“La vera natura di Caravaggio” di Tomaso Montanari
di Giuliano Spagnul
L’ultima grave perdita di un quadro del Caravaggio risale a quasi mezzo secolo fa. Era l’ottobre 1969 quando a Palermo nell’Oratorio di San Lorenzo viene trafugato, per poi sparire nel nulla, la natività di Michelangelo Merisi. “Cinquant’anni prima, i ladri avrebbero portato via la Vergine di Van Dyck piuttosto che la Natività di Caravaggio: il gusto in arte progredisce con la stessa velocità con cui declina la moralità dei ricettatori.”1
Ladri a parte, il Novecento è stato il secolo che ha ridato un’altra occasione a “uno dei grandi rifondatori della nostra storia dell’arte”, Caravaggio che – più di Masaccio e Giotto, ci dice il critico Tomaso Montanari2 – “mette al centro della sua lingua pittorica il corpo umano” ma ancora più di loro “risolve tutti i suoi quadri come uno sguardo sul corpo. Uno sguardo nuovo, uno sguardo anticonformista, uno sguardo violento, a volte, e molto spesso uno sguardo che non era tollerato dai suoi contemporanei.”(*I) E qui Montanari chiede ragione, si e ci interroga sul “perché Caravaggio non sia stato accettato da una grande parte dell’establishment della sua epoca, perché i suoi quadri venivano rifiutati, tolti dagli altari.”(*I) Questa è la domanda iniziale e il trait d’union che terrà legate tutte le dodici puntate di questo vero e proprio scavo archeologico nella vita e nelle opere del pittore più maledetto dell’epoca, ricercato e perseguitato in vita e caduto poi in un semi oblio fino ai tempi recenti che lo consacreranno a nuova icona da immortalare e semmai spolpare fino a un nuovo, che questa volta potrebbe anche rivelarsi definitivo, oblio. Perché, in effetti “le opere d’arte non sono mai capolavori assoluti (dovremmo bandire questa parola dal vocabolario) sono sempre relativi, nel senso che sono immersi in una rete di relazioni con ciò che è venuto prima e ciò che è venuto dopo. Sono come dei nodi, dei gangli di una rete, di un sistema.”(*XI) E se questo è vero, di conseguenza anche il trionfo odierno di Caravaggio non dipende affatto da una nostra pretesa lungimiranza nel giudicare la bontà artistica di un pittore, quanto da una diversa possibilità del vedere: “ogni epoca vede quello che può vedere e fa vedere quello che può far vedere.”3
Allora, nell’interrogarci su Caravaggio oggi, è giusto, come fa Montanari, chiedere conto ai suoi contemporanei di ciò che essi vedevano in Caravaggio, cosa li estasiava e cosa li inorridiva. Ed è altrettanto giusto e proficuo, da questo punto di vista, incuneare Caravaggio all’interno di una storia dell’arte che arriva ai giorni nostri non grazie a un percorso lineare ma ancorato saldamente a un’idea di storia come “rete”, “sistema” di “nodi” e di “gangli”. Una storia, che come la pittura di Caravaggio non va in una sola direzione, ma si rincorre, si ripensa, ritorna sui suoi passi per adattarsi a nuove esigenze, per usi e scopi diversi. Montanari lo illustra magnificamente parlandoci della Madonna del parto(*XI) opera dell’ultimo periodo ma che per stile sembrerebbe dover essere retrodatata. Qui in realtà la pittura è meno aggressiva e più pacata, ma è funzionale al contenuto dirompente di una Maria, di un corpo di Maria post parto, affaticato e dolorante, assai poco allineato ai dettami imposti dalla Controriforma che negava un tale corpo alla vergine Maria. Troppo materiale e terreno, pochissimo spirituale. Ed è il corpo, per Montanari, come dicevamo all’inizio, il vero protagonista di tutta la pittura di Caravaggio e il motivo vero dell’opposizione alla sua opera. Era “il rapporto con i corpi, corpi rappresentati com’erano, senza filtri, senza veli, con una forza, un’evidenza, una disperazione che davvero era intollerabile. Dove i suoi contemporanei cercavano un rimedio, cercavano un’evasione, cercavano un’altra dimensione, cercavano una via di fuga dalla realtà: per esempio sulle pale degli altari pieni di angeli, di luce, di trascendenza, di cielo, di speranza, Caravaggio rimetteva al centro il nostro corpo con le sue lacerazioni, con le sue ferite e con le sue imperfezioni, con la sua fine.”