Le luci sono del popolo/5

Accesso all’energia e povertà energetica (*).

di Jonatan Nuñez e Felipe Gutiérrez Ríos – Observatorio Petrolero Sur.


Uruguay: il diritto all’energia nella transizione

L’Uruguay si è trasformato in un Paese paradigmatico per il dibattito sulla transizione energetica nel continente latinoamericano. Proprio per questo motivo, le caratteristiche delle controversie energetiche in quel paese ci permettono di mettere in discussione la questione dell’accesso all’elettricità in un contesto regionale. Per introdurci alle particolarità del caso, passeremo in rassegna alcune delle principali lotte che si sono svolte in Uruguay riguardo la questione energetica.

In primo luogo faremo riferimento alla tradizione pubblica della gestione dell’energia elettrica, che dà origine alla richiesta di un diritto umano all’energia. In secondo luogo esamineremo la questione dell’accesso a questo bene. Infine, ricostruiremo i dibattiti sulle tariffe e concluderemo con una serie di proposte per migliorare l’accesso pubblico. Lo faremo dal punto di vista dell’AUTE, il sindacato dei lavoratori del settore elettrico statale, e del team di economisti della Cooperativa Comuna, che hanno elaborato una serie di anaisi e proposte.

L’energia pubblica come diritto

Esistono diverse caratteristiche proprie del sistema energetico uruguaiano che determinano l’attuale situazione dell’accesso all’elettricità. Il primo è l’assenza di risorse fossili nel paese per cui il suo utilizzo dipende dalle importazioni, soprattutto di petrolio greggio che viene raffinato dall’ANCAP, la compagnia petrolifera statale. La seconda – in parte motivata dalla prima – è che dal 2008 si è verificato un processo di transizione accelerato nel sistema elettrico: quasi tutta la produzione termoelettrica è stata sostituita dall’energia eolica, che oggi copre il 45% del totale. Il resto dell’elettricità proviene da centrali idroelettriche. L’Uruguay è quindi il Paese del nostro continente che brucia meno combustibili fossili per produrre elettricità. Una terza caratteristica di rilievo è l’importanza del settore pubblico che, attraverso l’Amministrazione Nazionale delle Centrali Elettriche e delle Trasmissioni Elettriche (UTE nell’acronimo spagnolo), monopolizza il trasporto e la distribuzione di energia elettrica, oltre alla raffinazione e alla distribuzione del petrolio da parte dell’ANCAP.

Questi elementi determinano, come tratto caratteristico del sistema energetico, un legame tra il popolo e l’energia mediato dallo Stato. Al momento della sua creazione, nel 1912, l’UTE ottenne il monopolio della produzione, del trasporto e della distribuzione di energia elettrica. Partendo della generazione termica e idroelettrica, all’inizio degli anni ’60 l’UTE raggiunse circa l’80% dell’elettrificazione residenziale del paese e una copertura praticamente universale a Montevideo.

La dittatura civico-militare iniziata nel 1973 promosse la Legge Nazionale sull’Elettricità, eliminando la dimensione sociale delle tabelle tariffarie e annullando il monopolio di produzione e distribuzione detenuto dalla UTE. Tuttavia i cambiamenti più rilevanti avvennero negli anni ’90, quando il governo di Luis Alberto Lacalle cercò di privatizzare le aziende pubbliche, una misura revocata attraverso un plebiscito nel 1992. A partire dal 2005 l’arrivo al governo del Frente Amplio si tradusse, in termini di energia, nell’emanazione di un piano per il 2030 che riprendeva la visione dell’energia come risorsa strategica. Questo piano considerava anche l’accesso all’energia come un diritto, proclamando la necessità di un’essenza sociale per le politiche energetiche.

