Lezione di civiltà
di Maria G. Di Rienzo (*)
L’immagine (qui sotto) ritrae un’anonima giovane signora londinese. Incinta di 8/9 mesi, era per strada il 4 dicembre scorso quando si è imbattuta nei dimostranti antiabortisti di “Abort67″. Costoro
si erano piazzati davanti ad una clinica – che fornisce diversi servizi relativi alla salute riproduttiva delle donne, fra cui interruzioni di gravidanza – con tanto di cartellone con feto insanguinato e videocamera. Quest’ultima era la materia del contendere fra uno dei (quattro in totale) manifestanti ed un membro dello staff della clinica, perché con essa si stavano filmando le donne che entravano: naturalmente il possessore della videocamera negava.
In quella la giovane donna è entrata nella discussione: “Guarda che ho sentito quando il tuo amico ti ha detto di spegnerla (Ndt.: perché il personale della clinica l’aveva vista accesa). E sono d’accordo con ciò che ti stanno dicendo, quel che fate è sbagliato. Voi non sapete perché le persone stanno facendo quel che fanno. Molte persone hanno sofferto abusi, voi non conoscete le loro ragioni. Questa roba è sbagliata a parecchi livelli.” A questo punto indica il mega-poster da film horror e spiega che la clinica è vicina alla sede dell’associazione umanitaria Kids Company, di cui lei è membro. L’associazione, fondata nel 1996 da Camila Batmanghelidjh, dà sostegno ai bambini e ai ragazzi in situazioni di estrema povertà e di rischio.
“Noi stiamo aiutando migliaia e migliaia di bambini, mentre voi siete qui fuori. – continua la donna, mentre gli antiabortisti non riescono a spiccicare parola – Non vi siete neppure presi la briga di sapere dove siete, dove vi siete collocati. Questo è il posto sbagliato, perché la gente che viene da noi alla Kids Company sta già attraversando i propri casini e ci sono ragazze che lavorano nell’associazione che sono state abusate e molestate.” E conclude, prima di voltar la schiena al gruppo: “Far sentire le donne colpevoli è sbagliato, è così maledettamente sbagliato!”
Una portavoce di Kids Company ha detto alla stampa che il gruppo è estremamente fiero della sua socia, ma che costei non vuole essere identificata o parlare ai media. Prima di conoscere questo suo legittimo desiderio, la femminista Caitlin Moran chiedeva online se qualcuno la conoscesse, per poterle mandare un enorme mazzo di fiori a nome di tutte le donne. Dubito che finirà per vederlo, ma io gliene mando comunque uno “virtuale” da qui. Madam, I’m really thankful.