La rabbia e il dolore delle donne

Un doppio percorso di lettura con Lella Di Marco: attraverso «Malefica» di Maura Gancitano» e «Le dita tagliate» di Paola Tabet

Lella-copMalefica

Propongo un viaggio a ritroso nel tempo e nei popoli per comprendere come il dolore delle donne sia storicamente determinato e che la dimensione di genere femminile venga costruita, ad arte, al servizio dell’uomo e dell’organizzazione sociale ed economica. In ogni tempo. In ogni zona del mondo, dalla sconfitta del femminismo “sacro” e dal dominio della società patriarcale.

I nostri mezzi di trasporto in questo viaggio sono due testi diversi come metodologia di analisi e visione del mondo. Lavoro intellettuale di due donne, diverse anche per età, provenienza geografica, formazione culturale ma protese entrambe a contribuire alla trasformazione, in senso positivo , dell’esistente.

Il primo

«Malefica come trasformare la rabbia femminile» di Maura Gancitano (edizione Artediessere, 2015)

La nostra autrice intraprende un cammino lungo 120 pagine per entrare nel dolore che le donne vivono da sempre, individuarne le dinamiche, le articolazioni che hanno prodotto e continuano a produrre ferite, esclusione, abbandono che portano alla rabbia la quale continua a riprodurre la solita condizione di dolore e infelicità.

Il tutto è presente da sempre nel mito, in storie, fiabe e favole: incredibilmente le stesse narrazioni in Paesi lontani e senza alcun contatto fra loro. Narrazioni e ri-narrazioni. Contestualizzate. Con il cambiamento inevitabile del tessuto sociale e della mentalità di uomini e donne.

Il valore delle fiabe, in senso psico-antropologico emerso con le indagini di Carl Gustav Jung – continuate poi da Lousse von Franz, Bruno Bettelheim, Clarissa Pinkol Estès, Paul Ricoeur – ci ha messo davanti al femminile che è dentro ogni essere umano e al rapporto uomo/donna .

E’ vero che le storie narrate non esprimono la reale condizione delle donne, anche perché la narrazione è a opera di maschi i quali esprimono proiezioni e difficoltà a gestire “il loro femminile”. Gli archetipi presenti vanno decifrati alla luce delle moderne categorie della psicologia, tenendo conto delle trasformazioni prodotte, soprattutto negli ultimi 3-4 secoli.

Allora «La bella addormentata nel bosco» è una bella favola che incanta i bambini e le bambine, con grande valenza formativa-pedagogica, ma esprime molto di più.

Nelle streghe, nelle fate, nel mito è indicata la nostra storia: il conflitto con il maschio, il materno cattivo, il grembo ostile, il femminile avverso al femminile, la vendetta nei confronti del maschile, il desiderio di potere…

Il dolore per le ferite subite produce rabbia, altra infelicità, violenza, vendetta praticate con gli stessi metodi del patriarcato, del maschio che così non viene sconfitto ma rafforzato.

E le donne non si liberano dei torti subiti, diventano carcerieri di se stesse e spesso anche di altre donne, soprattutto delle più giovani. In preda alla rabbia, non vedono altra soluzione che abbracciare il maschile, finendo così per “tagliarsi e tagliare le ali”.

Nel tentativo di semplificazione rischiamo di essere riduttive se non indichiamo che nel mito e nelle fiabe la complessità regna: il contrasto fra i generi ma anche fra il maschile e il femminile che è dentro ogni essere umano, la rabbia ma anche il desiderio di cambiare, nonostante la violenza congeli il cuore

La rabbia deve essere trasformata, per sanare le ferite delle donne ma anche quelle degli uomini…

«A livello socio-politico se le donne hanno vissuto innumerevoli mortificazioni, gli uomini hanno portato su di sé il peso di quegli atti. Ed è un peso che dobbiamo portare unitamente in modo che ne giovi tutta la società. E questo processo collettivo passa attraverso un gesto di perdono individuale. Il perdono rappresenta anzitutto la capacità di immaginare una vita diversa , una realtà in cui l’uomo non è più carnefice ma è davvero compagno della donna» (pagg 116- 117).

Maura Gancitano è nata a Mazara nel 1985, vive a Roma occupandosi di filosofia, ricerca interiore, astrologia, salute naturale, floriterapia, maternità. Consola sapere che una giovane studiosa abbia interesse culturale, sulla donna e sul femminile. Lavorare su di noi può essere utile ma non basta, come non può essere sufficiente enunciare buoni princìpi. La realtà è molto complessa e per conoscerla nei dettagli e cambiarla occorrono metodi di “trivellazione” nuovi e adeguati .

