Latina: i braccianti indiani si ribellano
La prima protesta autorganizzata. Tengono in piedi l’agricoltura Pontina ma sono sfruttati e presi a fucilate dagli schiavisti. Oltre alla Cgil hanno aderito anche Cisl e Uil
Tre indizi fanno una prova. Due settimane fa un bracciante scaricato dal datore di lavoro senza alcunché si è sdraiato disperato sui binari di Priverno. A Fondi la Guardia di finanza ha trovato ben 15 aziende agricole totalmente in nero con centinaia di lavoratori senza alcuna tutela. Dieci giorni fa a Terracina un imprenditore ha sparato ai braccianti non contento della loro produttività. Nell’intera provincia di Latina ci sono più di 11mila imprese agricole con fino a 40mila braccianti nei picchi estivi. Quasi tutti indiani. Dopo decenni di sfruttamento si stanno finalmente ribellando. E ieri per la prima volta la comunità indiana ha deciso di scioperare e con Flai Cgil, Fai Cisl e Uila ha manifestato ieri pomeriggio sotto la prefettura del capoluogo. Pullman da tutta la provincia hanno riempito la piazza al grido – in lingua punjabi – «I nostri diritti dacceli qui!». Anche se la presenza era inferiore rispetto a tre anni e mezzo fa quando la sola Cgil fece straboccare il centro di Latina di bandiere rosse per il primo sciopero. Quel giorno però la mobilitazione partì dal sindacato. Ieri è partita da una comunità stanca di essere pagata pochi euro l’ora per oltre dieci ore di lavoro al giorno nei campi, senza diritti. E così i mansueti sikh che con le loro barbe e i turbanti sono in tutta Italia conosciuti come i migliori a lavorare con gli animali e nelle campagne, a Latina e dintorni si sono arrabbiati e sindacalizzati. Un processo lungo ma irreversibile che sta portando ad una vera rivoluzione nelle campagne pontine dove troppi imprenditori sfruttavano il carattere mite di questi uomini per sottoporli a vere angherie, non rispettando totalmente leggi e contratti di lavoro.
Il comizio sul camioncino è bilingue. Con traduzione. Parlano i sindacalisti italiani e in pochi capiscono quello che dicono. Buona parte dei braccianti riesce ad esprimersi in buon italiano ma fa fatica a comprendere bene i discorsi. Tocca ai loro rappresentanti alternare le due lingue: «Basta sfruttamento! Non possiamo lavorare come schiavi. Vogliamo diritti e dignità, sicurezza sul lavoro, contratti regolari», sillaba Gurmukh Singh, presidente della Comunità indiana del Lazio. Ogni persona che parla viene salutata dal motto sikh: qualcosa come «Il piano è del guru e porta alla vittoria». Buona parte sono seduti, in molti sono stati muniti di bandiere sindacali che tengono con poca convinzione. Non potrebbe essere altrimenti: a gennaio l’ex segretario della Fai Cisl Marco Vaccaro è stato arrestato in un indagine per caporalato. La Cisl è parte civile e «lesa» nel procedimento, ma rifarsi una considerazione è dura.
«Non dobbiamo avere paura a denunciare, le forze dell’ordine sono con noi, lavorano bene per noi», urla Onofrio Rota, segretario generale della Fai Cisl. Per Stefano Mantegazza, segretario generale della Uila Uil, «non ci sono lavoratori indiani o italiani, ci sono solo lavoratori che si spaccano la schiena sui campi». La Cgil è sicuramente la più battagliera. Una modalità che non paga dal punto di vista delle richieste di disoccupazione: ne ha molto meno di Cisl e Uil. «Quando le aziende vedono rosso, scappano», sintetizza un delegato. «Siamo orgogliosi di aver organizzato il primo sciopero il 18 aprile 2016 e di aver convinto Cisl e Uil a fare questa manifestazione unitaria. La battaglia per battere caporalato e sfruttamento sarà lunga, bisogna fare un salto di qualità culturale», sintetizza il segretario della camera del Lavoro di Latina Anselmo Briganti.
Parla anche Marco Omizzolo, il ricercatore che ha vissuto con i sikh e che per le sue denunce è stato sotto scorta. «Quando dieci anni fa raccontavamo quello che succedeva nei campi ci rispondevano che gli indiani li avevano visti solo nei film western. Ora le nostre denunce sono ascoltate, ma ancora non basta», urla tra gli applausi dei suoi amici indiani. La giornata si è conclusa con l’incontro con il prefetto di Latina. Pochi gli impegni fattivi, il primo del quale sarà a fine ottobre a convocare la Rete del lavoro agricolo di qualità per accelerare l’emissione dei permessi di soggiorno. «Le leggi ci sono, servono più controlli. Il Prefetto ci ha chiesto di fare rete, ma se le rappresentanze datoriali dell’agricoltura non si impegnano e collaborano è tutto più complicati», commenta Davide Fiatti, segretario nazionale Flai Cgil.
(*) pubblicato sul quotidiano “il manifesto”