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La Bottega del Barbieri

Le motivazioni della sentenza d’appello riabilitano Mimmo Lucano

di Giovanna Procacci (*)

Devo dire che per chi come me ha seguito tutto il processo contro Riace e Lucano, leggere queste motivazioni della sentenza d’appello è un momento di vero piacere.
Certo, il piacere è prima di tutto di vedere che l’assoluzione dai reati che il tribunale di Locri aveva confermato ha solide basi, che l’esperienza di Riace, condannata in primo grado come associazione a delinquere, viene restituita al suo significato di esperienza innovativa di accoglienza e integrazione, che l’azione del suo sindaco Domenico Lucano viene integralmente riabilitata, riconoscendo che “mai ha neppure pensato di guadagnare sui rifugiati“ e ha sempre perseguito un ideale di integrazione, conforme peraltro alle finalità proprie del sistema Sprar.

Ma è anche il piacere di trovare in questa sentenza un ragionamento che si pone l’obiettivo di rendere conto di quanto successo nel dibattimento processuale, proprio quello che era mancato del tutto nella sentenza di primo grado del tribunale di Locri. Il piacere di vedere un collegio che rifiuta la via ibrida di affidarsi a intercettazioni che possono essere interpretate in vari modi, che ne ridimensiona fortemente l’utilizzabilità e le analizza nel loro contesto di senso, di relazioni, di vita. Un collegio che si prende la responsabilità di giudicare cosa è stato provato e cosa no, di riconoscere che “manca la prova” dell’associazione a delinquere e dell’appropriazione patrimoniale; di tirare le fila delle varie voci e testimonianze, incrociandone le risultanze; che si chiede insomma di dare un senso alle cose emerse e di trarne le conseguenze logiche.

La sentenza d’appello accoglie praticamente tutti i punti principali sollevati dal ricorso delle difese e lancia critiche esiziali alla sentenza di primo grado; fin dall’inizio, quando ne critica la dimensione elefantiaca “che offusca le ragioni della decisione”, oltre che “l’integrale ed acritica trascrizione delle prove”. Un incipit secco, che non lascia dubbi sul diverso approccio seguito dal collegio d’appello e apre una distanza abissale con i giudici di Locri.

Mi fa piacere anche ritrovare nella sentenza tutti gli elementi che mi avevano colpita, sia nel mio monitoraggio del processo, che nella lettura della sentenza del collegio di Locri. E’ molto confortante constatare che, nonostante il diritto processuale sia molto tecnico, se ci si pone dal punto di vista di dare un senso alle cose che si svolgono nel processo anche un osservatore privo di conoscenze tecniche riesce a capire quanto avviene. E’ confortante proprio dal punto di vista della cittadinanza e dei meccanismi della democrazia, del rapporto con la giustizia. Se il processo politico – e questo è stato in tutto e per tutto un processo politico, come proprio questa sentenza nello smontare la sentenza di Locri dimostra – è un processo che capovolge il senso delle cose e crea un divario fra giustizia e sentire comune, fa davvero piacere che alla fine quel capovolgimento sia crollato rovinosamente, che la verità storica e morale dell’esperienza di Riace sia stata riconosciuta, che Lucano sia stato riconosciuto come mosso solo dai suoi ideali di solidarietà e umanità, che quel divario fra quello che tutti sappiamo di Riace e la giustizia si sia ricomposto.

Rimane la sofferenza inflitta a una comunità di persone, la distruzione di un’esperienza innovativa e l’impunità di tutti quelli che questa distruzione l’hanno attuata, con strumenti politici o giudiziari, deliberatamente, contro ogni senso comune.

(*) Tratto da Pressenza.

Mimmo Lucano, così le motivazioni della Corte d’Appello smontano la quasi totalità delle accuse e riabilitano il modello Riace

di Lucio Musolino (*)

