«L’assassinio del commendatore»
db e Murakami: è proprio amore, non una cotta passeggera
«Il mio lavoro è solo farti sgusciare attraverso lo stretto spiraglio che separa il nulla dalla realtà. Il resto non è compito mio»: questa frase potrebbe dirla – in un rigurgito di modestia? – Haruki Murakami. Invece la pronuncia un traghettarore senza volto e siamo a pagina 701 del romanzo «L’assassinio del commendatore» (*).
Invece il protagonista – senza nome – dirà (siamo a pagina 252) al misterioso Menshiki: «Non possiamo affermare che soltanto le cose visibili siano reali. Non crede?». Il contesto è un invito a cena da estendere alla «mummia»… che in realtà non è affatto una mummia (ma di più non vi dirò). E altri personaggi si uniranno al ballo: «tutto quello che si vede è reale. Basta tenere gli occhi aperti e guardar bene. A giudicare c’è sempre tempo» dirà “il commendatore” (o chi lo incarna?) mentre la giovane Marie, che aspira a dipingere, chiarisce: «mi piacciono le cose che si vedono quanto quelle invisibili».
E se volessimo scegliere un terzo concetto totem del romanzo potremmo prendere quello che Menshiki formulerà così: «Volevo soltanto avvicinarmi un poco alla morte. Perchè so che la frontiera tra i due mondi è estremamente sottile»; e se volete obiettare che i mondi sono ben più che due… questo libro – come tutti quelli di Murakami – vi darà ragione.
In una trama aggrovigliatissima è sorprendente come Murakami riesca a tirare tutti i fili e a comporre il puzzle anche quando i tasselli sembrano uscire da 20 scatole diverse. Conclusioni e/o morale? Sì, no, forse. «Nel mondo in cui viviamo, la pioggia a volte è prevista al 30 per cento, a volte al 70. E forse funziona così anche per la verità. C’è una verità al trenta per cento, c’è una verità al settanta. I corvi sono fortunati al riguardo. Per i corvi o piove o non piove… La percentuale è l’ultima delle loro preoccupazioni».
Imperdibili le pagine sul cervello dei delfini, sugli orrori di Nanchino nel 1937, sulla pittura di Van Gogh, sulla musica. Come ascoltatore Murakami è onnivoro: pop, Puccini, tutta la classica, Bruce Springsteen ma nel suo cuore c’è così tanto jazz che lo usa perfino come termine di paragone. Quando deve spiegare «la gamma di variazioni… di un suono generato da uno stesso gesto» (sportelli d’auto, nientemeno) se ne esce così: «Quasi quanto differisce la stessa nota suonata al contrabbasso, su una sola corda, da Charles Mingus o da Ray Brown». E perfino “il commendatore” sa muoversi nel jazz: «Prendete Thelonious Monk, a esempio. I suoi incredibili accordi non è che li abbia creati con il ragionamento e la logica. Semplicemente apriva bene gli occhi e li tirava fuori dalle tenebre della sua coscienza. L’importante non è creare qualcosa dal nulla. Ciò che voi dovete fare, piuttosto, è trovare la cosa giusta in quello che già esiste ora».
Come sempre (quasi sempre?) in Murakami anche le vicende più tragiche lasciano aperti spiragli di speranza. Anche qui c’è un bellissimo lieto (quasi) fine. Anche perchè «a saper guardare in fondo all’animo, in qualunque essere umano c’è una luce che brilla. Quando la si trova, se la superficie è appannata (e credo siano i casi più frequenti) occorre pulirla bene». Il protagonista sta parlando del suo lavoro di pittore ma è una filosofia che si può estendere.
(*) «L’assassinio del commendatore» è uscito nel 2017 ed è stato tradotto – in tre volumi – da Antonietta Pastore per Einaudi nel 2018. Lo sto leggendo adesso nell’edizione che è arrivata in edicola (un solo volume: 850 pagine per 8,90 euri) in una collana sulla “grande letteratura giapponese” cangurata con «Il corriere della sera» (libri belli su un quotidiano brutto: anche questo è un mistero). Dopodichè mi mancano solo un romanzo e un’antologia di racconti per aver letto tutto quello che di Murakami è stato tradotto. Se non è una “cotta” questa… In “bottega” cfr i miei «1Q84»: un (doppio) libro imperdibile e Come il romanzo «Kafka sulla spiaggia»… (e non finisce qui, vi avverto) ma consiglio anche Le strane strade che portano fra le pagine (di Bianca Menichelli), Kafka sulla spiaggia – Haruki Murakami (di Francesco Masala) e il jazzistico MIA IDEA DI BAKER scritto proprio da… Murakami. In giapponese usa scrivere prima il cognome e poi il nome (Haruki): l’editore italiano si è adattato.
Ti capisco. Il mio dura ancora dopo tanti anni. È un illuminatore.
Più scrivi di Murakami, più penso che sarebbe il caso di cominciare a leggere tutta la sua opera omnia. Povero me che ho letto soltanto 1Q84, come faro’? Ho un’idea: mi rinchiuderò in un buco sotterraneo e suonerò una campanella alla fine della lettura… Mi raccomando, ricordatevi di portarmi dell’acqua.
La quintessenza della vita?
“Infiniti centri, ma in un cerchio che non ha circonferenza”.
“Credo che quel cerchio non abbia una forma definita, che esista solo nella mente delle persone. Quando … abbiamo una visione utopistica di come dovrebbe andare il mondo .. allora .. capiamo l’essenza di quel cerchio e riusciamo ad accettarlo, ma questa è solo una mia vaga congettura.”
Parola di Murakami Haruki .
(“La crema della vita”, uno degli otto racconti compresi in “Prima persona singolare”, Einaudi 2021, trad. Antonietta Pastore)
pochissimi, dopo aver letto un loro libro di 850 pagine, riescono a farci esclamare: già finito?