Va tuttavia segnalato che, prima di queste esperienze e parallelamente ad esse, ci sono state (e ci sono tuttora) varie espressioni di contestazione popolare per energia. Nel 1935, ad esempio, nella città di Mercedes furono istituite le Comisiones de Vecinos Pro Rebaja de Tarifas, un’esperienza che si ripeté nel 1963 nella stessa città di Mercedes e anche a Paysandú. Nel 1946 l’UTE creò delle commissioni tariffarie con l’obiettivo di ridurre e unificare le tariffe. Nel 1949, a seguito di un aumento delle tariffe, fu creata l’Agrupación de Funcionarios de la UTE (AUTE). Da allora questa organizzazione ha portato avanti mobilitazioni storiche – come lo sciopero con il taglio del servizio del 1959 – in cui si combinavano le rivendicazioni salariali con una prospettiva politica e sociale. Nel decennio 2010 l’AUTE era uno dei sindacati più attivi e numerosi del PIT-CNT, la centrale unica dei lavoratori dell’Uruguay.

Un elemento fondamentale della proposta politica dell’AUTE è la concezione dell’energia come diritto umano. Dal suo punto di vista i servizi energetici sono fondamentali per l’alimentazione, l’accesso all’acqua, la salute e l’accesso alle informazioni, oltre che per altri beni cruciali. Si rende conto che “la mancanza di accesso in forma sicura e in quantità adeguate è fortemente correlata ai problemi di povertà strutturale […], non esiste un sostituto dell’energia ed è quindi un valore d’uso fondamentale come l’aria, l’acqua e la terra” (AUTE e Comuna, 2018). Questa concezione dell’energia come diritto umano dà struttura ai dibattiti sull’accesso all’energia che esamineremo di seguito.

Energia e povertà in Uruguay

In contrasto con la richiesta pubblica di energia emersa dall’AUTE e da vari movimenti popolari, e nonostante la visione del Frente Amplio sull’energia come risorsa strategica, il primo governo di Tabaré Vásquez (2005-2010) adottò una politica di privatizzazione del settore della produzione di energia senza precedenti. Diversi progetti di energia eolica furono assegnati a società private, soprattutto straniere, con un’intensità che posizionò l’Uruguay all’avanguardia nella generazione di energia rinnovabile nella regione. Se ai progetti eolici si aggiungono la produzione di biomassa e la produzione fotovoltaica marginale, nel 2020 l’81,1% della capacità elettrica installata in Uruguay era controllata da capitali privati. C’è una tensione intrinseca in questi progetti di generazione di elettricità con risorse rinnovabili proposti in un contesto di urgenza a causa della crisi climatica, ma che tuttavia implicano la privatizzazione del settore.

Questo è uno dei temi centrali dell’attuale dibattito in America Latina: riflettere sul tipo di transizione energetica in atto e su quanto una visione apparentemente “verde” del capitalismo sia riuscita a fagocitare i discorsi ambientali.

Durante i governi del Frente Amplio la privatizzazione della produzione di energia dipese dal prodotto di uno spostamento verso le risorse rinnovabili che concepiva il settore privato come il miglior gestore dell’elettricità, mettendo in discussione il ruolo dell’UTE nonché la concezione dell’accesso all’energia come diritto. In definitiva, queste misure portarono alla mercificazione di fatto del settore e all’influenza straniera sulla sua proprietà. Era stata così portata a termine la logica delle privatizzazioni degli anni ’90, una logica che aveva favorito la concentrazione del mercato nel settore cosiddetto dei “grandi consumatori”. Questo settore, composto principalmente da industrie, ricevette poi un riconoscimento istituzionale acquisendo una capacità di lobbying e incidenza eccessiva nella politica energetica (AUTE e Comuna, 2018).

Tuttavia, questi cambiamenti nella politica energetica sono avvenuti in un contesto di accesso praticamente universale all’elettricità. Nel 2006, solo il 2,3% delle famiglie uruguaiane non aveva accesso all’energia e un altro 4% aveva una connessione irregolare. Questa relativa universalità dell’accesso non riesce a nascondere le significative disuguaglianze sociali che il sistema elettrico riproduce. Nel decile con reddito più basso, il 25% delle famiglie ha un allaccio irregolare alla rete elettrica 1. L’economista Pablo Messina, membro della cooperativa Comuna, analizza il consumo energetico di diversi tipi di famiglie per illustrare queste disuguaglianze. Sottolinea che le famiglie più povere spendono il 6,7% del loro reddito per il consumo di energia, mentre quelle del decile più ricco spendono solo il 3,5%. Inoltre evidenzia l’utilizzo di fonti energetiche diverse a seconda del settore sociale o del territorio: le famiglie a più alto reddito utilizzano più elettricità; a Montevideo c’è una maggiore connessione alla rete del gas, mentre nell’interno del paese la principale fonte di energia è la legna da ardere (Messina, 2015).

