesso, impassibile, come fuori dal tempo,

mentre nel loro fondo oscuro le lancette ferme,

proprio dietro la mia immagine, sono un bisturi immobile

che non ha più ferite da incidere, non ha più niente

da asportarmi – paura o speranza, attesa o ansia.”


“Allora mandavano a chiamare il vecchio indovino cieco.

Un bambino dolce

lo teneva per mano. Maestoso, astutissimo, bello,

la barba lunga fino alle ginocchia, i grandi occhi vuoti

(pensavo che si fingesse cieco e che la barba fosse finta)

col suo bastone autoritario, – esalava calma, beatitudine,

pienezza;”

 

Fedra

“Non so più dove mettermi,

così assediata dalle mie ombre, più evidente che mai,

eretta, mi sembra, in mezzo al mondo, tradita, visibile ad ogni

dove.”

 

“tengo in mano le forbici,

tento di ritagliare una tunica dalla stoffa, – dal rumore capisco

che taglio il pelo d’una mia ombra.”

 

Elena

“Così reclusa, serrata, tesa – che stanchezza, mio dio, –

serrata in ogni istante (perfino durante il sonno) come

in un’armatura gelida, o il corpo intero entro un busto di

legno, come

in un mio cavallo di Troia, ingannevole, stretto, conoscendo

ormai

la vanità dell’inganno e dell’illusione, la vanità della fama,

la vanità e la precarietà della vittoria.”

“In questa casa il vento s’è fatto pesante e inspiegabile, forse

per la presenza così naturale dei morti.”

 

Persefone

“Te l’assicuro, –  stavo bene laggiù. Mi ci sono abituata. Qui non

resisto;

c’è troppa luce – mi fa ammalare – una luce denudante,

inaccessibile;

rivela ogni cosa e la nasconde;”

“Sentii allora il suo braccio avvolgermi la vita,

ruvido, peloso, muscoloso, domare la mia resistenza; – ma

quale resistenza? –

io non ero più io; – nessun timore, dunque, d’essere umiliata;

ogni cosa

s’era immobilizzata nell’infinita trasparenza

d’un compiuto impossibile.”

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