L’amnistia a scartamento ridotto di Daniel Ortega

Sono iniziati i procedimenti penali relativi alla quarantina di arrestati nell’estate scorsa con varie accuse, prima tra tutte quella di «cospirazione per minare l’integrità nazionale a danno dello Stato del Nicaragua e della società nicaraguense».

di Bái Qiú’ēn

Quid est veritas? (Ponzio Pilato).

Però bisogna farne di strada […] per diventare così coglioni, da non riuscire più a capire che non ci sono poteri buoni (Fabrizio de André).

Duemila anni fa…

In Nicaragua esiste il detto «Si hasta Pilato alcanzó en el Credo», il quale fa riferimento al ben noto governatore romano che amministrava la giustizia nella Giudea sottoposta all’Imperatore Tiberio. Se persino Pilato è entrato nel Credo… Il significato, grosso modo, è che c’è sempre un posto per qualcosa o per una idea, anche se a prima vista sembra il contrario. Questo personaggio, per secoli denigrato dalla storia ecclesiastica, voleva salvare il predicatore figlio di N.N. e di madre minorenne, profugo e senza fissa dimora, non rilevando alcuna colpa giuridicamente sanzionabile nella sua attività. Tanto che propose l’applicazione della tradizionale amnistia pasquale (in forma plebiscitaria) facendo scegliere ai presenti tra Gesù, il supposto figlio di Dio, e un certo Barabba, appartenente al partito degli zeloti, detenuto a Gerusalemme e, assieme ad altri ribelli, ritenuto colpevole di omicidio, crimine connesso a un tentativo di insurrezione. Un reato comune strettamente correlato a uno politico.

Senza addentrarci nel tema della attendibilità di questo racconto di duemila anni fa, tutti sappiamo come è andata a finire. Resta l’incognita se, in seguito, il rivoluzionario Barabba abbia ripreso o meno a cospirare sia contro il potere costituito del Sinedrio sia contro gli occupanti Romani, e se i benefici del provvedimento di clemenza decretato vox populi gli siano stati revocati. I Vangeli, unica fonte disponibile su questo personaggio, tacciono.

Oggi…

Accenniamo brevemente, per non allargarci troppo, alle parole che nel discorso di reinsediamento del 10 gennaio Daniel ha rivolto a Biden, il quale «ha oltre 700 prigionieri politici» in galera. Si riferiva agli arresti effettuati in relazione all’assalto dei trumpiani a Capitol Hill, che tutti abbiamo visto in TV. «Ci sono 700 prigionieri politici, cosa aspettano a liberarli?».

A parte la vecchia battuta sul perché negli Stati uniti mai potrà avvenire un colpo di Stato, non essendoci alcuna ambasciata gringa sul suo territorio, ciascun lettore ha la libertà di riflettere sulla opportunità politica di un paragone simile da parte di chi si dichiara di sinistra. Parole assai simili a quelle dei giornali di destra degli Stati uniti che li definiscono «vittime della repressione giudiziaria dei tribunali di Biden». Neppure il nostro Salvini si è spinto a tanto, il che è tutto dire. Peccato che, al momento del discorso di Daniel, in carcere restavano solo 76 imputati: l’85% aveva già ottenuto una sorta di rilascio anticipato in attesa di giudizio. Sul totale degli arrestati, 170 si sono dichiarati colpevoli, 70 sono già condannati a pene variabili dai 15 giorni ai 5 anni, compreso lo «Sciamano» (41 mesi).

Questo mese di febbraio in Nicaragua è caratterizzato dall’inizio dei procedimenti penali relativi alla quarantina di arrestati nella estate scorsa con varie accuse, prima tra tutte quella di «cospirazione per minare l’integrità nazionale a danno dello Stato del Nicaragua e della società nicaraguense» in base alla Legge n. 1055 del 20 dicembre 2020.