(*I) Montanari percorrerà tutta la storia del Caravaggio avvalendosi degli scritti dei suoi contemporanei (o quasi contemporanei) come il Bellori, il Baglione e tanti altri e aggiungendo le incisive e affascinanti analisi del Longhi. Ma l’apporto che fa da ossatura a tutto il suo lavoro è costituito da uno “dei pensatori più alti, più acuti del Novecento”(*XII) Michel Foucault. Ma è proprio pensando a Foucault che la domanda posta all’inizio potrebbe, a ben vedere, subire un’inversione. Non tanto allora: perché Caravaggio abbia subito rifiuti, quanto: come sia possibile che delle sue opere siano state lasciate sugli altari. Come può permettere la Chiesa, il potere di quei tempi, che il suo “più grande apostolo della parola cristiana” sia rappresentato da “un quadro di silenzio”?(*V) Come è mostrato nella pala d’altare raffigurante “La conversione di S. Paolo” nella chiesa di Santa Maria del popolo a Roma. Forse, potremmo ipotizzare, perché il carattere eversivo della libertà di Caravaggio trova un riscontro proprio nell’altrettanto eversiva libertà di quel potere politico che sa di doversi mettere in gioco, di rischiare per potersi rinnovare e sopravvivere. “Il potere” ci dice Michel Foucault “viene esercitato soltanto su soggetti liberi, e solo nella misura in cui sono liberi.”4 Altrimenti si deve parlare di dominio, di schiavitù, e si sa, il destino di ogni dittatura è di essere, prima o poi, abbattuta. Il potere, quello che ha come fine “la capacità di orientare le condotte degli altri senza coercizione”5 dev’essere necessariamente una relazione. Abbiamo quindi, e tutto il percorso di Montanari lo evidenzia, una continua relazione fra la libertà eversiva di Caravaggio e la libertà di riconvertirla a proprio vantaggio da parte del potere supremo di quel tempo, il potere della Chiesa, quel potere pastorale dedicato alla salvezza delle anime confinate in quei contenitori peccaminosi dei corpi. La necessità di cambiamento indotta dall’evento traumatico della Riforma e dalla conseguente Controriforma necessitano da parte della Chiesa di un nuovo discorso sulla materialità e sulla spiritualità che demarchino una cesura definitiva col passato. “Non si entra in un’età in cui la carne dev’essere infine ridotta al silenzio, ma in un’età in cui la carne appare come correlativa di un sistema e di un meccanismo di potere che comportano una discontinuità esaustiva e un silenzio circostante organizzato attorno alla confessione obbligatoria e permanente.”6 Una nuova tecnologia del potere capace di occuparsi della “totalità dell’esistenza” di ogni credente. Come si potrebbe spiegare altrimenti l’erotismo della Santa Teresa del Bernini7 , quell’artista che succederà al Caravaggio nel ruolo di grande innovatore. Questo gioco rischioso, aperto proprio dal Caravaggio, che la Chiesa accetta per poter imbrigliare in un nuovo sistema di potere e di controllo “tutti quei turbamenti della carne che la pastorale tridentina aveva fatto comparire.”8 Sarà una lunga storia che vedrà entrare in campo, in modo sempre più massiccio, l’altro grande potere/sapere nascente, quello secolare della Scienza. Ma tutto ha inizio qui, in questa ridefinizione del corpo, in questa nuova storia politica del corpo a cui Caravaggio dà un contributo decisivo. Ma se la rivoluzione caravaggesca, in definitiva, viene usata dal potere a proprio vantaggio, la sua eredità: il suo “punto di vista”, quello “di un artista”, di colui che “l’arte la fa”(*IV) diviene, altresì, strumento per eccellenza di opposizione e resistenza al potere stesso. Come ben coglie Montanari: Caravaggio non sa concepire “le sue opere come dei racconti, come delle storie che si possano svolgere poi nel tempo del discorso parlato, ma come qualcosa che occupa lo spazio, che va visto con gli occhi e che quasi è inesprimibile in parole.” Ed in questo c’è “l’irriducibilità di Caravaggio al modello umanistico.”