A partire da questa analisi, Messina affronta l’idea di povertà energetica nel contesto uruguaiano. “È vero che in Uruguay l’accesso all’elettricità è praticamente universale. La maggior parte delle persone ha un accesso sicuro all’elettricità, ossia non sarebbe un povero di energia. Ma quando si vede cosa possono consumare e quanto spendono, il quadro è brutale. Quindi, la comprensione della povertà energetica in base all’accesso, come fanno alcune definizioni globali, è molto limitata, perché in realtà queste famiglie non consumano quantità sufficienti, neanche lontanamente“.

Al contrario, Messina suggerisce di prendere in considerazione la possibilità e la regolarità dell’accesso, nonché il rapporto tra spesa energetica e reddito familiare.

La controversia sulle tariffe

Come in altri paesi del continente, anche in Uruguay le tariffe sono un elemento fondamentale del dibattito sull’elettricità. Un aspetto che lo rende simile ad altri paesi, come l’Argentina, è la complessità della struttura tariffaria e le difficoltà di approfondirne la comprensione a causa della mancanza di dati o studi. In linea di massima si può stabilire che esistono diverse tariffe elettriche, ad esempio un prezzo differenziato per i consumatori residenziali, medi e grandi. Come già detto, ciò comporta costi relativi diversi per i consumatori, ad esempio per le famiglie o tipi di industria.

Pablo Messina sostiene che “in generale quando qualcuno viene dall’estero dice: ‘Oh, le tariffe in Uruguay sono care, vero? Ma non è così. Bisogna tener presente che la tariffa non è un livello, non può essere calcolata, bensì ha una struttura e che è per tipo di consumatore. Il confronto richiede molta attenzione, ma se si disaggrega un po’ di più e si guarda alla tariffa residenziale uruguaiana e la si confronta con produttori che hanno una densità di clienti per chilometro quadrato simile a quella dell’Uruguay, non è una delle più costose. In effetti, se si fa un confronto con le imprese argentine con una densità di clienti simile a quella dell’Uruguay, le aziende private sono più costose di quelle pubbliche“.

L’AUTE e la cooperativa Comuna realizzarono uno studio sulla struttura tariffaria per analizzare l’evoluzione delle tariffe dal 1990 al 2017 evidenziando che, mentre la tariffa residenziale era aumentata in termini reali dello 0,4%, quella per i grandi consumatori era diminuita del 21,5%. Una differenza che non era dovuta a una questione di costi ma a una politica di aggiustamento, in particolare negli anni Novanta. Oltre a questa disparità, AUTE e Comuna sottolineavano che, in media, le famiglie pagavano il doppio per kWh rispetto al settore industriale (i “grandi consumatori”) e che lo sforzo relativo delle famiglie era maggiore di quello del settore produttivo (AUTE e Comuna, 2018).

Con questi elementi, nel 2017 il sindacato dei lavoratori dell’elettricità iniziò una campagna in cui non mettevano particolare enfasi sul costo della tariffa, ma piuttosto sull’iniquità della struttura tariffaria. “Non c’è dubbio che l’insistente richiesta del popolo uruguaiano di ‘abbassare l’elettricità’ abbia ragioni assolutamente valide che devono essere affrontate una volta per tutte. C’è un problema reale, ma oltre a discutere del prezzo concreto di ciò che le famiglie pagano, dobbiamo capire ‘perché’ dovrebbero pagare così tanto”, dichiarava il sindacato in un comunicato attraverso il quale lanciò la campagna “La tarifa es injusta, bajarla es posible” (La tariffa è ingiusta, abbassarla è possibile – AUTE, 2017).

