La sconfitta della rivoluzione povera di fra Dolcino
di Fabrizio Melodia
«Or di’ a fra Dolcin dunque che s’armi,
tu che forse vedrà il sole in breve,
s’ello non vuol qui tosto seguitarmi,
sì di vivanda, che stretta di neve
non rechi la vittoria al Noarese,
ch’altrimenti acquistar non saria leve.»
(Dante Alighieri, «Inferno», XXVIII, 55-60).
Così il “sommo poeta” destina Dolcino tra le bolge infernali dei fomentatori di discordie e degli scismatici, pur scrivendo la Commedia nel ‘300, con Dolcino ancora in vita. Infatti a parlare del frate rivoluzionario sarà Maometto, che preannuncerà l’arrivo dell’eretico al sommo poeta, una delle tante profezie che Dante usava per parlare di personaggi ancora viventi.
Figura assai vituperata e controversa, Frà Dolcino è noto anche al di fuori della ristretta cerchia degli storici. Il 23 marzo ricorre l’anniversario della sua definitiva sconfitta e prigionia da parte della Chiesa Cattolica.
Delle origini di Fra Dolcino si sa poco o nulla. Sconosciuta la data di nascita, incerto persino il nome d’origine, forse Davide Tornielli. Una convenzione fra gli storici attesta che Dolcino nacque probabilmente a Prato Sesia, mentre altre fonti situano il luogo di nascita nella zona di Novara.
Anche i primi anni di vita di Dolcino sono avvolti nel mistero, persino che fosse frate è dubbio. Di certo si sa che nel 1291 entrò a far parte del movimento degli Apostoli, fondato da Gherardo Segalelli, messo al rogo il 18 luglio 1300. I suoi adepti praticavano la costante preghiera e le privazioni fisiche, lavoravano o chiedevano l’elemosina, non avevano l’obbligo del celibato. Come rito di accoglienza nel movimento si doveva entrare completamente nudi, per dimostrare la propria umiltà totale nei confronti di Dio e degli altri membri.
Gli Apostoli credevano nella predicazione delle Sacre Scritture da parte dei laici, una cosa inaudita a quei tempi da parte e soprattutto l’obbligo a perseguire l’assoluta povertà e persino la disobbedienza nei riguardi del papa quando egli s’allontanava dai precetti evangelici. Erano inoltre convinti che la Chiesa, a causa della sua corruzione interna, dovesse subire in tempi brevissimi l’impietoso castigo divino.
La predicazione di Fra Dolcino si concentrò soprattutto nella zona del lago di Garda e nei pressi di Trento, nel 1303, conobbe Margherita da Boninsegna, che divenne sua compagna di vita e di predicazione. Grazie a loro, il movimento degli Apostoli crebbe sempre di più, attirandosi le ire furibonde di papa Bonifacio VIII, di cui Dolcino “annunciò” senza mezzi termini la fine imminente.
Dolcino e i suoi seguaci andarono a predicare nel vercellese e nella Valsesia, ottenendo un’accoglienza entusiasta. Questo fece scattare qualcosa in Fra Dolcino, portandolo a chiedere l’appoggio armato di Matteo Visconti per occupare militarmente proprio la Valsesia che divenne così il centro vivo dell’attuazione pratica dei precetti di vita degli Apostoli.
Il 10 marzo1306, Dolcino e i suoi seguaci si ritirarono in pellegrinaggio sul Monte Rubello, a poca distanza dal Bocchetto Sessera, nell’attesa della fine della corrotta Chiesa di Roma. Tale “profezia” fece infuriare il vescovo di Vercelli (Raniero degli Avogadro) che promosse una crociata armata contro i dolciniani: i soldati giurarono sul Vangelo che avrebbero perseguito tutti i seguaci di Dolcino fino allo sterminio.
Raniero degli Avogadrò iniziò perseguitando la popolazione che dava aiuto a Dolcino e ai suoi seguaci. Nel frattempo gli Apostoli ebbero modo di organizzarsi costruendo fortilizi e riunendo, secondo alcune fonti, almeno diecimila uomini armati.
Probabilmente i “combattenti” di Dolcino erano in numero assai minore eppure quei «guerriglieri della povertà» compirono molte sortite contro le truppe stanziate nel novarese. Però le persecuzioni dei “crociati” contro il popolo ebbero l’effetto sperato, portando via rifornimenti e protezione a Dolcino.
Il 23 marzo 1307, nel cuore della «Settimana Santa», i crociati di Raniero invasero il fortilizio, uccidendo tutti tranne Margherita, Dolcino e il suo luogotenente Longino da Bergamo che vennero condannati a una morte atroce.
Margherita e Longino furono torturati e arsi vivi sulle rive del torrente Cervo, proprio davanti a Dolcino che – secondo Benvenuto da Imola – fu sottoposto a torture terribili con tenaglie arroventate e poi arso vivo davanti alla basilica di Sant’Andrea, il 1 luglio 1307.
