La vita e nient’altro: il paradiso…
… nel tempo della peste. Avvio alla lettura del «Decameron» (e un appuntamento per chi il 13 è dalle parti di Firenze)
di Giuseppe Faso (*)
Si propone di abbandonare l’abituale lettura per singole novelle che non coglie le motivazioni di quell’organismo, da Boccaccio disseminate in vari luoghi del libro e nei richiami tra novella e novella;
rinuncia a interpretare lo spessore del racconto, in cui un autore racconta al lettore di un gruppo di narratori che raccontano fra loro, secondo turni regolati, varie novelle, cui danno significati particolari in un tempo e uno spazio particolari, e ci ragionano su, esprimendo apprezzamenti estetici e considerazioni morali;
non si interroga sul senso del libro, complessa macchina narrativa ma anche trattato di filosofia morale, strumento di crescita e cura oltre che occasione di diletto.
Si avvia perciò – perché ciascuno la possa proseguire da sé – una lettura integrale del «Decameron», muovendo dalla scena iniziale, la peste del 1348, che uccide almeno un terzo della popolazione di Firenze, portando alla catastrofe una società ricca e complessa, ma già in fase di destrutturazione per il fallimento della dirigenza politica e mercantile, per i conflitti sociali, per la carestia di pochi anni prima.
Per sfuggire ai nocivi effetti della pestilenza sulla città, dieci giovani si riuniscono fuori Firenze, praticando comportamenti dignitosi e onesti, e nel corso di dieci giorni si narrano novelle, in un giardino sottratto alla terribile emergenza, ma anche all’universo delle consuetudini.
Il distacco dalla caducità del mondo ma anche la scoperta che il mistero del mondo va indagato senza più presumere di poter contare sul punto di vista di Dio permettono una rappresentazione ilare e spregiudicata della vita, sottratta alle cornici sociali e cognitive che ne avevano depresso gli aspetti di letizia e di sconfinata pluralità. L’intelligenza, l’amore, la mite riflessività, in particolare quella femminile, la nobiltà d’animo e la prontezza nel rapportarsi alle mille evenienze con parole e gesti adatti alla convivenza civile, tutte qualità civili liberate dalla catastrofe, reclamano un’attenzione che era stata dedicata a valori mostratisi incapaci di reggere all’urto della crisi.
Il trauma della peste potrebbe condurre a nuovi dogmi e alla riproposizione di verità rigide, incapaci di rendere conto della problematicità del reale e quindi della coscienza di esserne responsabili. Chiudersi all’altro comporta diffidenza, sospetto, incapacità di agire sul reale. Aprirsi all’ascolto permette invece di prendere in mano il proprio destino, imparando ad affrontare vincoli, condizionamenti, limiti.
Resi dall’ascolto reciproco più consapevoli dei compiti che li aspettano, e divenuti competenti non della verità, ma della crucialità della negoziazione, del dialogo, per poter percorrere la pluralità del mondo, i dieci giovani rientreranno nella città colpita dalla peste, per contribuire alla ricostruzione civile, e tentare di trasformare il tramonto del comune governato dai “mercatanti” nell’alba di una società.
La peste, da rivelazione catastrofica della crisi, è diventata per loro un’opportunità conoscitiva. Ora sanno che peggio della morte fisica ci sono la morte civile e il disordine morale: e che in gioco c’è la vita e nient’altro. La morte non sembra poterli più colpire, o li raggiungerà lieti.
(*) Per chi venerdì 13 giugno è dalle parti di Firenze… l’appuntamento è alle 18 in punto con Giuseppe Faso alle serate di Impact Hub. Dopo l’avvio alla lettura del «Decameron» (questa è la settima replica) ci sarà un buffet il cui ricavato va a una famiglia di profughi siriani.