L’eterno fascismo e il Nicaragua
L’ortego-chayismo e la propaganda contro l’aborto.
di Bái Qiú’ēn
Come dunque i pittori colgono la somiglianza dei loro soggetti dal volto e dalle espressioni degli occhi, dai quali si evidenzia il carattere, e pochissimo si curano delle altre parti del corpo, così mi si deve concedere di interessarmi di più di quelli che sono i segni dell’anima, e mediante essi rappresentare la vita di ciascuno, lasciando ad altri la trattazione delle grandi contese. (Plutarco, Vite parallele)
«Non è vero che tutto fa brodo» recitava uno slogan pubblicitario di parecchi anni fa, quando ancora la Rai trasmetteva il “mitico” Carosello, un ibrido tra intrattenimento e comunicazione commerciale che ha accompagnato la nostra infanzia (Omar Calabrese, nel suo saggio del 1975 Carosello o dell’educazione serale, affermò che questa trasmissione ricalcava la classica fiaba serale per addormentarsi). Non a vanvera ricordiamo questo programma televisivo che creò e riuscì a imporre la propria quasi infinita galleria di personaggi (in carne e ossa o sotto forma di cartoni animati). Con una notevole precisione analitica, nel 1968 Umberto Eco pubblicò il saggio semiotico Ciò che non sappiamo della pubblicità televisiva (in AA.VV. Televisione e pubblicità, Rai-Eri). «Carosello non era semplicemente pubblicità, ma un paesaggio fiabesco dove regnavano la felicità e il benessere». Sebbene gli ambigui personaggi di quelle pubblicità non «erano portatori di un’idea» e per quanto fossero degli esseri senza alcuna profondità secondo l’analisi di Umberto Eco, si trasformarono comunque in icone della cultura di massa della sempre più invasiva e pervasiva società dei consumi. Era lo specchio di un’Italia immaginaria e, dopo Carosello, tutti i bimbi a nanna!
Sebbene alcuni studiosi neghino qualunque parentela tra la pubblicità commerciale e la propaganda politica, è indubitabile che appartengano ambedue alla comunicazione sociale e siano dirette al grande pubblico. Entrambe tendono a influire sull’opinione pubblica per orientarne le scelte e la condotta, manipolandone il consenso e anestetizzando la società nel suo complesso. La propaganda, come la pubblicità, deve vendere un prodotto (un partito politico invece che un barattolo di pelati), per cui non si rivolge alla ragione, bensì all’inconscio e all’irrazionale (attualmente la definizione in uso è infatti «marketing politico»). Per questo semplice motivo il “cliente” o ricettore del messaggio neppure si rende conto se e quando esistano delle contraddizioni o addirittura delle contrapposizioni tra un messaggio e l’altro a distanza di tempo (breve o lungo non fa differenza): «Solo un pomodoro su tre…», gli altri sono buoni. In un Paese come il Nicaragua, l’incaricato di omogeneizzare i messaggi con un costante e pervasivo revisionismo storico è l’orwelliano ministero della Verità diretto personalmente da Rosario Murillo e produttore di un’accanita propaganda contro la libertà di pensiero per instaurare e mantenere una sorta di pensiero unico per quanto limitato a un piccolo territorio. Per la pubblicità commerciale e ancora di più per la propaganda politica, a tutti gli effetti si potrebbe parlare di una vera e propria strategia bellica, come quella messa in campo da Ottaviano contro il suo rivale Marco Antonio per diventare imperatore di Roma.
«Afuera, afuera vayan a decir lo que quieran», recita il nuovo “inno”: Fuori, fuori vadano a dire ciò che vogliono, ma dentro il Paese si dice solo ciò che vuole il potere. Esempio indicativo della libertà di pensiero e di espressione vigenti in Nicaragua.