L’associazione a delinquere? Dall’ampia istruttoria non è emerso nulla “per ritenere provati nessuno degli elementi che, nella pratica giudiziaria, vengono valorizzati per dimostrare l’esistenza di una struttura associativa”. La truffa? “Manca la prova degli elementi costitutivi il reato”.
Il peculato? “Non è configurabile per la gestione e destinazione di somme di provenienza pubblica, anche dopo la loro corresponsione, quale corrispettivo del servizio, pattuito a seguito di apposito contratto e prestato”.
Quella della Corte d’Appello di Reggio Calabria non è solo una sentenza che ha cancellato la pena a 13 anni e 2 mesi di carcere inflitta in primo grado a Mimmo Lucano che così è stato assolto da tutti i reati gravissimi che gli venivano contestati dalla Procura di Locri: numerosi abusi d’ufficio, diversi falsi, truffa aggravata, peculato e, soprattutto, l’essere il promotore di associazione a delinquere che aveva lo scopo di commettere “un numero indeterminato di delitti (contro la Pubblica amministrazione, la fede pubblica e il patrimonio) legati alla gestione dei progetti di accoglienza dei migranti. Nonostante la condanna per un falso (relativo una delle 57 determine, firmata nel 2017, contestate dall’accusa in uno solo dei 19 capi di imputazione), le motivazioni dei giudici di secondo grado sono una sorta di “riabilitazione di Lucano” che su richiesta della Procura di Locri nell’ottobre del 2018 era stato arrestato nell’ambito dell’inchiesta “Xenia” condotta dalla Guardia di finanza.

Finito prima ai domiciliari e poi a un lungo periodo di esilio, durato un anno, Lucano ha affrontato due processi. Nel 2021 il Tribunale di Locri lo ha condannato a una pena pesantissima per quasi tutti i reati che nel 2023 la Corte d’Appello ha cassato quasi in toto, a parte un falso (per il quale appunto è stato condannato a 18 mesi con pena sospesa), la prescrizione per un abuso d’ufficio e per un altro falso, e il “non doversi procedere per difetto di querela” (che avrebbe dovuto presentare un altro imputato nei confronti di Lucano, ndr) per una presunta truffa.

Accogliendo il ricorso formulato dagli avvocati Andrea Daqua e Giuliano Pisapia, che hanno difeso l’ex sindaco di Riace, in sostanza, i giudici di secondo grado Elisabetta Palumbo, Davide Lauro e Massimo Minniti con meno di 300 pagine hanno smontato l’impianto accusatorio. A partire dalle intercettazioni che, secondo la Corte d’Appello “non erano (e non sono) utilizzabili nel caso di specie”.
Rifacendosi a quanto stabilito dalla Cassazione, infatti, nella sentenza depositata in questi giorni, i giudici spiegano che “l’utilizzabilità delle intercettazioni disposte per altro reato è pur sempre subordinata alla condizione che il nuovo reato sia a sua volta autorizzabile venendo in rilievo un limite imposto dalla legge e non certo oggetto di ‘creazione’ giurisprudenziale’”.

Il riferimento è una critica al Tribunale di Locri che, “per alcune ipotesi di reato, ha dato al fatto una diversa qualificazione giuridica, il che pone il problema” dell’utilizzabilità delle conversazioni “per reati non autonomamente intercettabili”.
Detto in altre parole: “Significherebbe da un lato svuotare di contenuto la funzione di garanzia propria del provvedimento autorizzativo, dall’altro, trasfigurare il decreto in una sorta di ‘autorizzazione in bianco’, in aperto contrasto con la riserva di cui all’articolo 15 della Costituzione”.

Ma nonostante “la pur accertata inutilizzabilità dei dialoghi”, secondo la Corte d’Appello, questa “non impedisce di individuare elementi di prova favorevoli agli imputati” ai quali venivano contestati anche i prelievi “di somme in contanti” dai conti correnti delle associazioni impegnate nell’accoglienza dei migranti.
Un dato meramente presuntivo. – si legge in sentenza – Era necessario fornire prova (in specie del tutto mancante) dell’effettivo impiego, e soprattutto dell’impiego illecito, delle somme prelevate dai vari rappresentanti legali, prova il cui onere incombeva sul pm”.

Per non parlare dei migranti lungopermanenti che sarebbero stati trattenuti a Riace:
Può seriamente dubitarsi dell’esistenza di un vantaggio patrimoniale”.
Anzi, vi era “la piena consapevolezza, da parte del Servizio centrale e della prefettura, della presenza dei cosiddetti lungopermanenti” che, se ci fossero stati “i presupposti di legge, andavano al limite espulsi con provvedimento di competenza prefettizia e non certo del sindaco”.
Al “vuoto probatorio” fa il paio la questione dell’ “interpretazione” del significato delle conversazioni di Lucano. “È di giustizia – scrivono i magistrati – evidenziare come lo stesso Tribunale, in maniera contraddittoria, abbia in realtà utilizzato numerose conversazioni captate dopo la discovery, ritenendo di poterne trarre elementi a carico degli appellanti”.

