«La vita è sovversiva» di Ernesto Cardenal
di David Lifodi – Libri da recuperare: quindicesima puntata (*)
La vita è sovversiva è un bel libro di Ernesto Cardenal pubblicato nel 1977 dalle Edizioni Accademia e curato da Antonio Melis, indimenticato ispanoamericanista dell’Università di Siena e grande conoscitore della realtà latinoamericana da molteplici punti di vista: culturale, linguistico, sociale e politico.
Il sacerdote sarà poi ministro della Cultura e protagonista, suo malgrado, dello spiacevole episodio in cui, all’aeroporto di Managua, fu umiliato da Giovanni Paolo II, il quale lo invitò a dimettersi non appena sceso dall’aereo per poi sospenderlo a divinis l’anno dopo. Nelle sue poesie emergono sia la propensione a vivere in direzione ostinata e contraria (lo fece anche negli anni in cui i sandinisti giunsero al governo del Nicaragua) con la denuncia della dittatura somozista e l’entusiasmo per gli ideali del Fsln, sia la statura di uomo di cultura e tra i grandi della poesia latinoamericana del Novecento.
La narrazione nei suoi poemi è di natura prevalentemente politica, ad esempio in Hora 0 denuncia lo sfruttamento dei contadini dell’America centrale, sottomessi a regimi dittatoriali in Guatemala, Honduras, El Salvador e Nicaragua all’epoca della United Fruit di Zemurray, uno dei principali affaristi della multinazionale bananera che si preoccupò di costruire una ferrovia che collegasse due piantagioni e non le città di Trujillo e Tegucigalpa.
Negli Epigramas Cardenal si fa beffe di Somoza che «scopre la statua di Somoza allo stadio Somoza» perché ha capito di essere odiato dalla popolazione e, in Oráculo sobre Managua, lo ridicolizza come «grasso pieno di decorazioni come un albero di Natale».
Nelle poesie di Ernesto Cardenal ricorre il ricordo per Leonel Rugama, il giovane poeta morto nella guerriglia, a partire dal Canto nacional, dove la rivoluzione, in nome della quale è entrato nella lotta armata, «viene identificata come un atto d’amore», come fa notare Antonio Melis; non manca nemmeno l’aperta presa di posizione del sacerdote a favore della Teologia della Liberazione e il suo attacco alla Chiesa nicaraguense, che ha rinunciato a farsi portavoce del Dio degli oppressi per schierarsi fin troppo spesso con il regime somozista. Per Cardenal il cristianesimo significa denuncia dell’ingiustizia e profezia di riscatto, a differenza del Dio somozista che rappresenta «una parola astratta» con le parole che si trasformano in «un’arma di propaganda ed uno strumento di oppressione».
Tutto ciò non stupisce. Cardenal aveva fondato la sua comunità religiosa su un’isola dell’arcipelago di Solentiname, dopo aver deciso di entrare in monastero come trappista. Sono proprio i versi di Dietro al monastero, vicino alla strada, a dargli la possibilità di creare un parallelo tra la dittatura somozista e quel «cimitero di cose consumate, ferro arrugginito, pezzi di stoviglie… copertoni rotti, che aspettano come noi la resurrezione», cioè un Paese senza più l’oppressione del regime militare, identificato nell’oscurità che, di notte, avvolge il Palazzo presidenziale di Managua e da cui sono partiti gli ordini alla Guardia nazionale per uccidere, tra gli altri Pablo Leal e Luis Gabuardi, un compagno di scuola di Cardenal che morì bruciato vivo gridando «Morte a Somoza!».
Alla sua esperienza nel monastero trappista statunitense guidato dallo scrittore Thomas Merton è ispirata la raccolta di liriche Gethsemany, Ky, ma colpisce anche El Estrecho Dudoso, dedicato in particolar modo alla Conquista con la cancellazione delle civiltà precolombiane.
Per sottolineare il furto delle ricchezze naturali da parte delle multinazionali, soprattutto della United Fruit, ai danni dei Paesi dell’America centrale, «Cardenal ricorre – osserva Melis – all’inserimento di brani di documenti che provocano la fragilità ingannevole delle coperture legali cercate dai monopoli e, alla protesta politica si unisce la notazione satirica sulla qualità culturale di questi trattati: perché la Compagnia corrompeva anche la prosa».
Quando compose Canto Nacional, Cardenal auspicava già allora che le multinazionali abbandonassero il continente latinoamericano, denunciava le malefatte di Texaco e Standard Oil e riteneva la rivoluzione lo «strumento per cambiare la realtà», invocando la benedizione di Leonel Rugama e ricordando spesso l’esperienza di Camilo Torres, il sacerdote colombiano caduto combattendo nelle file della guerriglia dell’Ejército de Liberación Nacional.
Scomparso il 1° marzo 2020, Cardenal rappresenta tuttora una delle voci più alte della poesia ispanoamericana contemporanea, scriveva Antonio Melis nel 1977, e la sua opinione di allora corrisponde, ancora oggi, alla realtà.
(*) L’idea di questa rubrica è di Giuliano Spagnul: «… una serie di recensioni per spingere alla ristampa (o verso una nuova casa editrice) di libri fuori catalogo, preziosi, da recuperare». Siamo partiti il 2 aprile (con Giuliano ovviamente) a raccontare Gunther Anders: «Essere o non essere». Poi L’epica latina: Daniel Chavarrìa (14 aprile) di Pierluigi Pedretti, «Poema pedagogico» di Anton Makarenko (30 aprile) di Raffele Mantegazza, «Il signore della fattoria» di Tristan Egolf (12 maggio) di Francesco Masala, «Chiese e rivoluzione in America latina» (26 maggio) di David Lifodi, «Teatro come differenza» di Antonio Attisani (9 giugno) ancora di Giuliano Spagnul, «Dizionario della paura»e di Marcello Venturoli e Ruggero Zangrandi (23 giugno) di Giorgio Ferrari, «Arrivano i nostri» di Dario Paccino (il 7 luglio) di Giorgio Stern , «Un debole per quasi tutto» di Aldo Buzzi (21 luglio) di Pierluigi Pedretti, «Protesta e integrazione nella Roma antica» (4 agosto) ancora di Giuliano Spagnul e Athos Lisa: «Memorie» (18 agosto) di Gian Marco Martignoni, «Le donne del millennio»: un’antologia con… (1 settembre) di Giulia Abbate, «Gli antichi Greci» di Moses Finley (15 settembre) di Lella De Marco. Ci siamo dati una scadenza quattordicinale, all’incirca. Se qualcuna/o vuole inserirsi troverà le porte aperte. [db per la “bottega”]