Restando a Umberto Eco, a suo tempo e in altra occasione sostenne la tesi dell’eternità del fascismo, in quanto si tratta di un fenomeno capace di adeguarsi alle novità sociali come un batterio che si adatta a nuovi farmaci. Interprete critico della comunicazione, questo semiologo definì la mentalità fascista con il termine Ur-fascismo (prefisso che nella lingua tedesca indica: «antichissimo, primordiale, originale, schietto» ma anche «perenne»), alcune delle cui caratteristiche tipiche sono: il culto per la tradizione con il connesso richiamo a vere o presunte radici distintive; l’abile pilotaggio degli istinti del cosiddetto “popolo” con il connesso disprezzo per il pensiero critico; l’idea di tradimento nei confronti di chiunque non sia concorde con il messaggio del grande capo; il costante appello alla frustrazione sociale o personale delle classi disagiate colpevolizzando chiunque altro della realtà fattuale; la concezione che il “popolo” sia un monolite e che il capo ne sia l’unico e vero interprete con i militanti del partito come migliori cittadini. «Sarebbe così confortevole, per noi, se qualcuno si affacciasse sulla scena del mondo e dicesse: “Voglio riaprire Auschwitz, voglio che le camicie nere sfilino ancora in parata sulle piazze italiane!”. Ahimè, la vita non è così facile. L’Ur-fascismo può ancora tornare sotto le spoglie più innocenti. Il nostro dovere è di smascherarlo e di puntare l’indice su ognuna delle sue nuove forme – ogni giorno, in ogni parte del mondo. […] Libertà e liberazione sono un compito che non finisce mai» (Il fascismo eterno, 2018, pp. 49-50).
Ci pare opportuno ricordare che nel progetto della nuova Costituzione nicaraguense del 1986 un articolo sanciva «L’esercizio reale del diritto delle donne a decidere responsabilmente e liberamente quanti figli vogliono avere e il momento della loro vita in cui vogliono averli». Implicito riferimento alla legalizzazione dell’interruzione volontaria della gravidanza, ovviamente osteggiata dalla Chiesa e dalle forze politiche più retrive della società. A tutti gli effetti, nelle Clínicas de la Mujer gestite dalle organizzazioni femminili legate al Frente Sandinista (AMNLAE) e pure nell’ospedale Bertha Calderón di Managua l’aborto era regolarmente praticato, soprattutto quello terapeutico, quando era in serio pericolo la vita della madre. Ciò nonostante, come in Italia all’epoca delle mammane prima dell’entrata in vigore della Legge 194-1978, quello effettuato in strutture clandestine era all’ordine del giorno con conseguenze a dir poco inumane: stando ai dati, dal marzo 1983 al giugno 1985 furono ricoverate in ospedale dopo un aborto clandestino quasi 9.000 donne. Nonostante l’attenzione medica e le cure, il 10% di loro morì e il 26% restò sterile. Per la cronaca, l’articolo suddetto non entrò a fare parte della Costituzione emanata nel gennaio 1987. In compenso si optò per un generico: «Il diritto alla vita è inviolabile e inerente alla persona umana. In Nicaragua non è prevista la pena di morte», senza però specificare quando si ritenesse che inizi la vita. In compenso, dal 2015 al 2019 i dati disponibili parlano di oltre 170mila bambine e adolescenti diventate madri (attualmente le minorenni sono il 25% delle gravidanze totali). Nonostante la pena di tre anni prevista per chi procura un aborto, quelli clandestini continuano, con medici che richiedono somme che si aggirano sui 500 dollari e anche più. Rapportata ai nostri stipendi questa cifra equivale a oltre 5.000 dollari.
Il nostro attuale ministro della famiglia Eugenia Roccella (al maschile come il presidente del Consiglio), ex radicale sfegatata rimasta folgorata sulla via di Damasco e passata armi e bagagli alla destra reazionaria cattolica, potrebbe pronunciare senza problemi le frasi che seguono:
«Siamo profondamente impegnati nella fede; pensiamo che i valori religiosi siano consolazione, protezione; la fede è il modo in cui gli esseri umani trovano la pace; i valori religiosi sono la forza di cui abbiamo bisogno per affrontare la vita di tutti i giorni, che è stata abbastanza dura ultimamente. La vita quotidiana che ci costringe ad affrontare sfide molto forti e, con la protezione e la consolazione della fede, le persone si nutrono, si rialzano; l’anima è rafforzata.
«Noi, proprio perché abbiamo la fede, abbiamo la religione; perché siamo credenti, perché amiamo Dio sopra ogni cosa, abbiamo saputo resistere a tante tempeste, senza battere ciglio! Imparando da ogni difficoltà ciò che il Signore ha voluto inviarci come lezione, come apprendimento.
