Le lotte dei braccianti agricoli e…
… e la due giorni di Campobello di Mazara.
L’iniziativa è stata occasione per il lancio del dossier Le nostre braccia, i nostri diritti (a cura della Casa del mutuo soccorso FuoriMercato Sicilia) e per discutere delle proposte formulate nel documento.
Nella prima giornata i partecipanti, divisi in tavoli tematici, hanno discusso delle relazioni tra lavoro, abitare e agricoltura, con l’obiettivo di coniugare le riflessioni sui percorsi di rivendicazione dei diritti dei lavoratori con quelle relative alle pratiche agroecologiche e alla necessità di soluzioni abitative diversificate che riflettano desideri e bisogni di braccianti e produttori.
Nella giornata di venerdì si è svolta una manifestazione in ricordo di Omar Baldeh, cittadino guineano morto lo scorso anno tra le fiamme che hanno bruciato il suo rifugio a Castelvetrano. Il corteo che ne è seguito ha chiesto e ottenuto un incontro con la prefettura di Trapani per avere garanzie sull’apertura immediata del campo e voce in capitolo sulle modalità di gestione. All’incontro hanno partecipato rappresentanti dei lavoratori organizzati Casa del mutuo soccorso dei braccianti FuoriMercato Omar Baldeh, un rappresentante della Casa del mutuo soccorso FuoriMercato Sicilia e uno dell’associazione nazionale FuoriMercato – Autogestione in movimento.
Le istituzioni hanno riconosciuto alcuni lavoratori come rappresentanti sindacali e li hanno messi al corrente dei progetti abitativi futuri della Regione Sicilia e dei comuni di Campobello e Castelvetrano. Al termine dell’incontro i lavoratori hanno mostrato il loro disappunto rispetto ad alcune questioni, come la poca chiarezza sul montaggio e la gestione di cinquanta alloggi in aggiunta a quelli forniti dall’UNHCR nell’ex Oleificio e soprattutto al diniego della richiesta di accedere al campo anche per chi è sprovvisto di permesso di soggiorno. Da questo punto di vista, la mobilitazione continuerà perché il campo sia aperto a tutte le persone che ne hanno bisogno, a prescindere dal loro status giuridico.
Intanto, nella notte di venerdì, un nubifragio ha colpito la provincia di Trapani e ha causato allagamenti e danni nella zona di Fontane d’Oro, dove erano presenti diversi lavoratori accampati in attesa dell’apertura del campo (prevista per oggi, 3 ottobre, a stagione già iniziata). I lavoratori hanno ricostruito le cucine danneggiate, ma chiedono ora che queste possano essere sistemate all’interno del campo.
A seguire pubblichiamo un estratto del dossier Le nostre braccia, i nostri diritti (qui lo si può leggere e scaricare nella sua versione integrale).
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IL LAVORO
Dopo l’incendio che il 30 settembre scorso ha ridotto in cenere il ghetto, uccidendo Omar Baldeh, i braccianti per la prima volta, a Campobello di Mazara, hanno preso parola rifiutando le strumentalizzazioni sulla loro pelle, rivendicando il loro valore e potere. «O ci rispettate e ci pagate la cassetta cinque euro, o non lavoriamo più e voi morite di fame». La stessa notte é emersa, a gran voce, la consapevolezza dei e delle braccianti sull’importante ruolo svolto per l’economia locale.
Rispetto, autodeterminazione, condizioni di lavoro migliori e regolarizzazione del soggiorno sono le istanze, tra loro concatenate, che hanno portato i lavoratori e le lavoratrici a opporsi a gran voce alle logiche di una politica emergenziale e paternalista imbastita dalle istituzioni come risposta alla tragedia.
Da decenni le politiche migratorie sono pensate anche per deregolamentare il mercato del lavoro che necessita di forza-lavoro usa e getta, funzionale alla produzione just in time, stagionale e a termine. Il sistema economico e normativo vigente presenta un’alta ed eclettica capacità nel riprodurre diversi rapporti di dominio, sottomissione e violenza per favorire la concentrazione di potere e benessere nelle mani di pochi, a discapito del lavoro salariato tutelato, del diritto all’abitare e della redistribuzione delle ricchezze per tutte e tutti. I più importanti paesi dell’Unione Europea, grazie a leggi come la Bossi-Fini in Italia, continuano ad avvalersi di manodopera conveniente per livellare verso il basso le condizioni generali di lavoro di tutte e tutti – stranieri e nativi – e, contestualmente, mantenere la separazione, tutta politica, del lavoro migrante con il resto della forza-lavoro, per evitare il più possibile il dissenso e per scongiurare qualsiasi piattaforma unitaria tra diversi soggetti. Le istituzioni e le associazioni padronali ci riescono grazie a un quadro normativo che produce intenzionalmente condizioni di precarietà nei percorsi di accoglienza e nel lavoro. I lavoratori delle campagne, col supporto del sindacalismo, continuano a rivendicare diritti e salari dignitosi; continuano a rendersi protagonisti di mobilitazioni, sit-in, scioperi, rivendicano incontri con le istituzioni.