(*VII) E questo ci rimanda ancora a Foucault e al suo antiumanesimo. Come ricorda il suo grande amico, lo storico Paul Veyne: “occorre spogliare l’evento dai troppi ampi drappeggi che lo banalizzano e lo razionalizzano”9 . Proprio quei drappi che Caravaggio solleva al di sopra delle sue scene più drammatiche, al posto degli elementi caratterizzanti il trascendente, come il consueto coro di angeli, e che trasposti a un discorso umanistico e universalistico si potrebbero vedere come quelle “grandi idee generali” che “sono sempre false o piuttosto vuote. Per contro i fatti specifici, e soltanto essi, possono benissimo essere veri e verificati.”10 Fatti veri, come le scene sacre raccontate dal Caravaggio: La sepoltura di Maria, in cui “l’inversione delle gerarchie mette in primo piano una scena accidentale e colloca, mette, imprigiona sullo sfondo il cuore dell’azione sacra. Come al solito per Caravaggio il punto non è la trascendenza ma è l’immanenza. Se si deve seppellire qualcuno (…) c’è da scavare una fossa, c’è bisogno di qualcuno che lo faccia ed è questa la nuda cronaca di ogni funerale”.(*XI) Oppure nella morte della Madonna, in cui “Nulla lascia presagire l’assunzione in cielo, nulla lascia sentire la speranza della resurrezione; sembra una fine senza speranza, umanissima. Una morte come quella di uno qualunque dei migranti di oggi che non degniamo neanche di uno sguardo, ed è per questo che è profondamente umana. Parla della solitudine della morte, parla di una solitudine tutta schiacciata sull’immanenza del nostro corpo.”(*VIII) Alla fine di queste dodici dense ore “alla fine di questo cammino dopo aver seguito insieme la vita e le opere di Caravaggio, arrivati a questa spiaggia fatale del luglio 1610, è davvero impossibile non guardare all’arte e alla vita di Caravaggio come ad una cosa sola.” E Montanari lo fa prendendo letteralmente in mano il libro dell’ultimo “corso che Michel Foucault ha tenuto al College de France nel 1984 pochi mesi prima di morire; è un corso, questo, dedicato al coraggio della verità. (…) Foucault morirà pochi mesi dopo aver finito questo corso e in questo testo altissimo, quasi un testamento, riflette sul coraggio di chi dice la verità pagandone il prezzo. Foucault non cita mai Caravaggio, ma se lo leggiamo oggi è impossibile non considerare queste righe l’interpretazione più alta, più straordinaria, più penetrante dell’esperienza umana e artistica di Michelangelo Merisi. Scrive Foucault: chi dice il vero non potrà avere mai né riparo né focolare e neppure patria. È l’uomo dell’erranza, l’uomo che è sempre errante, è l’uomo della fuga in avanti dell’umanità. E di fronte a Caravaggio in fuga, che muore in questa spiaggia, queste parole risuonano in modo straordinariamente forte. Bisogna ridurre tutti gli obblighi inutili e ordinari, accettati da tutti senza essere stati fondati dalla natura; la riduzione di tutte le convinzioni inutili, di tutte le opinioni superflue. Perché? Per far apparire la verità. Il Caravaggio che si lasciava cadere addosso i vestiti, che non stava al gioco delle convenzioni, che appariva fuori dal consorzio dell’umana natura; perché? Perché questo modo di vita permette di far apparire nella loro irriducibile nudità le sole cose che sono davvero indispensabili alla vita umana. Se noi ripensiamo ai quadri di Caravaggio che ci hanno accompagnato: alla morte della Vergine, al seppellimento di Santa Lucia, allo scandalo di Lazzaro che non vuole tornare in vita, al dito di Tommaso che entra nel costato di Gesù, ebbene noi vediamo la riduzione della vita alla sua indicibile nudità. Un’arte che racconta la vita essenziale. Scrive ancora Foucault (in parole che sembrano davvero commentare le descrizioni seicentesche del corpo e dei costumi di Caravaggio) sporco, maleducato, inavvicinabile, una forma di vita intesa nel senso più concreto e più materiale; testimonianza di verità offerta nel corpo e attraverso il corpo, i corpi dipinti, ma anche il corpo di Caravaggio che qua finisce di vivere. Attraverso l’abbigliamento, scrive Foucault, il modo di fare, la maniera di agire e reagire e di comportarsi, il corpo stesso della verità, è reso visibile