Lavoro schiavo: il Brasile condannato per il caso della fazenda Brasil Verde
di David Lifodi
La condanna del Brasile per il lavoro schiavo, sancita recentemente dalla Corte interamericana per i diritti umani, rappresenta un buon punto d’inizio per combattere questa piaga che ancora affligge molti paesi dell’America latina. Al termine di un processo protrattosi per circa tre anni, l’organismo che fa capo all’Organizzazione degli stati americani (Osa) ha emesso la prima condanna di questo genere in materia. Del resto, le condizioni in cui erano costretti a lavorare i 128 contadini della fazenda Brasil Verde, nel sud dello stato del Pará, erano disumane. Adesso lo Stato brasiliano avrà a disposizione poco meno di un anno di tempo per procedere con gli indennizzi risarcitori a beneficio delle vittime.
La fazenda Brasil Verde non è nuova ad essere coinvolta in episodi di questo tipo: di proprietà del Grupo Irmãos Quagliato (uno dei maggiori gruppi di allevatori di bestiame nel nord del paese), già nel 1988 fu denunciata per la sparizione di due adolescenti da quello che si configurava come un vero e proprio lager. Tra il 1989 e il 2002 la fazenda è stata messa più volte sotto inchiesta dal ministero del Lavoro, ma l’attuale condanna della Corte interamericana per i diritti umani permetterà anche la riapertura di numerosi casi simili in tutto il continente latinoamericano, dove il lavoro schiavo e la tratta delle persone rappresentano ancora una triste consuetudine. La fazenda Brasil Verde per anni è riuscita ad andare avanti grazie ad adulatori che hanno ingannato centinaia di lavoratori, a cui era garantito un impiego fisso, senza però mettere sul piatto della bilancia condizioni di lavoro inumane e degradanti, giornate di 15 ore lavorative, il controllo ferreo dei capetti della fazenda. La maggior parte dei lavoratori impiegati in questi anni presso Brasil Verde, la maggioranza dei quali analfabeti, neri e di età trai 15 e i 40 anni, provenivano dagli stati di Tocantins, Maranhão, Pará e Piauí. In quest’ultimo stato, la città principale di reclutamento degli adescatori è Barras, luogo noto per un alto tasso di disoccupazione e per la presenza di adescatori che per conto dei fazendeiros sfruttano la manodopera a bassissimo costo dei lavoratori, disposti a tutto pur di ottenere un impiego.
Il Brasile ha cercato di difendersi di fronte alla Corte interamericana per i diritti umani, sostenendo che lo Stato non ha l’obbligo di indennizzare i lavoratori per i danni morali e le violazioni dei diritti umani avvenute nella fazenda Brasil Verde, poiché il governo non è responsabile direttamente per quanto accaduto, anche se il Codice penale brasiliano, all’articolo 149, prevede una pena da due a otto anni per coloro che riducono in schiavitù una persona. Nel 2003 sono state introdotte altre misure per combattere la schiavitù e il legislatore ha previsto ulteriori norme per prevenire il ricorso ai lavori forzati, a partire da una giornata di lavoro che non preveda un orario di fine e dal divieto di lasciare il posto di lavoro finché non fosse stato saldato il debito contratto con il padrone. Nella fazenda Brasil Verde è emerso che i contadini dormivano in casupole non dotate di elettricità, senza una alimentazione adeguata e che il costo dei materiali di lavoro forniti dalla fazenda venivano detratti dallo stipendio dei lavoratori, per i quali non erano previste nemmeno cure adeguate. Finora, nonostante il lavoratore venisse trattato come uno scarto da spremere per alcuni mesi ed essere poi abbandonato a se stesso, la fazenda era riuscita sempre a farla franca, al massimo era stata costretta a pagare indennizzi irrisori a braccianti trattati assai peggio delle bestie. Tra coloro che si sono mobilitati per difendere i diritti dei lavoratori della fazenda Brasil Verde, la Commissione Pastorale della Terra, che ha sottolineato come il Brasile abbia violato numerosi articoli della Convenzione americana per i diritti umani legati alla proibizione della schiavitù, al diritto alla libertà personale e alla garanzia di integrità fisica, psichica e morale del lavoratore. Nonostante la difesa dello Stato ad opera dell’Advocacia Geral da União, la Corte interamericana per i diritti umani ha calcolato che il Brasile dovrà pagare almeno quarantamila dollari (circa 120mila reais) per ciascuno dei lavoratori indennizzati.
Nel dicembre 2015 era stato lanciato il Patto federativo per sradicare il lavoro schiavo con la sottoscrizione di quattordici stati del paese. Oggi, la condanna del Brasile rappresenta non tanto una punizione per lo Stato, quanto un messaggio a tutti coloro che ancora intendono utilizzare il lavoro schiavo come pratica quotidiana. Mai più casi come quello della fazenda Brasil Verde.