I primi undici procedimenti si stanno svolgendo a porte rigorosamente chiuse, attentamente sorvegliate da antimotines, e separatamente per ciascun imputato, pur trattandosi dei medesimi reati ovviamente commessi in associazione, all’interno del nuovissimo carcere «Evaristo Vásquez» inaugurato il 6 febbraio 2019, sebbene l’art. 121 del Codice di procedura penale stabilisca che il luogo deputato debba essere un’aula di tribunale. Ma tant’è…

In rigoroso ordine alfabetico con le rispettive età: José Adán Aguerri (60), Juan Sebastián Chamorro (56), Suyen Barahona (45), Arturo Cruz (69), Daysi Tamara Dávila (41), Violeta Granera (59), Félix Maradiaga (46), José Pallais (68), Dora María Téllez (67), Víctor Hugo Tinoco (70), Hugo Torres (74). Tra loro vi sono tre ex aspiranti alla candidatura presidenziale. Solo per la accusa più grave, la pena prevista va dai dieci ai quindici anni di carcere. Ai quali si potrebbero aggiungere altri sette anni per lavaggio di denaro.

Poiché la legge utilizzata è entrata in vigore il 22 dicembre 2020 con la pubblicazione ne La Gaceta Diario Oficial, in base all’articolo 38 della vigente Costituzione del Nicaragua («La ley no tiene efecto retroactivo, excepto en materia penal cuando favorezca al reo») nessuno tra gli arrestati potrebbe essere accusato per eventuali reati antecedenti tale data.

Il condizionale è d’obbligo, avendo la Fiscalía General de la República tirato in ballo i fatti del 2018 nei mandati di arresto, unitamente alla Legge n. 1055. Però, la magistratura giudicante dovrà invece fare riferimento agli articoli 410 e 412 del Codice penale, relativi rispettivamente al «Menoscabo a la integridad nacional» e alla «Provocación, proposición y conspiración». Per cui non si capisce a cosa potesse servire la Legge n. 1055, trattandosi di reati già contemplati e sanzionabili. Ovvero: si capisce benissimo.

Sarà una mera casualità, ma una settimana prima i familiari dei detenuti avevano chiesto al governo non solo la loro scarcerazione, ma pure l’inizio di un dialogo. Proposta appoggiata sia dalla Chiesa sia da alcune organizzazioni imprenditoriali. Se la risposta è l’avvio dei procedimenti giudiziari, è evidente che non si voglia alcun confronto. Non diamo molto credito ai sondaggi, ma per dovere di informazione aggiungiamo che poco prima di Natale la Cid-Gallup ha reso noti i risultati di una sua inchiesta, dalla quale è risultato che il 73% dei mille intervistati considera ingiuste queste carcerazioni e l’81% ritiene sbagliato che Daniel definisca gli arrestati «figli di cagna».

In ogni caso, abbiamo la vaga sensazione che le sentenze siano già state scritte: quando, per mesi, le massime cariche dello Stato dicono e ripetono in tutte le salse che sono colpevoli, quale magistrato oserà affermare la loro innocenza o scarcerarli per mancanza di prove? Come il classico pappagallo, nel comunicato 001-2022 la stessa Fiscalia, ancora prima di iniziare il processo, li definisce: «Questi stessi criminali e delinquenti…». È un film che abbiamo già visto in Italia a partire dal dicembre 1969.

Sempre per dovere di informazione, non possiamo tralasciare il solito riferimento all’opera intellettuale dell’Innominabile. Dopo un titolo assai pittoresco di sapore vagamente manzoniano, aveva scritto che per effettuare quegli arresti «La fonte di Diritto è la Legge 1055, significativamente l’articolo 9» ecc. («Nicaragua: la colonna infame», 13 giugno 1921). In questa puntata della infinita telenovela, facciamo rilevare che – chissà perché? – non cita né testualmente né con una parafrasi questo significativo articolo 9. Forse perché è più fantomatico che significativo, dato che la legge è composta da un articolo unico (più quello relativo alla entrata in vigore). Con la sua tipica sciatteria, è come se avesse parlato del fondamentale art. 140 della nostra Costituzione, che nessuno ha mai scritto. Il che ci fa dubitare che abbia davvero consultato il testo: «ignorantia legis non excusat», direbbe un qualsiasi giurista. Del resto, risulta evidente che neppure sappia di cosa parla la vicenda romanzata di Manzoni intitolata Storia della colonna infame, altrimenti avrebbe scelto un altro titolo: un processo-farsa realmente svolto, intentato contro un paio di presunti untori della peste del 1630. Giustiziati senza tanti complimenti «da un’autorità sempre potente, benché spesso fallace», pur assolutamente incolpevoli delle accuse. Non male come riferimento esattamente opposto a ciò che vuole sostenere.