Per l’AUTE, le ragioni di questa ingiustizia tariffaria non sono da ricercare solo nel sussidio virtuale ai grandi consumatori, ma anche nella struttura della produzione privata di elettricità, che comporta costi elevati per lo Stato. “In definitiva si paga molto per far sì che i Medi e Grandi Consumatori di energia elettrica paghino poco, e affinché i produttori privati di energia continuino ad arricchirsi con il business abusivo del cambio di fonte energetica”.

In termini di proposte, l’AUTE ritiene che sia possibile abbassare la tariffa senza indebolire il servizio pubblico. A tal fine propone di aumentare la tariffa per il settore produttivo (in particolare per quelli raggruppati nella categoria dei “grandi consumatori”) e di ridurre la tariffa per il consumo residenziale. La proposta si basa su alcuni dati tra cui la maggiore difficoltà delle famiglie nel pagare l’elettricità, il numero ridotto di utenti nel settore dei “grandi consumatori” (lo 0,03% degli utenti che consumano più di un quarto del totale venduto dall’UTE nel mercato nazionale) e l’esistenza di una serie di benefici fiscali di cui queste aziende beneficiano.

Un secondo elemento è legato all’eliminazione dell’IVA sul costo della tariffa, che attualmente ammonta al 22%. Ciò implicherebbe che i primi 200 kWh mensili sarebbero esenti da IVA, in quanto intesi come consumo di base. Ci sarebbero anche altre esenzioni, come l’IVA sul “canone fisso” e sul “canone fisso per potenza”, che si basano sulla necessità di coprire l’accesso all’energia come diritto umano e sulla necessità di differenziare i consumi necessari allo sviluppo della vita dei consumatori di lusso. Il finanziamento della riduzione dell’IVA sarebbe compensato da un aumento della tariffa per i grandi e medi consumatori e da una modifica della tariffa residenziale al fine di discriminare i grandi consumatori residenziali, oltre che tramite modifiche fiscali (AUTE e Comuna, 2018).

Questa discussione è diventata più importante nel contesto della pandemia da COVID-19 e dell’aumento dei dibattiti sul salario universale. Ad esempio, nell’aprile 2020, la Mesa Sindical Coordinadora de Entes Autónomos de Uruguay ha proposto un paniere di servizi pubblici di base che comprendeva l’accesso garantito a 13 kg di bombole di gas, 180 kWh di elettricità, 50 giga di internet e 10 m3 di acqua potabile per tutte le famiglie con lavoratori privi di protezione sociale o i beneficiari dell’assicurazione contro la disoccupazione (cesantía), nonché per le famiglie con persone a basso reddito di età superiore ai 65 anni.

“Il problema di fondo non è che la tariffa sia costosa“, sostiene Messina, “ma è che ha a che fare con problemi strutturali di occupazione, di un salario dignitoso, di un buon lavoro, di una buona casa. Ovviamente nessuno deve essere lasciato senza soddisfare il proprio fabbisogno energetico, questo è certo, ma il match più duro sta nel risolvere il problema di avere lavori non precari, con redditi più in linea con le necessità“.

Un movimento per democratizzare l’energia

la Cooperativa Comuna sottolinea la necessità di abbandonare la logica di mercato e del prezzo in quanto razionalizzatore dei consumi. In questo processo sottolinea il ruolo dell’impresa pubblica così come il processo storico di elettrificazione portato avanti dall’UTE. A titolo di esempio cita l’elettrificazione rurale, realizzata in perdita, con le eccedenze derivanti dalla riscossione delle tariffe a Montevideo, necessarie per finanziare l’ampliamento dell’accesso territoriale. Nello stesso senso la Comuna sostiene la proposta dell’AUTE sulla riduzione delle tariffe perché “al di là della discussione su quale tipo di strumento sia migliore, comprendiamo che misure come le ‘tariffe sociali’ o gli sconti commerciali, le sovvenzioni o i sussidi, sono necessari per garantire l’accessibilità economica”. Oltre a queste misure la Comuna sostiene che, sulla base dell’esperienza internazionale, è necessario attuare valutazioni ufficiali sulla povertà energetica perché, sebbene queste valutazioni non “eliminino la povertà”, la riconoscono e, attraverso misure ad hoc, spesso regolarizzano o evitano situazioni estreme come i tagli dovuti al mancato pagamento (Comuna e Taller Ecologista, 2020).

