Le imperdibili «variazioni Gernsback», versione due
Urania porta in edicola un’ottima antologia di fantamusica
Ovviamente troverete i numi della musica – Beethoven e Chopin, per capirsi – che tutte/i conosciamo (magari solo di nome?) ma anche i meno prevedibili Chet Baker e Philip Glass. Spaziando dall’antica liuteria ai Beatles e al rock “infernale” ecco 14 racconti di eccellenti sonorità: sto parlando di «Le variazioni Gernsback», antologia di “fantamusica” che Urania manda in edicola – 290 pagine per 6,50 euri con una copertina azzeccata – curata dal Gruppo Maelstrom ovvero Walter Catalano, Roberto Chiavini, Luca Ortino e Gian Filippo Pizzo.
I racconti che mi hanno esaltato (anche a rileggerli) sono 4: l’originalissimo «Sinfoniade» di Giulia Abbate, l’unica donna presente; «La musica della sfera» di un Norman Spinrad diversissimo dai suoi “canoni”; il tenerissimo «With a Litthe Help from Her Friends» di Michael Bishop; e «Il paradosso Glenn Gould» di Giovanni Burgio. Dopo questo quartetto, che secondo me “svetta” fin quasi alle stelle, chiarisco che sono belli quasi tutti gli altri, ovvero «Sempre dal lato mancino» di Franco Ricciardello, «Rigenerazione» di Bruno Vitiello, «I colori dei maestri» di Sean McMullen (debole nel finale), «Il ritorno di Sam Hain – l’antefatto» di Danilo Arona (anche in questo caso forse la conclusione è un po’ tirata via), il classico ritrovato cioè «Il cavaliere Gluck, un ricordo dell’anno 1809» di un E. T. A. Hoffmann molto citato e non altrettanto letto, «Einstein on Mars» del duo Stefano Carducci e Alessandro Fambrini.
Mi hanno convinto a metà i restanti 4: «Non serve il bastone» di Lloyd Biggle che è divertente e poco più; «Il circuito Macaley» dell’allor giovane Robert Silverberg è un racconto quasi indegno di lui; «Le pavane di Ravel» (di Henry S. Whitehead) è datato 1946 ma con stile “ottocentesco” e banale; mentre «Il maestro Jericho» di Karl Hans Strobl mi è parso prevedibile quasi dalla seconda pagina. Se fossi stato uno dei curatori avrei bocciato gli ultimi due, non mancano di certo testi più validi.
A completare il volume la postfazione di intitolata «Musica e fantastico: relazioni aliene» di Walter Catalano che probabilmente avrebbe voluto 50 pagine invece di neanche 9, il che spiega un po’ di assenze. Non per competizione ma per informazione vi rimando a un testo simile nell’impianto di Erremme Dibbì (ovvero scritto da me con Riccardo Mancini) ma più lungo e dunque inevitabilmente più articolato: con il titolo Cercando la migliore acustica dell’universo lo trovate anche in “bottega”.
Come spiega Giuseppe Lippi nella breve introduzione, questa antologia recupera titolo e idea di un volume uscito nel 2015 presso le Edizioni Della Vigna – qui sotto la mia recensione di allora – togliendo e aggiungendo titoli. Sarà inevitabile la confusione bibliografica ma in definitiva… importa poco. Però mi hanno incuriosito le “discordanze” fra la versione 2015 e quella attuale del bellissimo racconto di Giulia Abbate; così mi sono chiesto – e ora domando a chi può rispondermi – se è stata l’autrice a modificarlo (a me sembrava migliore nella prima versione, per questo sono un filino stupito) o se la nuova Urania ha ripreso i vizi della “vecchia” targata Fruttero-Lucentini cioè di prendere i testi e adattarli ai suoi schemi.
Recensione all’antologia «Le variazioni Gernsback»…. prima versione (*)
Assai bella l’idea e buoni i racconti: «Le variazioni Gernsback» ovvero «storie di fantamusica» (Edizioni Della Vigna: 300 pagine per 15,50 euri) curato da Walter Catalano, Luca Ortino e Gian Filippo Pizzo riunisce 11 racconti per 12 autori: 9 made in Italy più tre stranieri (il canadese Douglas Smith e due “maestri”, cioè Michael Bishop e Robert Silverberg).
Si parte con il pregevole «Sinfoniade» di Giulia Abbate. L’ andamento del primo atto, a esempio, è questo: un «terzetto», un’«aria», un «concertato», un «recitativo», un nuovo «concertato», un «arioso».