attraverso un certo stile di vita. Una vita concepita come presenza immediata, eclatante e selvaggia della verità. Esercitare nella vita, attraverso il proprio corpo, lo scandalo della verità. Non ci potrebbe essere forse un epigrafe più calzante, Caravaggio ovvero lo scandalo della verità. Foucault dice: dopo i profeti, dopo i filosofi antichi, i filosofi cinici, che egli studia, dopo Cristo, dopo San Francesco, sono gli artisti figurativi che nell’Ottocento testimoniano la verità con la radicalità della loro vita. Foucault pensa all’Ottocento francese, cita Manet e scrive: l’arte moderna è stata per noi il veicolo di questo principio della relazione tra lo stile di vita e la manifestazione della verità. E allora viene l’apparizione di qualcosa di molto particolare nella cultura europea, la vita d’artista. Appare l’idea che la vita dell’artista deve, nella sua forma stessa, rappresentare la verità. La vita d’artista come manifestazione di rottura scandalosa attraverso la quale emerge, si manifesta, prende corpo la verità. Foucault pensa all’Ottocento, non pensa a Caravaggio, ma tutto questo, noi lo sappiamo, inizia con Caravaggio, con la sua opera, con la sua vita. Una vita e un’opera che sono il paradigma, l’inizio dell’arte moderna e della moderna figura dell’artista. L’arte, scrive Foucault, deve stabilire con la realtà un rapporto che non è più di ornamento e d’imitazione, ma è di messa a nudo, di smascheramento, di ripulitura, di scavo, di riduzione violenta alla dimensione elementare dell’esistenza. Foucault non pensava a Caravaggio, ma io non conosco parole che meglio di queste possano descrivere Caravaggio. Caravaggio come riduzione a nudo, come messa a nudo dell’esistenza; lo smascheramento, lo scavo. Pensiamo ai corpi feriti, mutilati dei quadri di Caravaggio e pensiamo alla sua vicenda personale che non fu meno terribile. È soprattutto nell’arte, continua Foucault, che si concentrano nel mondo moderno, nel nostro mondo, le forme più intense di un dire il vero, che accetta il coraggio e il rischio di ferire. E che accetta, potremmo dire noi, di pagarne il prezzo. Caravaggio come uno che con il suo pennello e con la sua vita dice la verità fino a pagarne, qua, su questa spiaggia, il prezzo estremo. Mai come nel suo autoritratto dipinto in una testa mozzata alla vigilia della morte, Caravaggio ha preso coscienza, ha espresso fino in fondo questa sua profondissima vocazione: il coraggio di dire la verità con la propria opera, con la propria vita. Il coraggio di dire la verità a qualunque costo.”(*XII) Dopo questa bellissima, lunga, ma doverosa citazione, occorre sollevare ancora una domanda: perché oggi ancora Caravaggio? Forse perché di nuovo, oggi, il corpo è al centro della lotta per la libertà. Di una libertà insidiata da un potere “che fa entrare la vita e i suoi meccanismi nel campo dei calcoli espliciti e fa del potere/sapere un agente di trasformazione della vita umana.”11 Di fronte a questo nuovo potere pervasivo e totalizzante la nostra capacità di resistere non può essere disgiunta dal coraggio di dire la verità sulla vita, sulla nostra capacità di farne una vita vera, a nostro modo un’opera d’arte. Perché l’arte è proprio la capacità, individuale e collettiva, di vivere una vita che resiste al potere. Di vedere al di là della sconfitta e della morte, che sta inevitabilmente inscritta nella nostra condizione di umani. Un al di là , un guardare oltre12 che, per citare un altro grande pensatore del Novecento, Ernesto De Martino, sia in grado anche di fronte a una catastrofe cosmica, alla fine del mondo, tante volte annunciata (temuta ma forse anche desiderata) nella storia umana, di far sì che “l’ultimo gesto dell’uomo (…) sia un tentativo di ricominciare da capo.”13 Il riscatto di Caravaggio è la sua capacità di rinascere, di tornare in mezzo a noi a parlare di noi, del nostro corpo, in una storia profondamente umana, profondamente tragica ma pronta a ricominciare ogni volta, ancora una volta.
(*): Il numero romano indica la puntata di riferimento da cui è tratto il brano.