“Penso che sia l’attore politico che potrebbe raccogliere questa bandiera, perché la migliore politica contro la povertà energetica è una buona casa per tutti”.

L’AUTE, invece, ritiene che “è essenziale costruire forze sociali in grado di pensare, proporre e realizzare la trasformazione delle attuali relazioni sociali riguardo l’elettricità”. Riprendendo le lotte storiche dei movimenti degli utenti, il sindacato sostiene che “è possibile progettare un nuovo sforzo sociale e/o istituzionale che adegui i vecchi obiettivi della Commissione tariffaria alla realtà attuale del nostro paese, e per questo è essenziale consolidare un Movimento degli Utenti dell’Elettricità” (AUTE e Comuna, 2018). Da parte sua Pablo Messina propone lo storico settore uruguaiano della lotta per la casa come motore della nuova lotta per l’accesso all’energia: “la scommessa era quella di dar vita a un movimento di utenti versp due direzioni: il movimento del tariffario e uno molto più profondo, che ha a che vedere con la democratizzazione del mercato elettrico, dove non partecipano né i lavoratori dell’UTE né gli utenti residenziali. È un’idea che esiste ancora, ma non si è concretizzata. Se lo chiedete a me credo ci sia un grande utente che sono le cooperative per la casa, le quali possono essere la punta di diamante di un movimento, in alleanza con l’AUTE. Mi sembra che sia questa la sfida, molto di più che dare vita a un movimento di utenti per l’elettricità“.


Conclusioni

Concetti come la povertà energetica e di combustibili hanno aiutato a quantificare le difficoltà di accesso affrontate da diverse popolazioni in tutto il mondo, soprattutto quando questi studi si sono concentrati sulla soddisfazione dei bisogni piuttosto che sulla questione del reddito familiare. Ciò ha permesso, ad esempio, di stabilire criteri di differenziazione tra la portata relativa della fornitura di elettricità a livello nazionale in paesi come il Cono Sud e il Messico, e le difficoltà nel rendere l’accesso all’elettricità sicuro ed economico. A prescindere dalle prospettive metodologiche, che non sono neutre e implicano approcci diversi al problema, lo studio della povertà energetica ha contribuito a rendere visibili i difetti strutturali del sistema energetico, permettendo così di politicizzare la questione dell’accesso.

Questa teorizzazione, elaborata soprattutto nei paesi centrali e in misura minore in America Latina, è legata a una tradizione latinoamericana di lotta per l’accesso all’energia. In molti dei nostri paesi, questa traiettoria fa parte di una memoria collettiva breve, in cui il rapporto delle comunità locali con l’energia era associato a un servizio fornito (e in alcuni casi garantito) dallo Stato. In questi paesi, quindi, la richiesta degli utenti deriva dalla perdita di un diritto, soprattutto dopo la privatizzazione dei servizi energetici.

Tale processo non si è verificato in un unico momento – ad esempio in Argentina è stato molto intenso negli anni ’90, mentre in Messico si è approfondito nel decennio successivo – né si è concluso del tutto e ha persino subito delle battute d’arresto. Tra questi processi nel 2003 la guerra del gas in Bolivia è stata una pietra miliare nella difesa dei beni energetici.

La questione dell’accesso implica quindi un elemento primordiale vincolato alla concezione dell’energia come diritto umano e alla lotta per la gestione pubblica. Da qui derivano altri conflitti comuni in diversi paesi della regione, come la richiesta di una tariffa elettrica sociale, la cancellazione del debito e, tra gli altri, la cessazione dei tagli alle forniture. In altre parole, quando ci addentriamo nel tema centrale di questo dossier, troviamo una lotta storica che si basa su repertori d’azione di lunga data, anche se sempre con nuove configurazioni. Sebbene la perdita di diritti sociali funga spesso da fattore scatenante, è necessario sottolineare che la lotta non è necessariamente legata a una richiesta di ritorno allo Stato pre-neoliberale.