Più che addentrarci negli assurdi meandri di questa legge, che nulla aggiunge a quanto previsto dal Codice penale se non l’inibizione a ricoprire cariche pubbliche, e ridendo allegramente della ennesima svista dello spacciatore di bufale, sulla cui attendibilità è più che lecito avere dei dubbi…

«C’è del metodo in questa follia»

…preferiamo ragionare shakespearianamente sulla legge di amnistia emanata l’8 giugno 2019 , n. 996, approvata dalla Asamblea Nacional e pubblicata in La Gaceta Diario Oficial del 10 giugno successivo. All’articolo 1 sancisce: «Una ampia amnistia è concessa a tutte le persone che hanno partecipato ai fatti avvenuti su tutto il territorio nazionale dal 18 aprile 2018 fino alla data di entrata in vigore della presente legge. […] Per disposizione di questa legge, le autorità competenti annulleranno i casellari giudiziari di tutte le persone beneficiate dalla amnistia».

Già questo articolo è in netto contrasto con gli standard internazionali relativi alla materia in oggetto, non determinando con chiarezza i limiti della sua portata e dei suoi effetti. Pure la dicitura relativa ai «fatti avvenuti ecc. ecc.» è talmente generica che rende possibile collegare un qualsiasi crimine ai fatti compresi tra le due date indicate, per amnistiarlo e bloccare ogni indagine giudiziaria.

Nell’art. 2 si finge di chiarire le tipologie di reati che sono cancellati: «Questa legge di amnistia copre tutti i crimini politici e i crimini comuni a essi correlati che sono indicati nel sistema giuridico penale in vigore in Nicaragua, a eccezione di quelli disciplinati nei trattati internazionali che il Nicaragua ha sottoscritto». Praticamente qualsiasi reato è amnistiato, dal furto di galline alla strage, a condizione che sia collegabile a quello principale, ossia al tentato golpe blando (stando alla denominazione ufficiale).

Per quanto in gamba sia e per quanti sforzi possa fare, qualsiasi magistrato nicaraguense non è in grado di distinguere giuridicamente quale sia un reato comune e quale uno politico. Il locale Codice penale, infatti, non definisce né distingue le due fattispecie. Per cui, spetterà al buon cuore dello stesso magistrato stabilirlo. Almeno in teoria, poiché pure qui è rilevabile una mancanza sostanziale: non è indicata l’autorità responsabile di detta decisione.

È evidente che nel periodo indicato siano stati commessi non solo reati comuni, alcuni dei quali particolarmente efferati, ma essenzialmente quelli di tipo politico, tipologia sempre negata dal governo nicaraguense nella sua propaganda («in Nicaragua non esistono prigionieri politici»), però scritto nero su bianco in questo testo legislativo. Ma si sa, come la pubblicità commerciale, la propaganda non sempre corrisponde alla realtà fattuale. O alla verità. A leggere con attenzione queste righe, si comprende agevolmente che i crimini di tipo comune sono ritenuti conseguenti e strettamente connessi a quello iniziale di carattere politico, ossia al tentato golpe blando.

Lungi da noi ogni velleità di possedere la fantomatica verità, la quale troppo spesso si trasforma in sinonimo di certezza incontrovertibile o di fede cieca e ottusa. Non essendo noi il figlio di Dio («Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità»), l’unica cosa che siamo sicuri di possedere è una montagna di dubbi, alta quanto l’Everest.