Tocca poi a Danilo Arona con «Il ritorno di Sam Hain: l’antefatto». Essendo un antefatto ci aspettiamo… il resto. Come si sa «la mano sinistra del diavolo» è roba da blues mentre «il metallo ha cominciato a urlare»: potrebbe essere allora che «porte chiuse da secoli» stiano per spalancarsi? I cattivi sono davvero «quelli che ammazzano le rock star da oltre mezzo secolo»?
«In un luogo ben lontano dai centri di potere del mondo era accaduto qualcosa di buono». Politico e poetico «With a Little Help from Her Friends» di Michael Bishop: mi ero molto commosso la prima volta che l’avevo letto e non perché io ami particolarmente gli scarafaggi cioè i Beatles. Anche la seconda lettura è convincente, al di là delle mancate sorprese (ricordavo perfettamente la trama). L’impossibile – visto che John Lennon è stato ucciso – riunione del quartetto di Liverpool vede alcuni passaggi emozionanti. Eccone uno. «Pochi minuti prima, quegli uomini anziani e un fantasma assolutamente convincente avevano eseguito All You Need Is Love mettendo da parte la dimostrata impraticabilità di questo precetto. Una sala piena di uomini e donne che avevano subito incommensurabili abusi fisici e mentali avevano ascoltato quella menzogna, sostanzialmente una vivace ipocrisia idealista, come se le liriche ripetitive della canzone incarnassero una soluzione reale a tutti i mali del mondo. Assurdo, folle. Domani l’avrebbero capito, ma quella sera avevano ben volentieri sospeso la loro incredulità adulta…». Da solo vale abbondantemente “il prezzo del biglietto”.
Giovanni Burgio ha in programma un ciclo di racconti dedicato ai grandi pianisti; in questo «Il linfoma Hodgkin e l’immortalità dell’anima» ci permette di incrociare Dinu Lipatti e Alfred Cortot fra amori, zingare, nazisti, misteri e naturalmente concerti.
Gran festa per i cultori di Philip Glass con «Einstein on Mars», scritto a quattro mani da Stefano Carducci e Alessandro Fambrini. Come dite voi pignoli? Il titolo giusto sarebbe «Einstein on the Beach»? No, e vedrete bene il perché.
«La prima cosa che Mateo Molina aveva visto venendo al mondo era una sala da ballo». Inizia così il racconto – forse il mio favorito qui, dopo Bishop – «L’ultima milonga» di Elena Di Fazio. Anvd: cioè altro non vi dirò.
Il ritrovamento di un inedito a firma Mozart è un grande evento ma c’è qualcosa di assai insolito: il brano è «per uno strumento di cui nessuno conosce l’esistenza»; per fortuna (o no?) accanto c’è anche «un piccolo schizzo che rappresenta il misterioso strumento». Così decolla «Il dono» di Loredana Pietrafesa. Anvd.
La musica del diavolo torna in «Sempre dal lato mancino» di Franco Ricciardello: niente Mississippi però, piuttosto Cremona: indietro nel tempo e poi avanti al 14 novembre 1940 quando «la Lutwaffe decide di colpire Coventry».
Chitarra elettrica o liuto? Fantasmi o realtà? In ogni caso Piero Schiavo Campo ha previsto che il «Ritorno» giusto è a Palermo.
Il grande vecchio Silverberg era quasi un “pulcino” quando nel 1955 scrisse «Il circuito Macauley»: il racconto è ovviamente ben scritto, la storia delle macchine che prendono il nostro posto un bel po’ deja vu.
Si finisce con «Sinfonia» di Douglas Smith: sculture, pianeti, sinestesia e la musica più ponte che mai. Ho così scoperto che Scriabin (o se preferite Skrjabin) «ha addirittura costruito un organo a colori».
Tutti bei racconti per un’antologia impeccabile con la breve introduzione dei curatori a ricordarci che è bene salire su una vetta alpina…
Ah, se non avete capito il titolo e vi chiedete che strumento suonasse Gernsback occorre un breve ripasso.
(*) in “bottega” con il titolo Fantamusica, oh sì
Grazie ! Mi permetto però di dissentire dalle tue osservazioni riguardo al mio pezzo sulla fantamusica. Il tuo articolo, che linki, è incentrato sulla narrativa e ne segnala le ricadute tematiche musicali; il mio vuole invece tracciare un itinerario – necessariamente arbitrario, incompleto e rapsodico, data l’enormità dell’argomento – in senso contrario: indicare quella musica che ha tratto ispirazione da temi fantastici. Sono, nel caso, percorsi complementari ma partono da punti di vista diversi e contrari, quindi l’accostamento non è del tutto pertinente. Quanto alle carenze di entrambi, siamo perfettamente d’accordo: messi insieme non arrivano a elencare un decimo di quello che potrebbe, e forse dovrebbe, starci. Ahimé: Ars longa, vita brevis !
