Lenín Moreno affossa l’Ecuador
Il paese vive una delle sue peggiori crisi economiche, ma il presidente intende proseguire sulla strada della dollarizzazione. Un bilancio di ciò che sta accadendo a Quito e dintorni a seguito delle straordinarie giornate di mobilitazione dello scorso ottobre da parte delle piazze che chiedevano maggiori diritti, giustizia sociale ed esprimevano il rifiuto al neoliberismo e al Fondo monetario internazionale.
di David Lifodi
L’anno che si è appena aperto per Lenín Moreno, ma soprattutto per l’Ecuador, non sembra essere dei migliori. Il 2019 si è chiuso con un paese allo stremo, dal punto di vista economico, vittima della svolta neoliberista di un presidente che, subito dopo la sua elezione, tradendo il voto degli elettori, aveva aderito, in men che non si dica, ai dettami del Fondo monetario internazionale e al neoliberismo.
Le straordinarie giornate dello scorso ottobre, quando un intero paese si era ribellato contro il paquetazo delle riforme neoliberali, hanno rappresentato un netto rifiuto per il presidente, che è andato vicinissimo ad essere cacciato dal Palacio de Carondelet a seguito della furia popolare. Non solo: l’Onu ha denunciato uno sproporzionato uso della forza da parte dell’esercito contro il levantamiento popular di ottobre ed ha intimato, tramite la Commissione interamericana per i diritti umani, la liberazione dei prigionieri politici, in gran parte correisti, vittime di una vera e propria guerra scatenata da Lenín Moreno contro il suo predecessore Rafael Correa.
Il sito web Ruta Kritika ha sottolineato che adesso l’uomo con maggior potere politico nello staff presidenziale è il segretario di gabinetto Juan Sebastián Roldán, insieme alla ministra dell’Interno María Paula Romo, responsabile della repressione di ottobre. Il governo continua, ancora oggi, a stigmatizzare le 12 giornate di Quito (1-12 ottobre), tornando continuamente su una città che sarebbe stata messa a ferro e a fuoco dagli indigeni, senza fare minimamente accenno ai quasi 1300 feriti e agli oltre 800 detenuti a seguito delle manifestazioni di protesta. Ad essere protagonisti furono la Conaie (Confederación de Nacionalidades Indígenas del Ecuador), il Fut (Frente Unitario de Trabajadores) e quelle classi subalterne non necessariamente rappresentate da una qualche organizzazione sociale, politica o sindacale. La goccia che fece traboccare il vaso fu l’aumento del costo del carburante, ma ben preso la protesta si trasformò in una contestazione più generale alle politiche neoliberiste.
Tra i più recenti fallimenti di Lenín Moreno vi è stata anche la bocciatura della Ley Económica Urgente, che prevedeva l’eliminazione totale delle tasse e la dollarizzazione imposta tramite le banche private. A questo proposito, l’intellettuale ed ex vicecancelliere Kintto Lucas aveva significativamente commentato: “Cade la Ley del Saqueo. Si tratta di una battaglia vinta, ma occorre rimanere in stato d’allerta perché i saccheggiatori non dormono”. La Ley Económica Urgente non è stata infatti approvata anche a causa del rifiuto di una parte dell’oligarchia imprenditoriale del paese che, timorosa di perdere voti in vista delle presidenziali del 2021, si è immediatamente sfilata dal progetto di Lenín Moreno, ad esempio Jaime Nebot, leader del Partito Social Cristiano, di destra. Paradossalmente, Moreno ha invece ottenuto l’appoggio di Guillermo Lasso, suo sfidante nelle ultime presidenziali.
La crisi economica, la precarizzazione del lavoro ed un paese sempre più indebitato non hanno comunque convinto Moreno ad evitare di legarsi mani e piedi al Fondo monetario internazionale. Nel 1999 Jamil Mahuad e il Partido Social Cristiano avevano annunciato un forte aumento del prezzo del combustibile come base per la dollarizzazione dell’economia del paese, ratificata nei primi giorni del 2000. Mahuad sarà poi uno dei numerosi presidenti cacciati da uno dei numerosi levantamientos della popolazione.
Lo scorso 31 ottobre la Conaie, appoggiata da circa 180 organizzazioni sociali del paese, aveva presentato una proposta alternativa al modello economico attuale, elaborata in seno al Parlamento de los Pueblos, Organizaciones y Colectivos Sociales. Nel documento si invitava il presidente a ripristinare una politica economica e tributaria più equa, in grado di eliminare la povertà e le forti disuguaglianze sociali nel segno di una società maggiormente democratica e partecipativa. Inoltre, la Conaie denunciava il modello estrattivista minerario e petrolifero (tra le principali cause, peraltro, anche della rottura con Correa da parte della maggiore confederazione indigena), responsabile del saccheggio delle risorse naturali del paese e che escludeva dall’accesso alla ricchezza la maggior parte della popolazione.
Oggi Lenín Moreno assomiglia molto allo screditato Juan Guaidó: entrambi si preoccupano soltanto di svendere la sovranità e le risorse naturali dei propri paesi a vantaggio delle multinazionali e di oligarchie sempre più rapaci.