Sappiamo comunque che esiste una differenza sostanziale tra l’amnistia e l’indulto, due forme di clemenza tra loro imparentate, a disposizione di qualunque Stato, di diritto o meno che sia (Luis Somoza Debayle ne concesse ben tre: nel 1957, nel 1960 e nel 1962). A livello teorico, pure il Nicaragua accetta questa distinzione basilare, affermando nell’articolo 130 del codice penale  che «La responsabilità penale si estingue con: […] c) L’indulto, il cui effetto è limitato alla estinzione totale o parziale della pena […]. d) L’amnistia, che estingue completamente le principali sanzioni e accessori e tutti i loro effetti». Queste parole erano state sottoscritte dal comandante Daniel Ortega il 13 novembre 2007, emanando la Legge n. 641. Poco più di un decennio dopo è rimasto probabilmente colpito dalla stessa perdita di memoria che accadde nella Macondo di Gabo.

Non occorre essere dei principi del Foro per comprendere la diversità di fondo: con l’indulto è in tutto o in parte sospesa la pena ancora da scontare, però il reato permane annotato nella fedina penale e il reo resta colpevole in base alla sentenza emessa; mentre con l’amnistia è estinto il crimine, ossia è come se non fosse mai stato commesso (oltre a far cessare l’esecuzione della pena principale e le eventuali pene accessorie). Per cui, in qualsiasi Paese, se il soggetto in questione non ha altre condanne, risulta incensurato. Ciò, in teoria, dovrebbe accadere pure per il récord de policía nicaraguense dopo l’amnistia concessa.

Con una eccezionale magnanimità, i benefici di questo provvedimento erano stati estesi a tutti coloro che avevano commesso reati in occasione delle proteste del 2018, ma non erano sospettati o indagati né, tanto meno, arrestati. Viene da chiedersi: quante persone hanno usufruito di questo generico provvedimento senza saperlo, id est a loro insaputa? Per quanto assurdo possa sembrare, poiché chiunque può aver partecipato alle proteste e persino ai crimini più atroci, la logica dice: tutti gli abitanti del Nicaragua. Neonati e ottuagenari compresi.

Qualcosina dei giovanili studi interrotti di giurisprudenza è rimasto nella nostra mente. E qualche articolo più o meno recente dei nostrani portavoce dell’orteguismo o muerte che con la giurisprudenza nulla hanno a che fare, ci ha spronati a riesumare alcuni impolverati volumi universitari onusti d’anni e con le pagine ormai quasi ingiallite dal tempo. Era necessario riesumarli, salvandoli dalla critica roditrice dei topi, quanto meno per verificare la correttezza di un altro particolare della legge in oggetto, che ci pare sia del tutto anomalo. Anzi, unico nel suo genere.

Il successivo e ultimo art. 3 dell’amnistia concessa nel 2019 è, infatti, una vera e propria aberrazione giuridica: «I beneficiari della presente Legge devono astenersi dal commettere nuovi atti che incorrano in comportamenti ripetitivi che generino i reati qui contemplati. L’inosservanza del principio di Non Ripetizione comporta la decadenza del beneficio previsto dalla presente Legge».

Se il reato è estinto, ossia non è mai avvenuto e, come recita il sopracitato art. 1 «le autorità competenti annulleranno i casellari giudiziari di tutte le persone beneficiate», come può essere possibile commetterlo una seconda volta, non esistendo alcuna traccia del precedente? Forse Dio ha impresso un segno indelebile sulla fronte dei partecipanti alle proteste, esattamente come fece con Caino? Battute a parte, è giuridicamente impossibile parlare di recidiva e di reiterazione. Se un determinato soggetto è incensurato, come potrebbe ripetere un qualsiasi reato? A meno che in Plaza del Sol, sede centrale della polizia, non esista un casellario giudiziario parallelo e non ufficiale… ma qui siamo nella fantapolitica (!?).

