Ecuador: sul voto irrompe il sicariato
Il 20 agosto si vota per il nuovo inquilino di Palacio de Carondelet dopo le fallimentari esperienze di Moreno e Lasso in un clima di violenza. Il 10 agosto uno dei candidati alla presidenza, Fernando Villavicencio, è stato ucciso dalla criminalità organizzata nel corso di un comizio.
Sinistra divisa tra correisti che sostengono Luisa González (Revolución Ciudadana), una parte che appoggia l’indigeno Yaku Pérez e l’astensionismo proclamato dalla Conaie, la maggiore organizzazione indigena del paese. Per l’estabilishment si presentano il bukelista Jan Topic e Otto Sonnenholzner, entrambi imprenditori.
di David Lifodi
Il 20 agosto l’Ecuador torna al voto a seguito della decisione presa dal presidente Guillermo Lasso per evitare il cosiddetto juicio político tramite il controverso meccanismo della muerte cruzada.
Lo scenario elettorale si presenta piuttosto complesso. I due anni in cui Lasso è rimasto al potere sono stati caratterizzati dal proliferare della corruzione, da una crescita esponenziale della violenza da parte del crimine organizzato, culminata in una serie di rivolte nelle carceri che il governo non è stato in grado di gestire in alcun modo, dalla crisi economica e dalla disoccupazione. Inoltre, il 10 agosto, uno dei candidati alla presidenza, Fernando Villavicencio (Movimiento Construye, centrodestra), è stato assassinato da un gruppo della criminalità organizzata mentre stava tenendo un comizio. Nei giorni scorsi Villavicencio aveva denunciato le minacce ricevute dai narcos, in particolare dal gruppo Lobos. Da tempo, ormai, in Ecuador la situazione è fuori controllo. Sul paese hanno allungato le proprie mire i cartelli della droga messicani e colombiani, mentre nella carceri domina la criminalità locale suddivisa in varie fazioni: Choneros, Tiguerones, Nueva Generación e gli stessi Lobos.
Secondo gli ultimi sondaggi di Cedatos, Villavicencio, che all’inizio non aveva grandi possibilità di successo, avrebbe potuto raggiungere il ballottaggio in un paese che vive la peggior crisi di sicurezza e violenza della propria storia. Il 2022 si è chiuso con il maggior numero di morti violente mai registrate, soprattutto a seguito della scelta, da parte della criminalità organizzata, di utilizzare i porti dell’Ecuador come trampolino di lancio per il commercio della cocaina in Europa e negli Stati uniti.
Villavicencio, in passato, aveva denunciato molteplici casi di corruzione in cui sarebbe stato coinvolto il governo, non solo l’attuale, ma anche quello dell’ex presidente Rafael Correa, fino ad essere condannato a 18 mesi di carcere per diffamazione, tanto da rifugiarsi in Perù, per sfuggire al carcere, e tornare durante la presidenza di Moreno (2017-2021).
Nell’Ecuador che arriva al voto del 20 agosto dopo il fallimento di Lasso (che per 60 giorni ha dichiarato lo stato d’assedio) e la precedente esperienza, altrettanto disastrosa, di Lenin Moreno, passato rapidamente alla destra, la sinistra correista di Revolución Ciudadana punta sulla coppia presidenziale Luisa González (già ministra con Rafael Correa) e Andrés Arauz come eventuale vicepresidente.
A sbarrare la strada al correismo saranno in molti, a partire da Otto Sonnenholzner, ex vicepresidente di Lenin Moreno, imprenditore ed esponente di spicco della borghesia guayaquileña e da Jan Topic, che si presenta come ammiratore del presidente salvadoregno Nayib Bukele, ha sposato lo slogan “mano dura”, tipico dei peggiori regimi guatemaltechi e, non a caso, è un ex militare. Topic, che riceverà sostegno dal Partido Social Cristiano, dal Partido Asociación Patriótica e dal Centro Democrático, è proprietario dell’impresa di telecomunicazione Telconet, si è formato militarmente nella legione straniera francese, promette di chiudere le frontiere e di costruire nuove carceri, proprio come Bukele in El Salvador.
Altre candidature a destra, ma con meno mezzi e possibilità delle due precedenti, sono quelle di Daniel Noboa, figlio dell’imprenditore bananiero Àlvaro, più volte candidato alle elezioni, e Xavier Hervás che, nel 2021, aveva comunque raggiunto il 16% dei voti.