Nota 1: Dominique Fernandez, La zattera della Gorgone, Sellerio 1992, p. 83
Nota 2: Tomaso Montanari, La vera natura di Caravaggio, 12 puntate trasmesse da RAI 5 visibili su Raiplay
https://orsigiacomo.wordpress.com/2016/12/24/tomaso-montanari-la-vera-natura-di-caravaggio/
Nota 3: Gilles Deleuze, Il Sapere. Corso su Michel Foucault (1985-1986) /1, Ombre corte 2014, p. 95
Nota 4: M. Foucault, Come si esercita il potere, in H: L. Dreyfus e P. Rabinow, La ricerca di Michel Foucault, La casa Usher, 2010, p.292
Nota 5: Paul Veyne, Foucault. Il pensiero e l’uomo, Garzanti 2010, p. 107
Nota 6: M. Foucault, Gli anormali, Corso al Collège de France (1974-1975), Universale Economica Feltrinelli, 2009, p. 180
Nota 7: La libertà di Bernini di Tomaso Montanari, 8 puntate trasmesse da RAI 5 http://www.raiplay.it/video/2016/12/La-Liberta-Di-Bernini-151fc7dc-5001-4dc7-b620-79600ac56681.html
Nota 8: M. Foucault, Gli anormali, cit., p. 201
Nota 9: P. Veyne, Foucault, cit., p. 12
Nota 10: Ivi, p. 18
Nota 11: M. Foucault, La volontà di sapere. Storia della sessualità 1, Universale Economica Feltrinelli, 1988, p.126
Nota 12: Caravaggio che si ritrae spesso dietro la folla, in punta di piedi “si rappresenta come un occhio, un occhio inquieto che cerca di vedere” (11esima puntata)
Nota 13: Ernesto De Martino, La fine del mondo. Contributo all’analisi delle apocalissi culturali, Einaudi 1977, p. 630.
Grazie, molto utile e interessante. Gli ultimi corsi di Foucault sono una miniera di illuminazioni, ‘piccole’ e grandi.
Max
Riporto un commento da FB:
28.8.2017 Clara Zanardi E’ una riflessione molto bella…L’unica parte su cui forse aggiungerei qualcosa è quella che riguarda l’oggi. E’ difficile disgiungere Caravaggio dal suo enorme successo attuale, pompato dal branding e dalle grandi mostre-evento che Montanari (giustamente) critica con asprezza. Le ragioni del consenso universale intorno alla sua opera oggi sono allora tanto interessanti quanto quelle del suo rifiuto all’epoca. Sono legate alla verità coraggiosa che trasuda, finalmente scoperta, oppure la sua arte è stata a propria volta fagocitata dal potere dominante, annichilita nella sua reale potenza proprio nel momento in cui più viene affermata, celebrata? Da quale corpo, ora, guardiamo la carnalità liberata e resa degna dei corpi caravaggeschi? Siamo, forse, più liberi? Con triste ironia, lo scandalo di allora rischia di diventare il ponte per il piatto successo di oggi. Il grande merito del lavoro di Montanari, in questo, credo sia soprattutto quello di ridare senso e profondità, attraverso la conoscenza, a questo artista straordinario che la macina dell’art-business ha tentato di livellare ricoprendolo di lustrini.
29.8.2017 Quando si parla del passato si parla sempre dell’oggi, la lezione di Montanari è molto importante perché è rivolta proprio a demistificare quella pretesa di svelare la realtà storica, di raccontarci di come sono andate le cose, veramente. Con i suoi continui riferimenti all’oggi e soprattutto con l’uso dell’attrezzo Foucault parlando del rapporto dei corpi con il potere ai tempi di Caravaggio in realtà ci parla soprattutto di noi, del nostro momento storico che vede il terreno di conflitto più aspro concentrarsi proprio sul corpo. Che cos’altro è lo scontro in atto sui vaccini (che divide ferocemente anche a sinistra, vedi Viale sul Manifesto) se non un conflitto sul corpo, una resistenza alla medicalizzazione della vita, al rifiuto di un potere che decide sempre più delle nostre vite. I corpi di Caravaggio non erano corpi liberi ma corpi che resistevano, corpi in conflitto, un rifiuto alla normalizzazione, uno straziante grido di verità. Non siamo più liberi, rischiamo di esserlo meno, molto meno.
Oggi 29 settembre 2017 inaugura la mostra di Caravaggio a Milano. Nel 1951 la grande mostra del Longhi http://dspace-unipr.cineca.it/bitstream/1889/3262/1/CASATI-caravaggio.pdf