Nel caso in cui si fosse utilizzato l’indulto, ciò sarebbe possibile (in alcuni Paesi, Italia compresa, è previsto e alla nuova condanna si aggiunge quella ancora da scontare) ma nessuno era ancora stato condannato con sentencia firme, non aveva ancora una pena definitiva stabilita da un qualsiasi tribunale. Esisteva, a tutti gli effetti, la impossibilità giuridica di indultare chicchessia. E, per la cronaca, all’inizio del 2019 erano iniziati alcuni processi, con qualche condanna in primo grado anche assai pesante, poi sospesi per ordine dall’alto prima della emanazione della amnistia. Tralasciando l’evidenza che ciò dimostra come la magistratura locale non abbia alcuna autonomia e dipenda dalla volontà dell’esecutivo che può ordinare la sospensione dei processi in barba alla separazione dei poteri, pure costoro sono incensurati a tutti gli effetti.

Soltanto chi non ha una infarinatura minima di giurisprudenza ma, al tempo stesso, è pronto ad accettare qualunque perversione politico-ideologica (definendola «eresia») propagandata come risposta al tentativo di golpe blando finanziato da Gringolandia, può accettare a scatola chiusa tutto ciò che il sistema mette in opera, sia pure una evidente truffa giuridica, ritenendola una sorta di legittima difesa e definendola Stato di diritto. Con ciò, questi corifei «dimostrano una volta di più la verità del proverbio: “il calzolaio non parli che di scarpe”, e dimostrano che […] farebbe bene a non parlare di nulla, perché non è neppure calzolaio» (Antonio Gramsci, 21 settembre 1916).

Se, in seguito, qualcuno degli amnistiati commettesse un reato, è evidente che dovrebbe essere giudicato in relazione a questo, esclusivamente a questo. Senza alcun riferimento a precedenti che non esistono, poiché lo Stato ha deciso di dimenticarli: dal greco ἀμνηστία, «dimenticanza» (stessa radice di «amnesia»). Qualunque giurista degno di tale qualifica e non embedded, non può che confermare la impossibilità di reiterare un reato amnistiato, ossia mai commesso.

Non solo: chi usufruisce di una amnistia non può essere incarcerato per i reati coperti dalla stessa. Un esempio storico per chiarire la questione: nel 1947, due anni dopo la caduta del fascismo, Amerigo Dumini e complici sono condannati a trenta anni di carcere per l’omicidio premeditato di Giacomo Matteotti nel 1924. Però grazie alla amnistia concessa dal ministro della Giustizia Palmiro Togliatti non fanno un solo giorno di galera (Decreto presidenziale n. 4 del 22 giugno 1946). Giusto o sbagliato, così funziona una amnistia.

Invece, mescolando le caratteristiche tecniche dell’amnistia con quelle dell’indulto e redigendo un testo assolutamente vago e generico, si è collocata sulla testa di ogni nicaraguense una vera e propria spada di Damocle. A tutti gli effetti, ciò che si afferma è che l’azione penale è solo sospesa non cancellata. Peraltro per un periodo indefinito, non specificando i limiti temporali per la prescrizione. Ciò, a prescindere se si commetta o meno lo stesso specifico reato, avendoli genericamente indicati tutti. Per cui non si tratta di una amnistia né di un indulto, bensì di un ircocervo.

Soltanto alcuni dei quaranta arrestati dall’inizio di giugno dell’anno scorso in poi era stato in precedenza accusato di uno o più crimini; tutti gli altri avevano indirettamente beneficiato della pseudo amnistia concessa a loro insaputa ed erga omnes a sei milioni e mezzo di nicaraguensi. Per cui tutti erano recidivi.

Se ciò accadesse nel nostro Paese, i vari corifei sempre disponibili a giustificare ciò che fa un governo che si autodefinisce socialista cristiano e solidale, alzerebbero giustamente le barricate… però, o nel loro modus cogitandi vige la regola dei due pesi e due misure o per noi «socialismo» significa qualcosa di profondamente diverso. O entrambe le cose.