A sinistra la situazione resta molto ingarbugliata.
Da un lato, González è stata fortemente contestata dalle organizzazioni femministe perché si è dichiarata contraria alla depenalizzazione dell’aborto, nonostante abbia garantito il suo impegno, in caso di elezione, per mettere fine alle violenze sulle donne.
Dall’altro, a correre per Palacio de Carondelet sarà anche Yaku Pérez, che già aveva partecipato alle precedenti presidenziali andando molto vicino a raggiungere il ballottaggio proprio al posto di Lasso. Leader indigeno alla guida della coalizione Claro Que Se Puede, che raggruppa una parte di sinistra molto critica verso il correismo, tra cui Unidad Popular, il Partido Socialista Ecuatoriano, Democracia Sí e il movimento Somos Agua, Pérez non avrà il sostegno di tutte le organizzazioni indigene, ma solo del movimento Pachakutik.
Ritenuto ambiguo da una parte della sinistra, Pérez non verrà appoggiato dalla Confederación de Nacionalidades Indígenas del Ecuador (Conaie), che ha già deciso, almeno ufficialmente, di non appoggiare alcun candidato, come sancito dalla risoluzione in sette punti firmata dal suo presidente Leonidas Iza, insieme a Marlon Vargas, presidente della Confeniae, Alberto Ainaguano, presidente di Ecuarunari e a Jairo Cantincus, presidente di Conaice.
La scelta astensionista deriva dal fatto che nessun candidato, secondo loro, ha messo al centro del proprio programma soluzioni reali alla disoccupazione, all’istruzione e alla sanità preferendo politiche estrattiviste spacciate come sviluppo e tacendo del tutto sulla questione della plurinazionalità indigena.
Al tempo stesso, la Conaie ha garantito sostegno agli eventuali esponenti di Pachakutik che saranno eletti solo se si tratterà di candidati designati rispettando i criteri della democrazia comunitaria di base.
In caso di vittoria della sinistra correista già c’è chi parla di fallimento delle cosiddette derechas breves e di ritorno del socialismo del XXI secolo con Alberto Fernández in Argentina, Luis Arce in Bolivia e Lula in Brasile, ma in realtà si tratta di un’analisi probabilmente semplicistica e affrettata.
Perlomeno in Ecuador, la maggiore sfida del correismo, in caso di vittoria, sarà combattere le disuguaglianze, far fronte alla crisi climatica ed economica, conquistare una legittimità politica e saper disinnescare il crimine organizzato senza dover ricorrere necessariamente ad una repressione indiscriminata come invocano i seguaci del bukelismo in Ecuador.
Luisa González, che sembra essere tra i candidati favoriti, avrà il compito di evitare una terza presidenza a destra in un paese dove i partiti politici sono ritenuti dalla popolazione come una delle istituzioni più corrotte secondo il rapporto Barómetro de la Corrupción presentato dalla Fundación Ciudadanía y Desarrollo, ma lo stesso dovrà fare Pérez in caso di vittoria.
L’eventuale ballottaggio, che sembra essere un’ipotesi non così remota, è previsto il 15 ottobre in un paese dove prevale il disincanto e in cui, a seguito dell’assassinio di Villavicenzio, può accadere davvero di tutto, anche perché, sempre il 20 agosto, gli elettori voteranno anche per il referendum sullo sfruttamento di un giacimento petrolifero nella riserva di Yasuní, in piena Amazzonia.
La tutela del Parque Nacional Yasuní ITT, definito un santuario della biodiversità, è uno dei baluardi dei collettivi ambientalisti ed un tema che, da tempo, ha diviso la sinistra correista dalle organizzazioni indigene. Nel 2013 era stato proprio il governo del presidente Rafael Correa, tra mille polemiche, ad approvare l’estrazione petrolifera nell’asse denominata ITT. Comunità e movimenti indigeni, fin dall’inizio della campagna elettorale, si sono impegnati per raggiungere tutte le zone del paese, anche quelle più isolate, per fare opera di sensibilizzazione affinché gli elettori votassero contro il proseguimento dell’estrazione petrolifera.
L’esito del referendum potrebbe avere delle ripercussioni anche sul voto delle elezioni presidenziali.