A Campobello di Mazara la raccolta delle storie di sfruttamento e delle condizioni di vita nel ghetto, la condivisione e l’elaborazione delle istanze e delle rivendicazioni sono processi collettivi nati all’interno del cerchio di fiducia e riconoscimento costruito con i e le braccianti.
Dall’ascolto delle storie dei lavoratori e delle lavoratrici emerge come il lavoro irregolare nell’ultimo decennio si sia evoluto per eludere la legge e adattarsi alle esigenze dei datori di lavoro, rimanendo comunque non conforme alle previsioni di legge, oltre che del contratto collettivo.
L’“invisibilità giuridica” del lavoro nero, per oltre un decennio, è stata la causa e l’effetto dell’incremento della comoda e strumentale invisibilità della manodopera a basso costo. Lo sfruttamento dei lavoratori irregolari che vivono in insediamenti informali ai margini dei centri abitati, nella totale privazione dei più basilari diritti, ha permesso agli agricoltori di violare la normativa previdenziale e giuslavoristica a tutela del lavoratore (orario, retribuzione, versamento dei contributi, igiene e sicurezza) massimizzando l’appropriazione di plusvalore.
Contestualmente, il lavoro nero per i migranti in possesso di titolo di soggiorno o per i richiedenti asilo ha permesso di creare nuove e accresciute masse di lavoratori altrettanto “invisibili” a cui è stata privata la possibilità di provare l’integrazione socio-lavorativa e così la possibilità di rinnovare o ottenere il permesso di soggiorno.
I controlli più frequenti da parte delle istituzioni e il contrasto al fenomeno del caporalato hanno, negli ultimi anni, segnato il passaggio dal “lavoro nero” o “sommerso”, lavoro privo di qualsiasi contratto, al “lavoro grigio”, in cui un contratto c’è ma non corrisponde alle effettive modalità e condizioni di lavoro. Nella sfera del lavoro grigio, il contratto, piuttosto che essere uno strumento di tutela per il lavoratore e di contrasto dello sfruttamento, diventa una tutela per il datore di lavoro.
Dall’ascolto delle voci del ghetto e dalla lettura della documentazione lavorativa è emerso come il più frequente tra gli espedienti messi in atto dalle aziende agricole a copertura della sistematica violazione dei diritti dei braccianti è la registrazione di un numero di giornate lavorative inferiori rispetto a quelle effettivamente prestate. Infatti, le giornate non dichiarate all’Inps permettono al datore di lavoro un importante risparmio sugli oneri previdenziali e fiscali nel costo della manodopera, con gravissimi effetti a danno dei braccianti che non soltanto vengono spesso privati dell’indennità di disoccupazione ma, non potendo provare il proprio effettivo reddito lavorativo, incontrano difficoltà nell’ottenimento o nel rinnovo del titolo di soggiorno.
Altro espediente riscontrato, questa volta finalizzato al superamento dei controlli sulle proporzioni tra numero di braccianti impiegati nella raccolta e numero di piante possedute, è quello dei “falsi braccianti”. Le aziende attribuiscono, dietro pagamento, a lavoratori agricoli fittizi, giornate di lavoro svolte da altri braccianti (magari irregolari). In questo modo, i primi possono usufruire delle misure di previdenza sociale, quali la disoccupazione agricola, gli assegni familiari e perfino la pensione agricola, pur non avendo mai effettivamente lavorato nel settore. Secondo i dati raccolti dalla Rete Rurale Nazionale e dal Mipaaf, nel Rapporto Migrazioni, agricoltura e ruralità. Politiche e percorsi per lo sviluppo dei territori, tra il 2015 e il 2017 l’Inps ha scoperto 92.780 lavoratori fittizi, per un danno all’erario di centinaia di milioni di euro.
Sia per le giornate registrate che per quelle non registrate, così come per il lavoro nero, il salario è quasi sempre corrisposto a cottimo, ovvero in base al numero di cassette raccolte anziché delle ore svolte o in base al salario minimo previsto dal contratto collettivo.
Articolo e immagine ripresi da: https://napolimonitor.it/le-lotte-dei-braccianti-agricoli-e-la-due-giorni-di-campobello-di-mazara