Ciao Daniele! Che dire, grazie intanto per la tua menzione al mio racconto. E grazie anche per aver notato una cosa che ha portato anche me a dover fare una collazione tra le due versioni.
Questo risponde alla tua domanda nel post: no, nessuno mi ha informato delle modifiche al mio testo, che ho letto solo a cose fatte, cioè quando ho aperto il libro già stampato e in edicola.
Ho notato diverse piccole modifiche, a dire il vero non ho fatto un confronto preciso e pagina per pagina perchè ho anche una vita 🙂 Ma mi sono accorta di due tipi di modifiche:
1 – degli aggiustamenti poco significativi, forse attuati per limiti di battute o esigenze di impaginazione. Questa è una mia supposizione, ma dato che faccio l’editor professionale da dieci anni e passa mi pare di aver riconosciuto un criterio di questo tipo, in alcune “abbreviazioni”.
2 – Una modifica metodica, o quasi, che mi lascia molto meno indifferente. Te la spiego.
Nel racconto orginale, così pubblicato da Luigi Petruzzelli (che mi ha SEMPRE mandato le bozze prima della stampa, anche senza correzioni, per il mio “visto si stampi”. Luigi ya rulez!) il personaggio femminile di Beatrice Kusterman era riportato SENZA l’articolo determinativo: “Kusterman, a Kusterman, di Kusterman, per Kusterman” e così via proposizionando.
Questo NON è un errore, ma una scelta ragionata e consapevole, che porto avanti nell’ambito di un linguaggio rinovato che tenga conto della parità di genere. Allo stesso modo in cui scrivo coscientemente “ministra”, “sindaca” e così via. Qualcuno potrà non essere d’accordo, a qualcun altro suonerà male, chiunque è libero di alzare gli occhi al cielo e dire “uffa!”. Ma questo modo di parlare e di scrivere non è un errore linguistico, quindi non è passibile di correzioni come fosse un refuso qualsiasi. E anzi è una scelta anche ideale (a quanto vedo, temo idealistica) che magari prima di cancellare va per lo meno nominata o messa in discussione insieme.
Invece nel racconto Urania, un bel colpo di spugna e via: “la Kusterman, alla Kusterman, della Kusterman, per la Kusterman”. E così via articolando.
Sono ancora ben contenta di essere su Urania, cosa che costituisce una bella stella sul mio distintivo di fantascientista e in un’ottica professionale fa anche girare il mio nome. Ma non nascondo l’amarezza nell’aver constatato che una mia scelta autoriale e una mia presa di posizione sociale siano state ignorate e cancellate senza una riga di avviso.
E aggiungo l’ultima cosa: lo hanno fatto anche male! Tanto frettolosamente, che in alcuni punti l’articolo redivivo c’è, in altri invece è stato dimenticato. In questo modo sì, che questo articolo ballerino sembra un errore quando manca. Un errore che non è affatto mio, ma che così appare.
Che altro dire? Sempre e comunque grazie, Urania, per avermi fatto arrivare a tanti lettori in edicola e in Italia. Però insomma, NON SI SEVIZIA UN RACCONTINO!
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Non posso che solidarizzare appieno con Giulia Abbate.
L’uso dell’articolo (o preposizione articolata) davanti ai nomi propri è scorretto – lo sottolineano la Crusca e anche tutti i linguisti – e ammesso solo nel linguaggio colloquiale.
L’errore è più grave se si tratta solo di nomi femminili, in quando ne sottolinea la diversità di genere.
Ma la scorrettezza principale è stata da parte della Mondadori per aver permesso a qualche redattore incompetente di modificare un testo senza chiedere l’assenso dell’autore, un testo oltretutto pubblicato “per gentile concessione” e quindi non retribuito. Scorrettezza molto grave in quanto i lettori potrebbero imputare all’autrice in questione un uso sbagliato della lingua italiana.
Devo anche rilevare che nella mia ormai lunga carriera di antologista e saggista è la prima volta he mi succede una cosa del genere.
In ogni caso è inutile sottolineare la nostra totale assenza di colpa in quanto curatori. La responsabilità è da attribuirsi interamente alla redazione di Urania. E’ abbastanza inconcepibile che nessuno abbia informato nè i curatori, nè gli autori delle modifiche unilateralmente e ingiustificatamente apportate. Posso solo esprimere la mia totale solidarietà alla vittima dell’illecito e invitare gli altri autori a verificare non vi siano altre arbitrarie “correzioni”. In futuro saremo molto più sospettosi e vigili perché sgradevoli fatti come questo non si ripetano !