Le tre erre di «Robot»:
ovvero racconti, “riconoscitori” e riflessioni
Non è piacevole essere inseguiti da «ruote, fari, bracci meccanici, finestrini, cingoli, tubi» e altro, «tutti insieme a casaccio e in soprannumero, in un unico veicolo». Quasi impossibile salvarsi, però Mario ha una chance in più: sa riconoscere gli oggetti (o gli animali) che si sono trasformati in aggressori. E quando sono smascherate queste mutazioni tornano quel che erano, presenze innocue. Così Mario salva se stesso e due donne che decidono di portarlo in un gruppo deciso a riportare il mondo alla normalità cioè distruggendo la «macchina entropizzante», causa (si dice) di tutti i loro guai. Inizia così «Il riconoscitore», un racconto avvincente di Marco Migliori che forse all’anagrafe ha un altro nome e potrebbe essere un informatico romano; di certo scrive, vince premi ed è la più bella sorpresa del numero 66 del quadrimestrale «Robot» da poco in libreria (192 pagine per 9,90 euri; ma solo 5,99 nella versione Ipad).
Non vorrei portare troppo oltre la fantastica metafora di Migliori ma di certo il suo racconto costringe chi legge a chiedersi se e cosa sta mutando nel nostro passaggio abituale. Un buon “riconoscitore” saprebbe far tornare il nuovo schiavismo quel che era? E il Mario di questo racconto potrebbe disinnescare quell’altro Mario vampiro e affamapopoli e riportarlo a quel che era, un innocuo tecnico e un professore brontolone? La migliore fantascienza è, a mio avviso, quella che è sempre solamente un passettino oltre la realtà e ci insegna fare “i riconoscitori”.
Gli altri racconti del numero 66 sono firmati da Neil Gaiman (offre una intelligente variazione sul film «Matrix»), da Franco Forte (il suo «Amazonas» però non mi è piaciuto), della brava Enrica Zunic (che lavora con Amnesty International e si sente), dal sempreverde Vittorio Catani, dal prematuramente scomparso Maurizio Viano (questo suo «Gli anni dell’attesa» è bello quanto doloroso), da Stefano Andrea Noventa (una buona idea ma con finale debole) e dal cinoamericano Ken Liu che con questo struggente «Il serraglio di carta» (non è fantascienza ma c-h-i-s-s-e-n-e-i-m-p-o-r-t-a) ha vinto il Premio Nebula 2011.
Un buon numero dal punto di vista narrativo e anche la parte saggistica è interessante: in particolare l’editoriale di Silvio Soso, il ritratto di Paolo Aresi su Wernher von Braun («il genio e il boia» come l’ho chiamato io in un mio articolo) a 100 anni dalla nascita e l’inchiestona di Salvatore Proietti «La sf italiana nel terzo millennio» (che in qualche modo gioca a rimbalzo con il dossier di Mauro Antonio Miglieruolo qui in blog) quasi enciclopedica. Al solito piacevoli le rubriche di cinema e fumetti, divertente l’intervista a Paul Di Filippo («uno scrittore senza stile»… e se ne vanta) che fra l’altro ruba un “precetto” di Theodore Sturgeon e spiega: «immaginare una scena e le azioni il più approfonditamente possibile e poi trascriverne solo una frazione di dettagli pertinenti»; anche Calvino (lo scrittore Italo non il riformatore Giovanni) sarebbe stato d’accordo. Mi sono parsi un pochino reticenti – peccato, serviva una bella polemica – gli articoli sul fantasy e sui «mistagoghi» che sarebbe a dire «maestri dell’occulto, della sapienza segreta».
Per noi irriducibili sognatori della necessità dei viaggi spaziali segnalo due frammenti di verità. Il primo è nell’editoriale di Soso dove si ricorda che, poco prima di morire, Ray Bradbury aveva criticato Obama «per i tagli al bilancio del programma spaziale». Il secondo è nel finale del saggetto di Aresi: «Eppure la missione militare americana in Iraq è costata 35 volte quello che sarebbe costata una missione verso Marte con la costruzione di una cupola sul Pianeta Rosso. Non sono i soldi che mancano».
Infine in un fumetto d’Oltrealpe (citato da Claudio Leonardi) si accenna a un «politico francese che mostra una capsula piena di cianuro da lui conservata per assassinare… il presidente del Consiglio italiano». Non vi dirò quale sia l’assassinando (o si dice “assassinaturo”?) e perché: se non siete sicuri della risposta andate a pagina 177.
Anche senza il suo geniale fondatore – Vittorio Curtoni, che è morto 11 mesi fa – la rivista «Robot» si conferma indispensabile. Per chi cerca buoni racconti e riflessioni non banali. Per chi ama la fantascienza. Per chi non paura dei futuri possibili.
DOVEROSA CORREZIONE
Mi avvisano che continuo a sbagliare il cognome dell’ottimo Sosio defraudandolo della i. Naturalmente non è colpa mia: fu una lieve scossa sismica, il gatto del vicino miagolava, la caffettiera è esplosa, in definitica la seconda legge della termodinamica. Comuncue, lo ciuro, cerchierò di sthare piò attentco a non ffare di cuestti erori (db)
Grazie della recensione caro Danele Barberi! Occhio che il cognome è Sosio, non Soso 🙂 Mi sembra che tu sia recidivo, visto che l’avevi già corretto in un articolo precedente!
Più utilmente aggiungo che il racconto di Ken Liu poi ha vinto anche il premio Hugo!
S*
Ha ragione Silvio Sosio e lo ringrazio della correzione e dell’informazione. In effetti sono recidivo e me ne scuso. Però (perònperò) ci pensi Silvio; e se avessi ragione io? se l’errore fosse all’anagrafe? Soso è facile, affascinante quanto Sosio è difficile, minaccioso. Inoltre quel doppio “So” è ffascinante, unendo le due culture.
Il post è interrotto qui perchè le guardie trascinano via Barbieri, visibilmente ubriaco giù al mattino presto
È vero Daniele, questa doppia sapienza è intrigante, ma non sarebbe troppo sbruffona? “So, so” ripetuto… in effetti visto che sto sempre a correggerti, sembra adeguato. Non si può pretendere sempre di aver ragione, bisogna un po’ anche adeguarsi, come dicevo ieri a un amico che risultava morto su Wikipedia: ucciditi e facciamola finita con queste incongruenze!