La sanità lombarda va commissariata
da www.medicinademocratica.org
In Lombardia come in Calabria: che cosa si aspetta ancora per commissariare anche la sanità lombarda? Forte e ineludibile la richiesta di 45 associazioni lombarde nella maratona web di oggi (7 novembre), in concomitanza con la manifestazione statica di una rappresentanza davanti a Palazzo Città di Lombardia.
«La tragica eccellenza della sanità lombarda, questo siamo diventati per l’Italia e per l’Europa, in caduta libera su tutti i fronti e non è davvero più possibile attendere! con 100.000 firme e la mobilitazione di oltre 45 associazioni lombarde, chiediamo che il presidente del Consiglio Giuseppe Conte faccia in Lombardia ciò che ha appena annunciato per la Calabria: deve commissariare la sanità lombarda per salvare la salute di tutti, finché si è ancora in tempo» ha dichiarato Marco Caldiroli, presidente nazionale di Medicina Democratica, nel corso della conferenza stampa e della maratona web di stamattina, indetta in contemporanea con la manifestazione statica di una rappresentanza davanti a Palazzo Città di Lombardia, in via Galvani a Milano. L’iniziativa – promossa dal Coordinamento Nazionale per il Diritto alla Salute e della Campagna Dico 32 – è stata organizzata d’urgenza e con modalità diverse da quelle preannunciate il 21 ottobre scorso, per le sopraggiunte norme restrittive, che hanno impedito l’arrivo a Milano delle delegazioni da tutte le città lombarde.
Nel corso della maratona, coordinata da Medicina Democratica e durata l’intera mattinata, ci sono stati numerosi interventi e contributi, con collegamenti anche dalla Gran Bretagna e da altre città italiane come Bologna e Napoli, dove era in corso una manifestazione in presenza per la sanità campana: trasmessa in diretta sul sito e sulle pagine Faceboock di Medicina Democratica e della Campagna Dico 32 ha raggiunto quasi 20.000 contatti.
Vittorio Agnoletto, medico, responsabile “Osservatorio Coronavirus”, autore del libro “Senza Respiro”, inchiesta indipendente sul Coronavirus in Lombardia, ha detto che «La situazione della sanità territoriale lombarda è una Caporetto, ma il rischio è che anziché finire a Vittorio Veneto si finisca in una Waterloo e come a Caporetto anche in Lombardia i “generali”, assessori e giunta, si assolvono. Ma la realtà è sotto gli occhi di tutti. La rinuncia della ATS di Milano ad eseguire i tamponi ai contatti è un alzare bandiera bianca e lasciare che il virus dilaghi; i medici di medicina generale sono rimasti senza DPI adeguati, senza saturimetri e quindi non in grado di assistere nelle loro case i malati, i quali sono abbandonati a se stessi anche dalle Usca, che in Lombardia sono meno di un terzo di quelle previste dalla legge. L’ondata di persone che si rivolgono ai Pronto Soccorso e agli Ospedali è il risultato di questo disastro frutto di errori e di incompetenza da parte dei responsabili regionali. Nessun sistema sanitario può reggere da solo l’impatto di un’epidemia come questa senza presidii territoriali efficienti. In cinque mesi non è stato fatto nulla».
Claudio Libani, del Comitato Difesa Sanità Pubblica Città Metropolitana Milano Sud Ovest, da via Galvani ha detto che «vogliamo una sanità pubblica universale e gratuita: è urgente raccogliere tutte le risorse per riportare/riattivare i servizi sanitari sul territorio, principio fondamentale della prevenzione!».
Luca Venneri, coordinatore nazionale della Rete Antifascista ha rimarcato che: «Il sistema lombardo è un gigante dai piedi d’argilla e in questa pandemia dimostra tutte le sue fragilità. Abbiamo bisogno di una nuova visione dove non solo efficacia, efficienza ed economicità devono essere i “mantra” per il sistema sanitario lombardo ma anche equità, intesa sia come equità di trattamento ma, anche, come equilibrio tra prerogative economiche e prerogative di umanità e solidarietà».