PER APPROFONDIRE
– Raniero Orioli (a cura di) «Fra Dolcino. Nascita, vita e morte di un’eresia medievale», Jaca Book, 2004;
– Centro Studi Dolciniani (a cura di), «Fra Dolcino e gli Apostolici tra eresia, rivolta e roghi», DeriveApprodi, 2000;
– Giulio Pavignano, «Dolcino. L’ultimo Eretico», Edizioni Ieri e Oggi (Biella) 2007;
– Lorenzo Strona, «L’ontano nero. Passione e morte di un eretico medievale», Giuliano Ladolfi Editore, 2012.
In “bottega” cfr Fra Dolcino ricordato sulle montagne biellesi, Scor-data: 23 marzo 1307 e 1 giugno 1307: fra Dolcino sul rogo
Qui sopra il cippo, sul monte Rubello, per Dolcino. E’ una vicenda esemplare nella lotta per la memoria contro le rimozioni dei poteri (oggi si parla, spesso a sproposito, di “cancel culture”). Nel 1907, cioè a 600 anni dalla morte di Dolcino, diecimila persone si riunirono sui luoghi dell’ultima battaglia per alzare un obelisco. Nel 1927 fu abbattuto dai fascisti. Ma nel 1974 un altro monumento fu alzato nello stesso punto del monte Rubello. Da allora ogni anno, nella seconda domenica di settembre, lì viene organizzato un convegno dolciniano. La vicenda di Dolcino e di Margherita è ricordata anche in uno degli episodi di “Cantalamappa” dei Wu Ming.
MA COSA SONO LE «SCOR-DATE»? NOTA PER CHI CAPITASSE QUI SOLTANTO ADESSO.
Per «scor-data» qui in “bottega” si intende il rimando a una persona o a un evento che il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna deformano, rammentano “a rovescio” o cancellano; a volte i temi possono essere più leggeri ché ogni tanto sorridere non fa male, anzi. Ovviamente assai diversi gli stili e le scelte per raccontare; a volte post brevi e magari solo un titolo, una citazione, una foto, un disegno. Comunque un gran lavoro. E si può fare meglio, specie se il nostro “collettivo di lavoro” si allargherà. Vi sentite chiamate/i “in causa”? Proprio così, questo è un bando di arruolamento nel nostro disarmato esercituccio. Grazie in anticipo a chi collaborerà, commenterà, linkerà, correggerà i nostri errori sempre possibili, segnalerà qualcun/qualcosa … o anche solo ci leggerà.
La redazione – abbastanza ballerina – della bottega
Fra Dolcino è uno dei tanti uomini di fede che l’hanno usata non per predicare rassegnazione e l’accettazione dell’oppressione e dello sfruttamento; ma per guidare le masse alla ricerca della libertà. Elemento comune, la fondazione di comunità nelle quali, in misura diversa, era il gruppo, la fratellanza, l’aiuto reciproco a contare. Uno dei tanti. Cita a memoria: il Consilheiro, Lazzaretti, Gandhi (a modo suo), Gesù ecc.
Altri sorgeranno. Altre lacerazioni nelle Chiese. Conseguenza inevitabile delle lacerazioni del tessuto sociale.
Scusate: ho dimenticato l’adepta della chiesa di Dio, molto più importante dei ribelli al papa: EVA. Che del concetto di ribellione è simbolo. Il solito maschilismo che serpeggia in noi (uomini e donne) non mi ha permesso di prenderla immediatamente in debito conto.
Non so se il Vaticano abbia mai “sconfessato” gli atti compiuti dai suoi rappresentanti in difesa non tanto di una fede quanto dei privilegi che il potere temporale accordava loro. I richiami di tutte le “eresie” alla povertà e rispetto del dettato evangelico fu sempre e soltanto soffocato nel sangue o attraverso torture e stermini di massa operati da veri e propri eserciti. La storia di Dolcino permea praticamente tutto il romanzo di Umberto Eco, Il nome della rosa. E non a caso inserisce l’autore inserisce la figura di Bernardo Gui, autore tra l’altro del primo vero “manuale” per trattare i casi di eresia. Posso aggiungere poco a quanto già segnalato dall’amico Miglieruolo. Le comunità cripto-religiose definite eretiche erano in qualche modo mosse da un intento di rivalsa contro il potere e la ricchezza dei vescovi (mi sovviene con un sorriso la canzone Prete Liprando e il giudizio di Dio scritta e cantata da Jannacci) niente affatto estranei agli interessi delle famiglie nobiliari che dominavano i vari territori in cui le eresie si diffondevano. Una lotta contro il potere, insomma. Destinata a essere spenta perché quegli interessi erano gli stessi di Roma. E in quanto tali intoccabili, pena il tragico epilogo, qualche centinaio di anni dopo gli eventi dolciniani, culminato nella Guerra dei Trent’anni…
Dario Fo ne parla nel suo “Bonifacio VIII”. Sul tema della storia nascosta ricordo “La leggenda nera” di Bartolomé de Las Casas. Buon lavoro.