Humberto Montes de Oca, del Sindacato degli elettricisti messicani, lo illustra partendo dall’esperienza del suo paese: “man mano che lo Stato si ritirava economicamente, man mano che il cosiddetto Stato sociale veniva smantellato, l’accessibilità ai diritti subiva sempre più interruzioni e diventava difficile da raggiungere. Non crediamo nel ripristino della sfera pubblica a partire da una visione dello Stato paternalistica e corporativa, lo Stato che fa tutto e decide tutto. Crediamo sia importante aprire uno spazio di partecipazione, di gestione sociale di tutto: beni, politica e democrazia”.

Un’altra questione importante nell’analisi del problema dell’accesso all’energia è la necessità di pensare all’energia in generale, e all’elettricità in particolare, non come semplici beni acquistati e venduti all’interno di un particolare modello commerciale, ma come parte di un sistema in cui confluiscono molteplici elementi. Osservare questa struttura ci permette di capire che questioni come l’ingiustizia socio-ambientale – l’inquinamento generato dallo sfruttamento dell’energia – è direttamente collegata all’ingiustizia nei consumi. I problemi di accesso all’energia non sono né un debito né un “problema” del sistema, ma piuttosto la logica conseguenza dello stesso sistema e delle sue dinamiche interne che producono “vincitori” e “perdenti”. Lo spreco energetico di alcuni settori concentrati è il rovescio della stessa medaglia: l’espropriazione territoriale delle popolazioni colpite dall’estrattivismo, la distruzione delle attività economiche tradizionali e la mancanza di accesso all’energia per i settori a basso reddito. Dinamiche di accumulazione per esproprio, segni di uno sviluppo imperante ineguale e combinato.

Lungi dall’essere una particolarità settoriale, la dinamica del sistema energetico è il riflesso di un sistema sociale ed economico ingiusto e impoverente. In questo contesto, quando si pensa e si evidenziano le difficoltà di accesso alle risorse energetiche, è essenziale assumere una visione che non consideri le persone private dell’accesso all’energia come un oggetto, ma piuttosto come soggetti storici che rivendicano il diritto all’energia attraverso la lotta e l’organizzazione. Ossia porre la controversia in chiave politica.

I casi trattati nel presente rapporto lo dimostrano. Tutti e tre condividono alcuni elementi, come la forte presenza di settori di lavoratori e lavoratrici, raggruppati insieme ad altri settori della popolazione che articolano le loro richieste di accesso all’elettricità. Queste controversie non sono un compartimento stagno che inizia e finisce con queste richieste. Infatti, le lotte per l’accesso all’acqua potabile sono intimamente legate a quelle per l’energia, al punto da diventare una cosa sola in processi diversi, sia per le caratteristiche di estrazione che di consumo. Anche la lotta per un alloggio dignitoso fa parte degli stessi processi. Sono la continuazione di una lunga lotta latinoamericana che rifiuta la mercificazione della vita. In tempi in cui si discute di transizioni globali – energetiche, ecosociali – queste lotte locali devono essere al centro della disputa perché ci ricordano che tutti abbiamo bisogno di acqua, energia e terra per vivere.

(5. Fine)

* Traduzione di Giorgio Tinelli per Ecor.Network.


Las luces son del pueblo. Energía, acceso y pobreza energética
Jonatan Nuñez, Felipe Gutiérrez Ríos
Observatorio Petrolero Sur, 2022 – 50 pp.


Note:

1) Secondo un rapporto della BID (Banco Interamericano de Desarrollo), nel periodo 2008-2012 l’Uruguay perse il 19% della produzione di elettricità, mentre in tutta l’America Latina la perdita fu del 17%, a causa di problemi tecnici (efficienza del trasporto) e non tecnici (furti e frodi). Il problema delle connessioni elettriche irregolari è ampiamente diffuso in tutta l’America Latina e coinvolge distinti settori residenziali e industriali. Tuttavia persistono approcci criminalizzanti che registrano situazioni simili solo nei settori a basso reddito.

alexik

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