«Lavorare meno, vivere meglio»
Gian Marco Martignoni sul libro di Fausto Durante
Eclissatasi nell’immaginario collettivo del nostro Paese la parola d’ordine «lavorare meno, lavorare tutti» – stante il dilagare dell’individualismo, che ha favorito anche la tendenza all’allungamento della giornata lavorativa non solo nel mondo della micro e piccola impresa – l’obiettivo della riduzione d’orario e della redistribuzione del lavoro, più volte enunciato, è rimasto da un cinquantennio lettera morta.
In Francia è andata diversamente: nel 1998 il governo socialista di Lionel Jospin ha varato mediante la «Legge Aubry 1» la settimana lavorativa di 35 ore di lavoro a parità di salario (con l’esclusione delle aziende sotto i 20 dipendenti) che è stata peggiorata prima con l’introduzione dell’annualizzazione dell’orario da parte della «Legge Aubry 2» nel 2001 e poi con la dilatazione del ricorso allo straordinario da parte del governo conservatore guidato da Jean Pierre Raffarin.
Mentre in Germania – dove la IG Metall già nel 1982 aveva stipulato un accordo che riduceva a 38 ore la settimana lavorativa (nel settore pubblico 36) – nel 1993 l’accordo Volkswagen stabilì un accordo per le 28 ore settimanali, al fine di difendere i posti di lavoro attraverso la riduzione del 16 % dei salari. Questo storico accordo spiega perché nel 2018 il contratto dei lavoratori metalmeccanici ha esteso – a partire dal negoziato nel land del Baden-Wuttemburg – il diritto soggettivo del lavoratore di passare dalle 35 ore settimanali a 28 per un biennio, sulla base di documentate esigenze famigliari senza alcuna decurtazione salariale. Nell’accordo le aziende hanno ottenuto come contropartita la possibilità di richiedere, su base volontaria, la disponibilità dei lavoratori a un aumento del proprio orario da 35 a 40 ore settimanali. Altresì nel land del Nord Reno-Vestfalia, in seguito alla crisi determinatasi per via della sindemia generata dal covid-19, è stato siglato un accordo (nel marzo 2021) che prevede la possibilità per i lavoratori di conservare il posto passando da 35 a 32 ore settimanali (retribuite sulla media di 34). Certamente la struttura produttiva derivante dalla divisione internazionale del lavoro ha inciso sulla qualità delle relazioni sindacali soprattutto per via della dimensione delle imprese e del ciclo produttivo fondato prevalentemente sui quattro turni di lavoro; cosicchè si sono moltiplicate non solo in Europa le esperienze e gli accordi che hanno tentato di conciliare, con modalità diverse, il tempo di lavoro con quello di vita.
Per approfondire queste novità esce – con una prefazione di Maurizio Landini – l’agile libro di Fausto Durante «Lavorare meno, vivere meglio» (euro 12, pagine100: Futura Editrice). A partire dalla consapevolezza che per tante ragioni – fra le quali il vistoso indebolimento del peso negoziale delle organizzazioni sindacali – si è affermato «un modello economico fondato su orari lunghi e salari bassi» il libro di Durante intende restituire all’obiettivo della riduzione d’orario la sua giusta centralità all’interno della strategia sindacale. Dalla Finlandia governata dalla socialdemocratica Sanna Marin alla Scozia della premier Nicola Sturgeon, dalla Nuova Zelanda governata dalla laburista Jacinda Arden alla sperimentazione avviata nel marzo 2021 su 200 imprese mediograndi spagnole dal premier socialista Pedro Sanchez emerge prepotentemente l’esigenza della rimodulazione dell’orario di lavoro a 30-32 ore. In questa direzione si muovono anche le scelte di alcune aziende di una certa dimensione sul piano internazionale, con l’obiettivo di incrementare la motivazione al lavoro, stante il perdurante fattore non dichiarato della sua alienazione; ma vi sono anche accordi aziendali di un certo rilievo, come quello stipulato nel 2014 dai sindacati con la Ducati Motor Holding a Bologna, ove l’introduzione di 21 turni ha permesso di passare a 30 ore settimanali. Notevole è anche il caso (nel gennaio 2021) in Islanda della riduzione contrattuale dell’orario di lavoro da 40 a 36 ore ottenuta dai sindacati per i dipendenti pubblici. Un accordo fortemente voluto anche dalla sinistra islandese al governo, che poi è stato esteso , coinvolgendo il settore privato, all’86 % dei lavoratori e delle lavoratrici.
Pertanto, la puntuale ricognizione effettuata da Durante evidenzia un significativo avanzamento delle condizioni di lavoro e di vita sul piano del benessere psico-fisico per lavoratori e lavoratrici ma anche una positiva ricaduta occupazionale, poichè in Francia tra il 1997 e il 2001 sono stati creati ben 300.000 posti. Quindi in presenza di determinati rapporti di forza all’interno della società è possibile superare equilibri e mentalità consolidatisi sia per via negoziale che per via legislativa.
L’arretramento italiano è invece addebitabile a due ragioni sostanziali, che avrebbero meritato un supplemento di analisi: da un lato, a differenza a esempio dell’Inghilterra (ove nel 2019 nel programma del Labour Party era contenuta la proposta delle 32 ore settimanali da realizzare nell’arco di un decennio) da tempo è palpabile l’assenza di una sinistra in grado di misurarsi, dibattere e creare consenso su questa sentita tematica; dall’altro lato il tessuto produttivo che caratterizza il nostro capitalismo molecolare costituisce un forte ostacolo per l’applicazione di un modello simile a quello francese, in quanto sotto la soglia dei 20 dipendenti si colloca quasi il 90% della forza-lavoro nel settore privato. Infine, è bene ricordare che anche la sinistra radicale e post-comunista a metà degli anni ’90 non comprese, a fronte di una divaricazione crescente fra chi lavora troppo e chi non lavora per nulla (o lavora non sufficientemente per garantirsi un reddito dignitoso, grazie alla diffusione del part-time involontario) la valenza della riduzione d’orario e della redistribuzione del lavoro elaborata da Giovanni Mazzetti nel fondamentale libro «Quel pane da spartire» rimanendo abbagliata dalla scorciatoia del reddito di base (o di esistenza), non avendo messa a fuoco la nozione marxiana della partecipazione a quel lavoro necessario per la riproduzione della vita quotidiana.