Non possiamo, ancora, permetterci il lusso di idealismi.
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Il secondo

«Le dita tagliate» di Paola Tabet (Ediesse, 2014)

Se usciamo dal viaggio nel mito, nell’archetipo, nel simbolico… scopriamo che il rullo compressore sulle soggettività femminili continua, sempre ovviamente con la mistificazione della funzione pedagogica. Costruita, ad arte per foggiare, fin dalla prima infanzia, maschi e femmine come gruppi opposti, preparandoli e conformandoli su un piano per le loro posizioni sociali non egualitarie ma di dominanti e dominate.

La gabbia ingabbia perfettamente mostrando il tutto come determinato per dati biologici, nonostante i cambiamenti (apparenti ) di mentalità e organizzazione sociale. Il dominio è costruito sul piano mentale ma anche su quello materiale quotidiano. Con il diverso accesso al mondo del lavoro, dalla dipendenza economica al doppio ruolo di madre/moglie e lavoratrice, all’obbligo produttivo e riproduttivo, al lavoro di cura, al minore accesso all’alimentazione, alla conoscenza, al sapere, agli studi. In ultima analisi all’appropriazione diretta del gruppo delle donne e della singola donna da parte del gruppo e della classe degli uomini

Tutto questo si scorge “a occhio nudo”: come mai allora anche studiosi di valore non hanno visto e non vedono il rapporto di dominio pervasivo e mortale? Cioè l’incredibile operazione di domesticazione e oppressione delle donne?

Paola Tabet etnologa di professione, ha avviato la sua ricerca-osservazione-analisi da ormai quasi mezzo secolo e continua in una novità-individuazione delle classi sociali, della costruzione dell’idea di razza, genere, sesso, produzione sessuale, transazione sessuale, sesso e rapporti-relazioni sessuali, in una logica di dominio-sfruttamento della donna, che ricalca le logiche della produzione/sfruttamento dell’economia capitalista.

Se seguiamo la metodologia di conoscenza e analisi sociale marxista, quali sono le classi? Il corpo della donna è finalizzato anche all’accumulazione del capitale? Il considerarlo funzionale alla riproduzione è pari al considerarlo mezzo di produzione tale da produrre plus valore?

La ricerca spazia su donne dei diversi continenti, dall’oriente all’occidente, dal nord dell’America ai Paesi africani. Le analogie riscontrate sono molte ma sempre in un rapporto di dominio e differente accesso alla ricchezza e al sapere.

La donna? Un ventre da non lasciare mai vuoto. Così fra gravidanza e allattamento veniva immobilizzata per 2 anni: considerata l’età fertile e le capacità a procreare (molto inferiore a quella di topi o mucche) si arriva alla messa al mondo di almeno 12 esserini.

Quando tutto questo, ai primordi della civiltà? Nooo. In molti Paesi non acculturati anche oggi. Agli inizi del novecento in Virginia (Usa) o in molte regioni d’ Italia, il programma è lo stesso.

Personalmente ho ancora vivi i racconti di nonne, zie e altre donne in Sicilia. Tante gravidanze, tanti parti ma anche figli morti di epidemie come “la spagnola” o il tifo… ma in tutte ritrovo ODIO per i maschi, paura e disgusto per la sessualità. Così domare le donne e le tecniche della riproduzione garantiscono il loro sfruttamento, tenendolo occulto.

«Tra i Dugum Dani della Nuova Guinea, durante le cerimonie funebri si effettuano donazioni , gli uomini offrono maiali o altro, le bambine le loro dita. Alle bambine povere, il cui padre non può offrire il maiale o altro vengono tagliate una o due dita , con un colpo di ascia di pietra» (pagina 243).

Le società delle diseguaglianze, dello sfruttamento, dell’oppressione, del maschilismo continuano a tagliare le dita alle donne. Anche se, ai nostri giorni, il fenomeno va letto in senso metaforico, è pur sempre un modo per risolvere senza costi aggiuntivi le crisi del sistema scaricando sulle più deboli.

A parte la novità dell’analisi, credo che la lettura di «Le dita tagliate» possa portare, oltre alla conoscenza dei fenomeni, a una maggiore consapevolezza per maschi e femmine, ragazzi/e contribuendo a suscitare passioni e progetti di vita.

Mi sento di consigliarlo come libro da adottare nelle scuole.

Paola Tabet è etnologa, docente universitaria: ha prodotto ricerche sul razzismo -. come «La pelle giusta» (Einaudi) – e a Parigi con il gruppo di “Questions Féministe” sui rapporti sociali fra i sessi. Assai prezioso il suo testo «La grande beffa» (Rubbettino 2004) sulla sessualità delle donne e lo scambio sessuo-economico.

 

 

Redazione
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