«Per questo difendiamo anche noi, e siamo pienamente d’accordo con la Chiesa e le Chiese, che l’aborto è qualcosa che colpisce, fondamentalmente, le donne, perché non ci riprendiamo mai dal dolore e dal trauma che un aborto ci lascia! Quando le persone vi fanno o hanno dovuto farvi ricorso, non si riprendono mai. E quel dolore non lo auguriamo a nessuno».
Utilizzando abilmente quello che è definito «effetto carrozzone» Rosario Murillo suggerì che questa posizione era sostenuta dalla maggioranza, per cui tutti avrebbero dovuto sostenerla e saltare sul carro perché molti altri lo avevano fatto: «Inoltre, è un attacco contro la fede; contro la vita. Per questo diciamo che ci uniamo al grido della Chiesa, raccogliamo il grido delle maggioranze nicaraguensi che sono contro l’aborto. Siamo stati passionali su questo tema, per tutto il tempo.
«Il Frente [Sandinista] nella coalizione Unita Nicaragua Trionfa afferma: “No all’aborto, sì alla vita!”. I nostri candidati, i nostri dirigenti, i nostri sindaci, i nostri deputati… oggi il nostro gruppo parlamentare renderà noto un comunicato. Siamo appassionati: “No all’aborto, sì alla vita!”. Sì alle credenze religiose; sì alla fede; sì alla ricerca di Dio, che è ciò che ci rafforza ogni giorno per riprendere il cammino.
«Sì anche alla fede, alla religione, alla visione che hanno avuto le guide pastorali e spirituali del nostro popolo, come Sua Eminenza il Cardinale [ultrareazionario Miguel Obando y Bravo], che ha donato a noi nicaraguensi la bandiera della Riconciliazione, che Unita Nicaragua Trionfa ha raccolto ed è quella che sta portando avanti il Nicaragua.
«Con fede nella vita, con fede in Dio, con forza spirituale; dicendo di sì, in ogni momento, alla gioia, alla vita e al futuro luminoso che verrà… andiamo avanti in questo pellegrinaggio. Cammineremo in Nicaragua; offriremo la promessa di ottenere un futuro migliore per il Nicaragua, preparandoci a servire il nostro prossimo come noi stessi; disponendoci al suo servizio, non per trarne vantaggio».
Diamo a Cesare ciò che è di Cesare: mai Roccella ha pronunciato queste parole, per quanto senza dubbio le condivida. Sono uscite nell’ottobre del 2006, in piena campagna elettorale, dalle corde vocali di Rosario Murillo, pure lei folgorata sulla via di Damasco.
Che attualmente la Chayo abbia capovolta la propria posizione del 2006 e, con una delle sue tante giravolte, definisca i religiosi cattolici con gli epiteti «inviati del Demonio», «figli del Diavolo» e via dicendo, con un messaggio in netta contrapposizione con quello precedente ma faccia ugualmente presa su una fetta di popolazione e serva allo scopo di restare al potere con le unghie e con i denti («tutto fa brodo»), appartiene alla scarsità di memoria comune all’essere umano a qualunque latitudine e in qualsiasi epoca. Esattamente come fu per la giovane radicale e femminista Roccella, autrice di Aborto: facciamolo da noi (Napoleone Editore, 1975), con la prefazione di Adele Faccio: «a difendere il diritto all’aborto dobbiamo essere proprio noi femministe» (p. 18). Un diritto che, dopo l’adesione al Family Day nel 2007, il passaggio a Forza Italia nel 2008 e in Fratelli d’Italia nel 2022 non lo ritiene più tale.
Daniel e Rosario formano una coppia stabile dal 1977 ma si sposarono ufficialmente in chiesa soltanto nel 2005, dopo quasi un trentennio di convivenza, e la cerimonia fu officiata proprio da Obando, personaggio-chiave dell’antisandinismo più viscerale negli anni Ottanta che nel 2006 si era miracolosamente trasformato in «guida spirituale del nostro popolo». Già nel 2004 officiò la Messa solenne nella cattedrale di Managua per il 25° anniversario della Rivoluzione, alla quale seguì una benedizione di massa dei militanti sandinisti alla manifestazione celebrativa. In altre occasioni successive, prese addirittura la parola dal palco tra gli applausi della coppia regnante e della folla sandinista che, grazie a un insistente lavaggio del cervello, aveva ormai scordato il passato ultra-reazionario di questo alto prelato: fornendo false informazioni o selezionando con cura ciò che si dice e si tace, si modifica il giudizio del fruitore del messaggio e, pertanto, la sua stessa condotta. Vale la pena ricordare che Marshall McLuhan affermò che la ripetizione ossessiva e ridondante di un messaggio è inevitabilmente destinata a imporsi. Poco importa se detto messaggio sia esattamente il contrario di quello precedente: i professionisti della comunicazione, quando fanno ricorso alla falsificazione o alla deformazione, utilizzano tutta la loro preparazione e se non si conoscono i fatti si cade con facilità nella trappola, poiché non esiste alcuna forma possibile di difesa.