All’inizio del settembre 2021 erano iniziate le prime udienze per la maggior parte degli arrestati. Sospese immediatamente per «causa di forza maggiore» dovuta a troppo lavoro arretrato e a quello che avrebbe potuto aggiungersi (!?), stando alle dichiarazioni ufficiali dei magistrati. Rinviando i dibattimenti processuali a data da destinarsi. A parte il fatto che, stando alle fonti ufficiali, non risultava un rilevante incremento di crimini nel 2021 (a meno che questi numeri ufficiali siano falsi), pareva più una scusa in attesa di una decisione politica o, decisamente peggio, per coprire la mancanza di prove (per quanto alcuni documenti resi noti da Wikileaks confermino i rapporti tra alcuni degli arrestati e l’ambasciata gringa fin dal novembre 2006). In ogni caso, il locale Codice di procedura penale non prevede questa possibilità, stabilendo che nella udienza preliminare debba essere fissata la data del procedimento penale.

Che nel corso degli anni alcuni degli arrestati abbiano ricevuto una valanga di soldi da Gringolandia non è una invenzione: il governo di Washington e loro stessi lo confermano. Questa è l’unica vera prova esistente e inconfutabile, per ammissione dei diretti interessati. Che siano stati utilizzati per fomentare e per realizzare un golpe è invece da dimostrare, al di là di ogni ragionevole dubbio, ossia ben oltre la propaganda spicciola e facilona. Finché queste prove non saranno rese di pubblico dominio, li riterremo penalmente innocenti, per quanto senza alcun dubbio colpevoli politicamente e moralmente. In ogni caso, però, si tratta di due piani diversi di giudizio che mai dovrebbero sovrapporsi: una condanna politica nulla ha a che vedere con una giudiziaria. La prima può essere basata solo su congetture e ipotesi, la seconda necessita di prove: nel caso specifico, occorre dimostrare che i soldi ricevuti siano stati concretamente utilizzati per specifiche e ben determinate azioni eversive.

A quanto pare, però, la magistratura nicaraguense ha interiorizzato il vecchio teorema del giudice padovano Pietro Calogero, quello del processo «7 aprile» contro i dirigenti di Autonomia Operaia ritenuti «il cervello organizzativo di un progetto di insurrezione armata contro i poteri dello Stato» (1979). Forse qualcuno ricorda che, all’epoca, Amnesty International biasimò le autorità italiane per aver commesso numerose irregolarità nel procedimento contro gli indagati, manipolando politicamente la vicenda e avvallando una eccessiva carcerazione preventiva, tanto da poterla considerare come pena anticipata, in assenza di giudizio. Sono le stesse critiche, né più né meno, che oggi rivolge alle istituzioni nicaraguensi. Ma coloro che amano la politica dei due pesi e due misure, preferiscono non ricordare le nostrane vicende troppo simili a quelle del Nicaragua.

È indubitabile che quando Gringolandia apre i cordoni della borsa non è certo per generosità altruistica. Per cui, a livello di giudizio politico, è palese che il denaro ricevuto da alcuni tra i personaggi incarcerati non serviva per acquistare maní da sgranocchiare guardando la TV. Però, ripetiamolo fino alla noia, fin dal 31 maggio 1679 (oltre trecento anni fa) una condanna penale ha bisogno di prove (habeas corpus), non di semplici congetture o ipotesi. E non è sufficiente neppure una vagonata di fuertes indicios, come sono definiti dalla locale Fiscalía, l’equivalente della nostra Procura, sanzionata in quanto istituzione dal governo gringo il 15 novembre 2021 per avere «indagato e arrestato ingiustamente candidati presidenziali e impedito loro di candidarsi a cariche pubbliche, minando in tal modo la democrazia in Nicaragua» (motivazione sulla quale si può liberamente concordare o dissentire).

Lo stesso giudice Calogero di cui sopra (che all’epoca si scriveva con K), con il suo famoso «teorema», parlava di «sufficienti indizi di colpevolezza» per numerosi reati come la «formazione e partecipazione di banda armata» e l’«insurrezione armata contro i poteri dello Stato», senza avere in mano alcuna prova concreta. Ma entrò in funzione la stessa gogna mediatica già vista con la strage di Stato del 12 dicembre 1969 e con Pietro Valpreda.