Eppure, contestando quanto scritto dal Tribunale di Locri, la Corte d’Appello evidenzia che “i dialoghi intercettati in linea con gli accertamenti patrimoniali compiuti su Lucano Domenico suggeriscono di escludere che abbia orchestrato un vero e proprio ‘arrembaggio’ alle risorse pubbliche”. Piuttosto sono emersi elementi “di segno positivo che, in uno con lo stato di incensuratezza, inducono a riconoscere le circostanze attenuanti generiche”. Attenuanti che, all’ex sindaco di Riace, erano state invece negate nel primo processo.
Per i giudici d’appello, “sono indicatori meritevoli di considerazione la personalità dell’appellante (Lucano appunto, ndr), il contesto in cui ha sempre operato, caratterizzato da un continuo afflusso di migranti, l’assoluta mancanza di qualsivoglia fine di profitto, l’indiscutibile intento solidaristico, gli sforzi per portare avanti la propria idea di accoglienza (nelle sue stesse parole, ‘Io devo avere uno sguardo più alto’)”.

“Più in particolare – si legge – non si condivide il contrario assunto del Tribunale che, nell’offrire la propria chiave di lettura degli elementi di prova, ha fatto riferimento ad una ‘logica predatoria delle risorse pubbliche’, ad ‘appetiti di natura personale, a meccanismi illeciti e perversi fondati sulla cupidigia e sull’avidità’. Ciò al fine di delineare la personalità del Lucano, di cui escludeva qualsiasi connotazione altruistica, nei fatti sacrificata agli appetiti di chi poteva fare incetta di quelle somme senza alcuna forma di pudore’”.

La storia di Riace e di Lucano, in realtà è diversa.
Le conclusioni della Corte d’Appello, infatti, non lasciano dubbi su un modello di accoglienza che l’inchiesta Xenia ha distrutto tra gli applausi del centrodestra e il silenzio del centrosinistra: “A ben vedere, i dialoghi captati mettono in luce lo spirito di fondo che ha mosso l’imputato, certo di poter alimentare una economia della speranza, funzionale a quella che più volte Lucano ha definito essere la sua mission, ovvero poter aiutare gli ultimi. Una mission tesa a perseguire un modello di accoglienza integrata, ovvero non limitato al solo soddisfacimento di bisogni primari, ma finalizzato all’inserimento sociale dell’ospite di ciascun progetto”.

(*) Tratto da Il Fatto Quotidiano.

Mimmo Lucano: “Abbiamo dimostrato che l’accoglienza non è il problema ma la soluzione”

di Redazione Pressenza  (*)

Nei giorni scorsi Mimmo Lucano ha commentato con gioia e sollievo la buona notizia delle motivazioni fornite dalla Corte d’Appello di Reggio Calabria, che con la sua sentenza ha ribaltato la vergognosa condanna a 13 anni decisa dal Tribunale di Locri.

“Ho accolto la sentenza di assoluzione della Corte d’Appello con orgoglio e soddisfazione. E’ l’uscita da un tunnel che ho vissuto come una mortificazione della mia anima. La mia sofferenza non era legata agli anni di galera, ma al tentativo di infangare il senso di una vita, il mio impegno sociale. Abbiamo dimostrato che l’accoglienza non è il problema ma la soluzione: questo messaggio inedito ha sconvolto il paradigma delle destre e la retorica dei porti chiusi. Il mio incubo era che l’azione giudiziaria avesse generato un dubbio, ma ieri ho vissuto la liberazione della mia anima. Non volevo sconti, volevo un’assoluzione morale piena. Ho subito un’ingiustizia.

Strada facendo il dolore si è trasformato in speranza. Una speranza che voglio condividere con i miei familiari, con gli avvocati Antonio Mazzone, Andrea Daqua, Giuliano Pisapia e il mio amico giornalista Enrico Fierro. Con chi ha subito e subisce persecuzioni per colpa di una giustizia a volte ingiusta. Mi viene da pensare a Ilaria Salis e a Julian Assange.
Con tutti i compagni e le compagne che ancora credono che un altro mondo è possibile.
Hasta Siempre”.

(*) Tratto da Pressenza.

Immagini:
Foto di Comitato Undici Giugno.
Foto dalla pagina FB Riace Patrimonio dell’Umanità.
Foto archivio Pressenza.
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alexik

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