Le «Storie a passo d’uomo» di Carmine Tedeschi
recensione di Eleonora Cirant
C’è una singolare miscela di ingredienti in questo libro. I racconti di «Storie a passo d’uomo» ti gettano in un lieve spaesamento. C’è tanta ironia, che vela e svela gli acciacchi di un’umanità dolente senza moralismo, spianando il sorriso. La bellezza si accompagna all’inquietudine e il personale al politico. C’è la morte, nella sua imprevedibile e scomposta danza con la vita.
All’inizio di ogni storia la realtà si presenta solida e riconoscibile nell’ambientazione e nei personaggi, gente comune. Ma poi il paesaggio si increspa e da terraferma diventa acqua marina. Da sotto baluginano ombre, colori, profondità insondabili. L’autore ci impresta le unghie per grattare via la pellicola che separa il regno di Apollo e da quello di Dioniso. I protagonisti e le protagoniste a un certo punto perdono il controllo della situazione. Il mondo che abitano, che ci sembrava tanto familiare e sicuro, si incurva e si deforma. Nel circuito irrompe lo smisurato, il grottesco, la nota stridente o terrificante, la dimensione onirica, la follia. Ma sempre con un piglio di leggerezza, anche grazie allo stile peculiare dell’autore che mescola il registro colto con il parlato, e che dal dialetto prende ritmi e suoni per colorare la lingua, dal territorio pugliese prende colori e immagini per creare metafore e neologismi.
Alcune sono storie di pura fantasia, come quella di due anime che dialogano nel nulla cinereo del non-essere, all’altro mondo. Si annoiano e perciò vanno a disturbare l’Onnipotente (che gioca a tressette) con una richiesta che non sarò io a svelare. Le più partono da situazioni verosimili, da fatti di cronaca, dalla vita vissuta: un condominio litigioso, una chat con uno sconosciuto, una pratica burocratica. Alcune vestono di panni contemporanei i miti antichi, come quella di Amore e Psiche. C’è la politica italiana, con gli eccessi narcisistici del potere, ma c’è anche l’attitudine del popolo nel chinare la testa di fronte ad esso. C’è la dignità del lavoro degli umili e dei mestieri antichi legati alla terra dell’autore, la Puglia. C’è la lotta di classe, c’è la denuncia della politica predatoria fatta dal Nord ai danni del Sud dal tempo dell’Unità d’Italia.
A lettura ultimata, molti personaggi di questo libro continuano a brillare nella memoria. In particolare alcuni loro gesti, come quelli di Mastro Vincenzo, “mastro paretaro”, contadino abile nella costruzione dei muretti a secco che segnalano i confini nelle terre pugliesi, immortalato nell’azione di spaccare e sagomare la pietra:
«Il mastro lavorava e zitto. Non gli dava alcuna confidenza. Ogni tanto si asciugava il sudore con un fazzoletto rosso che passava sulla barba grigia e ispida e che reinfilava rapidamente nella tasca posteriore dei pantaloni di fustagno. Aveva mani nodose, forti, dalle nocche sporgenti, brune come il cuoio e impolverate dal bianco della pietraviva. Sul dorso delle mani spiccavano in rilievo le vene blu, i tendini contratti e mobili».
Non aspettatevi il lieto fine rassicurante. Alcune storie vi lasceranno a bocca aperta, altre con l’amaro. Magari vi arrabbierete con l’autore e mentre spegnete la luce, prima di addormentarvi, proverete a immaginare un finale diverso. Con alcune storie l’atterraggio sarà più morbido. Certo è che vi ritroverete a pensarci, anche a giorni di distanza.
Francesco Carmine Tedeschi
«Storie a passo d’uomo»
Kimerik, 2015
334 pagine per 15,30 €