Subito dopo le elezioni politiche del 1983, sulle pagine de il manifesto, Miriam Mafai scrisse: «Ci lega ai potenti una sorta di ambigua complicità che ci rende come loro miopi e sordastri, e da questa vicinanza non abbiamo guadagnato né in prestigio né in attendibilità». Osservazione che si adatta alla perfezione ai vari megafoni dell’ortego-chayismo (nazionali e internazionali), i quali preferiscono interloquire soltanto con chi la pensa come loro, altrimenti si spezzerebbe quell’autoreferenzialità che è denominata «bolla informativa».
Se la gerarchia cattolica nicaraguense fu utile e forse indispensabile per vincere le elezioni nel 2006, assieme alla locale Confindustria e ai residui della vecchia contra («tutto fa brodo»), oggi è vista come uno dei nemici più acerrimi del potere eterno del Comandante y la compañera. Il periodo in cui l’orteguismo e la Curia andavano d’amore e d’accordo (2004-2017) è tranquillamente e opportunisticamente occultato dai vari ricopiatori di veline: «Fino al 1979 si registrava la comunione d’intenti tra il clero e la famiglia Somoza; altrettanto evidente fu il sostegno ai Contras negli anni ‘80 ed il suo appoggio ai 16 anni di orrore liberale, con cui espresse un’autentica connessione sentimentale; quindi il ruolo di guida del terrorismo nel 2018. Insomma mai, nemmeno per un breve periodo storico, la CEN [Conferenza Episcopale Nicaraguense] ha avuto una impronta neutrale, anzi è sempre stata coerente con il fervore fascista delle Conferenze Episcopali di tutta l’America Latina» («Nicaragua, i soldi sotto le tonache», 5 giugno 2023). Riscrivere la storia saltando il periodo 2004-2017 ed eliminando tutto ciò che contraddice la propria tesi potrebbe mettere in crisi la suddetta «bolla informativa» (come il fatto innegabile che lo stesso Obando, in quanto arcivescovo e cardinale, faceva parte della Conferenza Episcopale negli anni dell’«orrore liberale») rientra appieno nel meccanismo propagandistico che abbiamo descritto sopra. Con termine “tecnico” si tratta di «misinformazione», che la Treccani definisce come «Informazione non accurata, inattendibile, i cui contenuti, diffusi frettolosamente, rischiano di essere accettati come veritieri perché difficili o impossibili da verificare» e aggiunge: «la misinformazione dà l’illusione di sapere ma pone l’utente finale nella condizione di non poter verificare l’attendibilità o la veridicità delle informazioni che gli vengono trasmesse». È indubbio che in nessun caso un buon manipolatore presenta una realtà totalmente falsa: è sufficiente mentire su taluni punti o non parlarne per indurre in errore chi non possiede tutti gli elementi per valutare nel modo più completo possibile un determinato evento (il che è una condizione generale nel mondo attuale, nonostante lo sviluppo della tecnologia). Per cui oggi resta soltanto la dichiarazione di Daniel che «I papi, i vescovi e i preti sono una mafia». Tutto il resto è cancellato dalla propaganda, soprattutto il fatto che fino al 2017 con questa mafia il potere teoricamente di sinistra andasse d’amore e d’accordo.
Concordiamo con il megafono di cui sopra sul fatto che la libertà di stampa sia una chimera, esistendo in realtà la libertà degli editori. Concordiamo, però con la semplice postilla che pure lui ha un editore di riferimento che lo stipendia lautamente, oltre a pagargli viaggi e soggiorni in hotel di lusso (ben lontani dalla realtà quotidiana della popolazione): la presidenza della Repubblica del Nicaragua. È pertanto logico che la sua libertà sia soltanto quella di ripetere le versioni ufficiali, eliminando tutto ciò che potrebbe far riflettere un lettore attento.
