Lame di luce nella poesia di Jonathan Rizzo
di Sandro Sardella
LAME di LUCE nella POESIA di JONATHAN RIZZO
una vera e propria scorpacciata di incontri durante l’Elba Poetry Festival
.. Jonathan Rizzo poeta elbano ma randagio tra l’Italia e Parigi .. con
affetto lo chiamavamo “Bukowskino” .. per quella sua parlata un poco
strascicata .. per quella sua andatura un poco ondeggiante .. per la sua
istrioneria .. per una sua tenerezza inquieta .. per quella miscela di
lirica crudeltà provocatoria e provocante .. per quello sguardo morbido
indagatore questuante di corpi e d’amore .. per le sue poesie alla
Bukowski dall’innocenza oltraggiata .. e la maglietta bianca a righine
nere .. la sigaretta scroccata .. il bicchiere per la disperata arsura da
Generazione Perduta ..
mi sento .. dissi io .. l’irriverente poesia di Jonathan Rizzo ..
mi sento .. disse lei .. la sulfurea poesia di Jonathan Rizzo ..
una scrittura dal sottosuolo che brucia nel malessere di vivere in un
mondo senza vita .. che cancella i limiti della morale comune ..
c’è la forza della ribellione che insorge in un ispido lirismo arrabbiato
di bruciante immediatezza .. una poesia che vaga come una puttana
sfiorita carnale sui marciapiedi della storia per non essere merce di
lusso con alto tasso di imbecillità per il salotto buono ..
un andarsene alla deriva dell’eversione e del meraviglioso conservando
sempre qualcosa di raffinato ..
la saliva impasta le tante illusioni .. ..
*
VIRGOLETTATO
“Quello che faceva il buffone nelle librerie”
Diceva il padre della donna che mi mantiene.
“Quello che non è gestibile, contenibile”
Diceva il poeta che si professa anarchico.
“Quello che la violenza e la pazzia
come brutta canzone sulle labbra”
Diceva accarezzandosi con i grossi palmi l’editore
in stampa
delle conchiglie su cui smalto perle fatte a fango.
Dicono tante latrine tirando lo sciacquone
Le mani si stringono ipocrite
dove stantie lacrime s’intrecciano madide
come radice tra i calli scalzi dei nani
dalle lingue rapide.
Quelli come me,
i matti persi
che scopano fessi
non rispondono ai caporaletti
marci alberi olmi.
Colmi d’orci dai tonfi sordi
obbediscono ad allori in catarsi
farsi affluenti flosci.
Quelli come me
che i lampi di genio
li scaricano nei cessi fossi
di merda, argini virgolettati di crocefissi
ricolmi degli eccessi d’animi vuoti come
strapiombi
d’animi bassi.
Eccessi
nostri specchi.
Siamo uomini e mostri.
Sento i vostri fatti merdosi
ergersi sparsi.
Vi tambureggiano sulle labbra
dalle budella ai polmoni a risalirsi
fino ai denti grossi.
Sbarre e morsi a pezzi di sterco dal profumo lercio.
Centomila lire di piccole feci
farsi tarli e sorrisi
su porcellane intrecciate
di gassose perle per verità terse.
Virgolette per pulirsi le chiappe,
soffiarsi natiche,
accarezzarsi tra le tenere guance.
Chi almeno una volta nella vita non avrebbe voluto incontrare un poeta così? Maudit, libertino e irreverente. Un “Bukowskino” insomma! Me ne è stata offerta l’occasione durante l'”Elba International Poetry Festival”. Grazie al poeta Sandro Sardella per questa ispirata rievocazione.