La strega e il capitano

di Natalino Piras

Nico Orunesu, Baccanti 2018

*Per i milanesi che vogliono titolare Malpensa a Berlusconi, perché si sforzino a capire, a tornare indietro, a chiedere scusa a Milano, all’Italia intera, a quanti, milanesi e no, mai potranno perdonare  che gente come Berlusconi abbia fatto bruciare viva la strega Caterina Medici, tutte le streghe colpevoli di essere giuste tra i giusti.

 

“La strega e il capitano” è un libro di Leonardo Sciascia, pubblicato da Bompiani nel 1986. È la ricostruzione della tragica vicenda di Caterina Medici, messa al rogo come strega nella Milano del Seicento, al tempo della peste, la stessa  immanente nella “Storia della colonna infame” e nei “Promessi sposi” di Alessandro Manzoni, uno degli autori di riferimento di Sciascia, la sua visione del mondo.

Il libro di Sciascia ricostruisce il “caso Vacallo” o “caso Melzi” o “caso Caterina Medici”. Secondo l’autore siciliano l’operato dei giudici milanesi, gli stessi che condannarono a orribile  morte perché untori il barbiere Gian Giacomo Mora e il commissario di sanità Guglielmo Piazza (appunto la vicenda  della colonna infame), è paragonabile a quello dei giudici nazisti che decretavano lo sterminio di oppositori e disabili. Giudici criminali. Caterina Medici, la strega, e sua madre Caterinetta sono le vittime.

Sciascia muove dall’incipit del XXXI  capitolo dei “Promessi sposi” dove Manzoni ribalta in negativo la figura del protofisico Ludovico Settala. A dettare le condizioni è la peste, la paura del contagio, la costruzione di untori. «Il protofisico Lodovico Settala, allora poco men che ottuagenario, professore di  medicina all’università di Pavia, poi di filosofia morale a Milano, autore di molte opere riputatissime allora […] partecipava de’ pregiudizi più comuni e più funesti de’ suoi contemporanei: era più avanti di loro, ma senza allontanarsi dalla schiera, che è quella che attira i guai, e fa molto perdere l’autorità acquistata in altre maniere». I Melzi, inquisitori di Caterina Medici, la strega, sono della stessa casta di Settala, partecipano dello stesso pregiudizio. Vacallo, il capitano, personaggio torbido, reduce da non si sa quale campo di battaglia, è un loro strumento. Testimonia contro Caterina Medici che è serva in casa del senatore Melzi e che viene accusata di essere causa, con i suoi intrugli, dei mal di stomaco di cui soffre Vacallo. Chi sa, vigliacco com’è, se ha tentato di sedurre Caterina. L’impotenza genera il massacro, impotenza come quella del senatore Melzi incapace a possedere sessualmente la strega Caterina Medici ma detentore di tanto potere capace di condannare al rogo la sventurata, presa in un meccanismo più grande di lei, dei suoi presunti artifici e inganni. Ironia, sarcasmo e lucida ragione si alternano nella ricostruzione sciasciana. “La strega e il capitano” è un testo che si legge non  senza provare sdegno e disprezzo contro tutti i Settala-Melzi-Vacallo del mondo, in ogni epoca, quando scoppia la peste. Il libro di Sciascia mette in piazza la tragedia della stupidità ma anche del Potere che pur di mantenersi, rafforzarsi e tramandarsi è capace di qualunque nefandezza. La strega e il capitano, avverte Sciascia, funziona come una controstoria, alla stessa stregua  della Storia della colonna infame «alla quale mai ci stancheremo di rimandare il lettore».

Interessante la ricostruzione fatta da Gabriella Contini della “Strega e il capitano” in un pezzo per “La Nuova Sardegna” del 22 febbraio 1986. «In meno di ottanta pagine di minuziosa e tremenda linearità Leonardo Sciascia ricostruisce l’universo di fatti che sta dietro una frase – o meglio una proposizione secondaria entro la frase – di una pagina manzoniana. Nel XXXI capitolo dei Promessi sposi, a proposito dei casi occorsi durante la peste al protofisico Ludovico Settala, Manzoni sottolinea con nerissima ironia […] che l’illustre Settala rischiò il linciaggio della folla, spaventata e feroce, allorché si recò a visitare i suoi pazienti colpiti dall’epidemia, mentre ottenne pubblica lode e fama di sapiente quando “cooperò a fare torturare, tanagliare e bruciare come strega una povera infelice sventurata…”»

La piazza milanese aveva assistito inerte e compiaciuta al rogo degli untori e di  Caterina Medici.

Il capitano Vacallo, criminale alla stessa stregua dei Melzi, si salva  perché è appunto un elemento da piazza, manovrabile, strumento di medietà, vile: come don Abbondio che proprio perché mediocre scampò alla peste.

Rispetto a Berlusconi, pure Don Abbondio è accettabile.

 

Natalino Piras, “Leonardo Sciascia”.

9 luglio 2024

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Immagini: Nico Orunesu

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