Anche senza allievi, però, la Storia rimane (e le immagini fotografiche, pure). Del resto, come affermò Sandino a suo tempo, non si possono ingannare tutti per sempre: qualche “eretico” o qualche “miscredente” spunta sempre fuori, che il potere lo voglia o meno.
Per provare a spezzare la «bolla informativa» ufficiale aggiungiamo un altro tassello: che dire delle parole di Rosario, pronunciate il 26 giugno 2018 in occasione della morte di Obando il precedente 3 giugno? «Credo che in questi momenti, in cui permangono le sue lezioni, pur essendo ora in otro plano de vida, dobbiamo studiare di più, dobbiamo avvicinarci al suo pensiero e alle sue pratiche, lavorare insieme per la riconciliazione e la pace nel nostro Paese». Difficile far coincidere queste parole con la visione dell’ininterrotto «fervore fascista» della Curia nicaraguense, ma un bravo comunicatore-propagandista è in grado di fare eccezionali salti mortali doppi con triplo avvitamento, soprattutto quando è lautamente pagato per travestire la realtà con sbrendoli multicolori recuperati dal tradizionale mercato trasteverino di Porta Portese.
Sempre Eco nel saggio sulla pubblicità televisiva aveva proposto un assai efficace apologo: «Alcuni degli Unni, un giorno, ai bordi del mare d’Azov, si spinsero in un territorio sconosciuto e videro cose che i loro compagni non avevano mai visto. Poi tornarono e fecero agli altri un racconto. Non sappiamo cosa raccontarono, ma in seguito a quel racconto la grande orda si spinse verso le pianure europee e cambiò il corso della storia. La storia è cambiata in seguito a quel racconto. Eppure noi non sappiamo cosa sia stato raccontato, se il racconto corrispondesse alla “realtà”, e se gli ascoltatori avessero capito proprio quello che gli esploratori volevano dire loro. Comunque si mossero e non possiamo affermare cosa avrebbero fatto se il racconto non fosse stato raccontato». In poche parole, non sempre le intenzioni dell’emittente di un messaggio (persona o istituzione che sia) trovano un riscontro univoco sui riceventi. Se, poi, i riceventi si rendono conto delle continue falsità o della voluta eliminazione reiterata di particolari sgraditi, alla lunga l’effetto può essere esattamente opposto a quello desiderato. «Non è vero che tutto fa brodo» e nulla vieta di pensare che, prima o poi, pure buona parte dei militanti sandinisti saranno bellamente “scaricati” e accusati di essere terroristi, poiché sempre più critici e ormai inutili allo scopo della coppia regnante. Per il momento si limitano a mugugnare a bassa voce per timore di rappresaglie, ma domani chissà…
Tornando ai due personaggi principali della nostra storia, non abbiamo dubbi: per quanto il loro percorso presenti diversità di vario tipo, il buon Plutarco metterebbe sia Murillo sia Roccella nelle sue Vite parallele: «Io non scrivo un’opera di storia, ma delle vite [biografie]; ora, noi ritroviamo una manifestazione delle virtù e dei vizi degli uomini non soltanto nelle loro azioni più appariscenti: spesso un breve fatto, una frase, uno scherzo, rivelano il carattere di un individuo più di quanto non facciano battaglie ove caddero diecimila morti». Il carattere “rivoluzionario” dell’attuale Frente Sandinista nelle mani dell’ortego-chayismo è verificabile in queste giravolte continue, così come negli annunci di opere faraoniche e nella vendita a buon mercato dell’illusione delle «magnifiche sorti e progressive».
Dal canto suo, Umberto Eco forse catalogherebbe pure l’attuale ortego-chayismo come Ur-fascismo e i suoi sostenitori esteri come rosso-bruni: «Mussolini non aveva nessuna filosofia: aveva solo una retorica. Cominciò come ateo militante, per poi firmare il concordato con la Chiesa e simpatizzare coi vescovi che benedivano i gagliardetti fascisti. Nei suoi primi anni anticlericali, secondo una plausibile leggenda, chiese una volta a Dio di fulminarlo sul posto, per provare la sua esistenza. Dio era evidentemente distratto. In anni successivi, nei suoi discorsi Mussolini citava sempre il nome di Dio e non disdegnava di farsi chiamare “l’uomo della Provvidenza”» (Il fascismo eterno, p. 22).
Amen.