La violenza contro le donne non è cultura
di Raffaele K. Salinari (*). A seguire una nota della “bottega” sulle due immagini che abbiamo scelto.
Sulla motivazione «culturale» con la quale il pubblico ministero di Brescia chiede l’assoluzione per il marito di una donna di origini bengalesi
La Procura di Brescia si dissocia e «ripudia qualunque forma di relativismo giuridico, non ammette scriminanti estranee alla nostra legge ed è sempre stata fermissima nel perseguire la violenza, morale e materiale, di chiunque, a prescindere da qualsiasi riferimento “culturale” nei confronti delle donne». Lo scrive in una nota il procuratore Francesco Prete riguardo la motivazione «culturale» con la quale il pubblico ministero di Brescia chiede l’assoluzione per il marito di una donna di origini bengalesi, ora cittadina italiana, che lo aveva denunciato per trattamenti che la facevano sentire di fatto una schiava.
Partendo da questo caposaldo, bisogna però dire che fatti sono in evoluzione dato che si è ancora in attesa dell’udienza che concluderà il processo ad ottobre. Nel frattempo il PM ha depositato le proprie conclusioni, in cui si articola la richiesta di assoluzione dell’imputato perché questo «avrebbe agito in base alla propria cultura e non per la volontà di sottomettere la donna». E continua: «i contegni di compressione delle libertà morali e materiali della parte offesa da parte dell’odierno imputato sono frutto dell’impianto culturale e non della sua coscienza e volontà di annichilire e svilire la coniuge per conseguire la supremazia della medesima, atteso che la disparità tra l’uomo e la donna è un portato della sua cultura e che la medesima parte offesa aveva persino accettato in origine», l’«accettazione» essendo riferita al matrimonio combinato in patria.
Ora qui si aprono due ordini di questioni: la prima riguarda gli obblighi che il nostro Paese ha accettato sottoscrivendo la Convenzione delle Nazioni Unite sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne. Adottata dall’Onu nel 1979, è stata ratificata dall’Italia nel 1985; ordine d’esecuzione dato con legge 14.03.1985 n. 132 tuttora in vigore.
Per andare nello specifico, citiamo solo una parte dell’articolo 15: «1. Gli Stati parte devono riconoscere l’uguaglianza tra uomini e donne di fronte alla legge. 2. Gli Stati parte devono riconoscere alle donne, in materia civile, una capacità giuridica identica a quella degli uomini e le stesse opportunità di esercitarla. In particolare vanno riconosciuti alle donne uguali diritti di concludere contratti e amministrare proprietà ed un uguale trattamento in tutti gli stadi del procedimento giudiziario. 3. Gli Stati parte convengono che ogni contratto e ogni strumento privato, di qualunque tipo esso sia, avente un effetto giuridico diretto a limitare la capacità giuridica delle donne, deve essere considerato nullo».
Qui appare chiaro, come giustamente fa notare la procura di Brescia nella sia nota di dissociazione, che non esiste e non può esistere, nessuna «eccezione culturale», che rimetta in discussione questi principi, pena non solo una palese contraddizione con una legge nazionale che deriva direttamente dal Convenzione, ma la rimessa in discussione dell’impianto multilaterale e dunque erga omnes, della stessa.
Una seconda questione, altrettanto importante, concerne la visione delle culture altre. Ora, se si entra in questo ordine di idee e si estrapolano, mettendoli al centro di quella cultura, solo alcuni dei suoi aspetti, si rischia una stigmatizzazione che soffoca i lati dinamici che esistono in ogni cultura e la si «raffredda», secondo una vecchia divisione strutturalista tra culture «fredde» e «calde».
Anche se qui non è certo il caso di aprire questo dibattito, appare chiaro come la posta in gioco sia nulla di meno che il potenziale processo che un Paese come il nostro sta o dovrebbe seriamente affrontare per creare una società realmente multiculturale, in cui ogni provenienza si trasforma ed allo stesso tempo viene trasformata.
Siamo fatti di Natura e di Cultura, ed imparando dalla biologia, abbiamo capito che la Vita, nella sua accezione più ampia, vive di diversità e di ricombinazioni. Se ad una cultura viene negata questa capacità evolutiva, trasmutativa, si perde una opportunità, la si isola, se ne fa una alterità irriducibilmente diversa e non complementare. Così l’intero tessuto sociale si impoverisce, un’altra povertà di cui non abbiamo bisogno.
(*) articolo pubblicato sul quotidiano “il manifesto” qualche giorno fa.
LE DUE IMMAGINI… NON PER CASO
Ben riconoscibile Bansky nella prima immagine; la sua ironia è contro il “maquillage” della violenza detta domestica e contro l’ipocrita parlare “corretto”… come a giustificarsi per poi nulla fare di concreto, dove è più importante: le leggi, i diritti, i salari…
La seconda immagine appartiene in pieno alla “cultura” ipocrita occidentale e al suo relativismo/assolutista: infatti questo chiaro messaggio anti-sessista viene censurato da alcuni algoritmi (programmati da chi? Boh, forse dai marziani) perchè «potrebbe offendere qualcuno». Provo a fare un’ipotesi? Potrebbe essere sgradita ai cattofascisti o agli integralisti musulmani o ai misogini ebrei oppure… fate voi, l’elenco purtroppo è lunghino: comprende sempre “gente ben vista nei Palazzi”. [la redazione della “bottega”]
SEGNALIAMO «Brescia: perché uno Stato di diritto non può applicare il relativismo culturale» di SIMONE CAVAGNOLI sull’ultimo «Miromega» (on line).
… La richiesta di assoluzione dall’accusa di maltrattamenti domestici per motivi culturali viola l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge e impedisce a chi denuncia di godere dei pieni diritti di cittadinanza a prescindere dalle proprie origini. Se si ammettesse il “multiculturalismo” nello spazio giudiziario si aprirebbero le porte a forme di apartheid, espressione di un razzismo istituzionale che inevitabilmente porterebbe alla disgregazione sociale, invece che all’incontro e alla pacifica convivenza tra persone. Per usare le parole di Peña-Ruiz, non si può rischiare che il diritto alla diversità sfoci nella diversità dei diritti.
CONINUA QUI: https://www.micromega.net/brescia-perche-uno-stato-di-diritto-non-puo-applicare-il-relativismo-giudiziario/?utm_source=substack&utm_medium=email