Un indizio non è altro che una deduzione più o meno logica (facoltà mentale strettamente legata al ragionamento matematico, assai scarso in Nicaragua) derivante da un evento accertato e in tutti i tribunali del mondo rappresenta una ipotesi da dimostrare al di là di ogni ragionevole dubbio. Se un qualsiasi taxista affermasse di averci portato il 12 dicembre 1969, verso le 16,00, in via Santa Tecla nei pressi della milanese Piazza Fontana, con una borsa in mano e non ci vide entrare alla Feltrinelli (che allora aveva una libreria proprio in quella piccola strada), sarebbe un indizio contro di noi per ciò che accadde alle 16,37. Ma non costituirebbe una prova, anche se a causa di quel supertestimone farlocco e di una giustizia agli ordini della politica fossimo arrestati, incarcerati per oltre tre anni e processati in vari dibattimenti in giro per l’Italia.

La documentazione finora resa nota attesta lo svolgimento di incontri tra alcuni oppositori e rappresentanti del governo gringo almeno a partire dal 2006 (prima che Daniel diventasse presidente). Oltre al versamento di una valanga di dollari nei conti di alcuni di loro o in quelli di organizzazioni da loro dirette. Fatto stranoto pure a Roccacannuccia, risalente ai primi anni Ottanta del secolo scorso, con la fondazione del NED. Finanziamenti che non davano fastidio al sistema orteguista fino all’aprile del 2018, anzi, contribuivano a far girare l’economia del secondo Paese più povero del continente. Tanto per dare un po’ di numeri: nel 2007 oltre 330mila dollari; nel 2008 oltre 620mila dollari; nel 2009 oltre 623mila dollari… e via aumentando negli anni successivi fino ai 1.400 del 2020.

Potrà sembrare una boutade gratuita l’idea che un crimine contribuisca alla economia, per cui vale la pena aprire una parentesi per riportare quasi integralmente un brano da Il Capitale scritto dal caro vecchio Marx: «Un filosofo produce idee, un poeta poesie, un pastore prediche, un professore manuali ecc. Un delinquente produce delitti. Se si esamina più da vicino la connessione che esiste tra quest’ultima branca di produzione e l’insieme della società, ci si ravvede da tanti pregiudizi. Il delinquente non produce soltanto delitti, ma anche il diritto criminale, e con ciò anche il professore che tiene lezioni sul diritto criminale, e inoltre l’inevitabile manuale, in cui questo stesso professore getta i suoi discorsi in quanto “merce” sul mercato generale. Con ciò si verifica un aumento della ricchezza nazionale […]. Il delinquente produce inoltre tutta la polizia e la giustizia criminale, gli sbirri, i giudici, i boia, i giurati ecc.; e tutte queste differenti branche di attività, che formano altrettante categorie della divisione sociale del lavoro, sviluppano differenti facoltà dello spirito umano, creano nuovi bisogni e nuovi modi di soddisfarli. La sola tortura ha dato occasione alle più ingegnose invenzioni meccaniche e ha impiegato, nella produzione dei suoi strumenti, una massa di onesti artefici. […] Egli preserva cosi questa vita dalla stagnazione e suscita quell’inquieta tensione e quella mobilità, senza la quale anche lo stimolo della concorrenza si smorzerebbe. […] Le influenze del delinquente sullo sviluppo della forza produttiva possono essere indicate fino nei dettagli. Le serrature sarebbero mai giunte alla loro perfezione attuale se non vi fossero stati ladri? La fabbricazione delle banconote sarebbe mai giunta alla perfezione odierna se non vi fossero stati falsari? Il microscopio avrebbe mai trovato impiego nelle comuni sfere commerciali […] senza la frode nel commercio? La chimica pratica non deve forse altrettanto alla falsificazione delle merci e allo sforzo di scoprirla quanto all’onesta sollecitudine per il progresso della produzione?» (Digressione sul lavoro produttivo).