Angelo Barbato, del Forum per il Diritto alla Salute Lombarda, ha denunciato che «dopo cinque anni è giunta alla scadenza la verifica della cosiddetta riforma Maroni LR 23/2015, su cui si regge la sanità in Lombardia. Una verifica che è presto fatta: distruzione della medicina territoriale, servizi per la prevenzione e l’igiene pubblica ridotti al lumicino, riduzione dei posti negli ospedali pubblici e aumento dei privati, piano socio sanitario scaduto nel 2014 e mai rinnovato. La legge è fallita e va cancellata per ricostruire la sanità in Lombardia su nuove basi, vicina ai bisogni del territorio e della gente».
«Questi obiettivi ed altri – ha concluso Fulvio Aurora, del Direttivo Nazionale di Medicina Democratica – sono stati condivisi e dettagliatamente articolati nel Manifesto nazionale “La salute non è una merce, la sanità non è una azienda” che, a sua volta, contribuisce alla realizzazione delle iniziative “per costruire una società della cura”, con associazioni che si occupano di ambiente, sociale, economia. Una grande rete per imparare la lezione del coronavirus e invertire la autodistruzione della nostra specie, dalla crisi climatica alle guerre infinite, alla povertà e alle disuguaglianze sociali e, appunto, alla negazione del diritto alla salute».
Ottima e condivisibile questa mobilitazione, in particolare se si pensa che il “modello ” della sanità lombarda in prospettiva doveva essere esteso a tutto il territorio nazionale.
Una mia sollecitazione per una eventuale risposta degli esperti. Salvatore Belcastro, chirurgo cosentino, ma con conoscenza profonda della realtà emiliano-romagnola, dove si è formato, lavorando anche per l’Università di Ferrara, ha inviato qualche giorno fa una lettera al Quotidiano del Sud che può essere illuminante. Indirizzata alla curatrice della rubrica, Annarosa Macrì, egli scrive: “ Giuseppe Zuccatelli (mia nota: il nuovo commissario per la sanità calabrese) si è formato alla scuola di Mario Zanetti e di Giuseppe Guerra, i due famosi manager che tra gli anni ’70 e ’90, da Bologna, hanno esteso il sistema sanitario oggi in vigore in Italia, ispirando l’intera legge sanitaria attuale. Alla loro scuola si è formato un gruppo di giovani (di allora) sono stati distribuiti per gestire e allineare le varie aziende sanitarie dell’Emilia. A quella scuola si è ispirata la Ministra della Sanità di allora per la legge sanitaria Bindi-ter. Il sistema aveva l’obiettivo principale di risparmiare al massimo, e usò come strumento la centralizzazione di quasi tutta l’attività sanitaria negli ospedali regionali: ne derivò la riduzione del numero complessivo di posti letto di circa il 60%, e una grave crisi della medicina territoriale. Che questo sia il più grande problema della sanità oggi lo sta denunciando la pandemia che stiamo vivendo, la cui gestione è condizionata dal problema del numero dei posti letto. (…) E allora veniamo al quesito da porre al Governo: quale modello di sanità ha in mente? Quello ispirato alla scuola bolognese, o vuole davvero rinforzare la medicina del territorio, in questo momento quasi a zero? Ogni giorno sentiamo il ministro Speranza sostenere questa seconda linea strategica, che oltretutto, in questoo difficile momento, sarebbe la strada ottimale per affrontare la pandemia. Se questo è vero, la scelta di Zuccatelli non è coerente con questo orientamento, perché le sue linee guida vanno in altra direzione, e la sanità in Calabria, invece, soffre principalmente nel territorio.”
E io aggiungerei in molta parte d’Italia.
Poichè si è determinata dagli anni ’90 una controriforma sanitaria strisciante, non sarà facile invertire la tendenza, dato che il rilancio della medicina territoriale , senza la rimessa in discussione dell’aziendalizzazione della sanità e della logica economicistica che ha comportato la chiusura degli ospedali di prossimità, rischia di rimanere un’ipotesi di scuola. In provincia di Varese, ad esempio, proprio per l’avvenuta soppressione di centinaia di posti letto, assistiamo alla riapertura dell’ospedale di Cuasso al Monte, nonchè ad un diverso riutilizzo di quelli di Cittiglio e di Angera . Solo che la loro funzionalità è subordinata a quella di un adeguato numero di personale qualificato, che come sappiamo è come cercare un ago nel pagliaio. Sulla medicina territoriale consiglio, per comprendere in quale contesto siamo collocati, la lettura dell’articolo di Milena Gabanelli e Simone Ravizza ” Medici e cure a casa. Cosa non funziona ? “, apparso su Il Corriere della sera del 9 novembre.