L’Eni alla sbarra per le tangenti nigeriane

di Luca Manes (*)

L’Eni non avrebbe esitato a far ricorso alla corruzione internazionale per acquisire i diritti di sfruttamento del mega blocco petrolifero Opl245 in Nigeria. La Procura di Milano ne è convinta e…

 

La Procura della Repubblica di Milano ha chiesto il rinvio a giudizio per l’amministratore delegato dell’Eni Claudio Descalzi e per altri 12 indagati, tra cui l’ex ad del Cane a Sei Zampe Paolo Scaroni e Luigi Bisignani, per il presunto caso di corruzione legato all’acquisizione dei diritti di sfruttamento del mega blocco petrolifero Opl245, in Nigeria. Anche Eni e Shell, l’altra beneficiaria del giacimento, potrebbero finire a processo per avere violato la legge 231 del 2001 sulla responsabilità delle società per presunti reati commessi dai propri dipendenti.

Il capo di imputazione per Descalzi e gli altri protagonisti di questa vicenda è quanto mai pesante: corruzione internazionale. I magistrati di Milano Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro ipotizzano che l’intero pagamento per Opl245, ben 1,1 miliardi di dollari, si debba considerare una gigantesca mazzetta. Il denaro, infatti, sarebbe solo transitato per un conto del governo nigeriano per poi arrivare direttamente alla società che deteneva i diritti, la Malabu.

Il proprietario occulto di questa compagnia era l’ex ministro del petrolio nigeriano, Dan Etete, molto vicino all’ex dittatore Sani Abacha, il quale si era di fatto auto-assegnato l’immenso giacimento – 9,23 miliardi di barili di greggio potenziali – alla fine degli anni Novanta. Etete avrebbe poi provveduto a «distribuire» i proventi dell’affare a una folta schiera di uomini politici nigeriani, faccendieri italiani e stranieri e, ipotizza la Procura, agli stessi manager dell’Eni. Val la pena rammentare che una decina di giorni fa l’Alta Corte Federale del Paese africano ha sospeso a Eni e Shell la licenza per Opl245 fino a quando l’unità anti-corruzione avrà completato le sue indagini. Unità anti-corruzione che a fine 2016 aveva accusato di frode il ministro della Giustizia fra il 2010 e il 2015 Mohammed Adoke, il quale avrebbe giocato un ruolo di fondamentale importanza nella la chiusura dell’affare.

L’Eni ha sempre professato la sua estraneità da possibili condotte illecite in relazione all’acquisizione del blocco Opl245, però è evidente come, anche alla luce di questi ultimi sviluppi, sia tutta in salita la riconferma di Descalzi, che il ministero del Tesoro dovrà comunicare entro il 19 marzo, ovvero 25 giorni prima dell’assemblea degli azionisti in programma il 13 aprile.

(*) Questo articolo è stato pubblicato anche sul quotidiano «il manifesto» ma noi lo abbiamo ripreso, con le foto, da “Comune Info”. Segnaliamo che in “bottega” parliamo spesso – a volte in solitudine o quasi – dei velENI in Nigeria e nelle Afriche con inevitabili, pesanti ricadute sulla politica e sull’informazione in Italia; a esempio con Il prezzo del petrolio – prima puntata di una mini-serie di Alexik – e con gli articoli di Maria Rita d’Orsogna (l’ultimo era: I vel-ENI di Bayelsa in Nigeria: 1000 riversamenti di petrolio l’anno) ma anche segnalando – cfr: Ancora sui vel-ENI dell’informazione – il coraggio de «Il fatto quotidiano» e il silenzio, ben pagato, di quasi tutti i media italiani. [db]

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