Tornando ai finanziamenti gringos, poiché sia questi dollari sia l’uso che ne è stato fatto dal 18 aprile 2018 all’8 giugno 2019 sono stati dimenticati dallo Stato, quelli successivamente arrivati nelle tasche degli oppositori e il loro eventuale impiego per un secondo tentativo golpista, oltre a dover essere provato per ogni singolo accusato (pure per i codici nicaraguensi la responsabilità penale è personale) e per ogni singolo dollaro, non può essere ritenuto una reiterazione del medesimo crimine. Checché ne dica il solito Innominabile, il quale ripete come un mantra: «I detenuti in attesa di giudizio sono in carcere per aver disatteso il principio di non ripetizione dei reati incluso nell’amnistia del 2018 (sic)» («Nicaragua verso le urne», 28 settembre 2021). Per la precisione, essendo tutti incarcerati dal giugno del 2021 in poi in base alla Legge n. 1055 del 20 dicembre 2020, i reati devono essere relativi al periodo successivo. Pure in Nicaragua, almeno in teoria, non è ammessa la retroattività di una norma legislativa se non favorevole al reo.

Dal canto suo, pure la Fiscalía, ignorando il significato politico-giuridico di una amnistia, nel già citato comunicato 001-2022 afferma che «sono gli stessi che hanno promosso e diretto gli atti terroristici di aggressione nel fallito tentativo di colpo di Stato del 2018».

Stendiamo un velo pietoso sulla successiva affermazione dello spacciatore incallito di bufale, che definire approssimativa è parecchio esagerato: «Così i terroristi hanno convenientemente scelto di ritirarsi dalla competizione elettorale. […] Quindi i terroristi non saranno tra i candidati e non ci saranno candidati tra i terroristi. Una buona premessa per un voto democratico» («Nicaragua, a chiudere con la destra», 21 ottobre 1921), quando anche i sassi sanno che tre partiti sono stati cancellati con motivazioni risibili e coloro potevano competere con un minimo di possibilità sono rinchiusi nelle patrie galere o agli arresti domiciliari. Altro che ritirati volontariamente dalla competizione elettorale! E, per poter giustificare la inibizione di probabili candidati, unico scopo della Legge n. 1055, gli arresti si sono moltiplicati in modo esponenziale, utilizzando l’argomento della non reiterazione previsto dalla pseudo amnistia.

La Legge n. 1055 prevede infatti che «I nicaraguensi che dirigano o finanzino un colpo di stato […] non potranno candidarsi a cariche elettive». Non specifica se dopo una sentenza passata in giudicato, ma i fatti concreti attestano senza ombra di dubbio il ribaltamento di un principio basilare sancito dalla Costituzione all’art. 34: «Ogni persona sottoposta a procedimento penale […] è da presumere innocente fino a quando non sia provata la sua colpa secondo la legge». Con l’impedimento a partecipare alle elezioni di possibili candidati non ancora processati né tantomeno condannati in via definitiva, questa legge vìola palesemente il dettato costituzionale.

Per concludere l’argomento amnistia-reiterazione, abbiamo il forte sospetto che quando si sovrappone il giudizio politico a quello processuale come se fossero una unica cosa e si lanciano sassi nello stagno per vedere di nascosto l’effetto che fa, il risultato ottenibile, oltre al gracidare inconsulto di rane e ranocchi, non sono di certo onde quadrate. Può essere solo e solamente un puro e semplice ritorno all’Inquisizione di Torquemada o alla Lubjanka di Berjia.

Chi va al mulino, si infarina…

Invitiamo a osservare la foto che segue, con due personaggi forse sconosciuti: sono Laureano Facundo Ortega Murillo a sinistra e il fratello Daniel Edmundo a destra. L’immagine scattata in Russia nel settembre 2021 li ritrae con il pugno chiuso davanti a un busto del baffuto georgiano Iosif Vissarionovič Džugašvili. In arte: Stalin.

Si poteva evitare di renderla pubblica e conservarla nell’album dei ricordi privati. Ma quando l’arroganza e la stupidità superano il buonsenso…

Fonte: portale ufficiale El 19 Digital

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