Libia: buoni affari con il boia
da France and Italy share strong ties with Libya’s Gadhafi, di Daniela Stahl e Christoph Wöss per “Deutsche Welle”, 22.2.2011
(traduzione di Maria G. Di Rienzo)
Italia e Francia stanno nervosamente osservando gli sviluppi in Libia. Entrambe le nazioni europee hanno condannato la violenta repressione delle proteste anti-regime, ma entrambe hanno molto in gioco quando si tratta di questo paese ricco di petrolio.
Nel mentre il regime libico si trova sotto pressione, la stessa cosa accade ai suoi partner del nord. Sia il governo francese sia il governo italiano condividono lucrosi legami economici con la Libia.
I due membri dell’Unione Europea hanno condannato l’uso della forza, da parte del leader libico Moammar Gheddafi, per schiacciare le proteste, con il presidente francese Nicolas Sarkozy che ha chiesto uno “stop immediato” alla violenza. Pure, in entrambi i paesi resta la domanda su come l’agitazione, ed il potenziale rovesciamento del regime di Gheddafi, possano influire sugli interessi nazionali.
Le relazioni di Roma con Tripoli sono influenzate, principalmente, dalla dipendenza dell’Italia dalla Libia per arginare l’immigrazione illegale dall’Africa. Le guardie costiere dei due paesi cooperano nel tenere in stato di detenzione i migranti senza documenti nel Mediterraneo, e nel rimandarli ai paesi d’origine. Il ruolo della Libia nel tener fuori i migranti indesiderati è valutato circa cinque miliardi di dollari (3,7 miliardi di euro) dall’Italia, che ha promesso di investire tale somma nelle infrastrutture libiche nei prossimi 25 anni, come “riparazione” per la sua sanguinosa dominazione coloniale (1911-1943). Si dice che i fondi debbano servire a costruire, tra le altre cose, un’autostrada costiera nel paese nordafricano.
Le pratiche anti-immigrazione su cui Gheddafi ed il primo ministro italiano Silvio Berlusconi si sono accordati, nel loro trattato d’amicizia del 2008, violano la Convenzione delle Nazioni Unite relativa allo status dei rifugiati. Tuttavia, sino ad ora, hanno protestato solo i gruppi per i diritti umani. Il presidente italiano Giorgio Napolitano ha difeso il discutibile record di Gheddafi sui diritti umani, dichiarando di aver udito Gheddafi “parlare con grande moderazione e con senso del dovere rispetto ai problemi più difficili che il continente africano affronta.”
L’amicizia con la Libia ha anche dato sicurezza all’Italia per la fornitura di energia, ed il gruppo italiano ENI ha una forte presenza nella nazione ricca di petrolio. D’altra parte, Gheddafi gioca un ruolo nell’economia italiana sin dagli anni ’70. Oggi, la Libia ha investimenti nell’industria aerea italiana Finmeccanica e nella seconda banca più grande d’Italia, la Unicredit. Giovanni Agnelli, industriale italiano deceduto, difese una volta la sua scelta di vendere quote della Fiat a Gheddafi dicendo che gli investimenti delle nazioni ricche di petrolio in occidente avrebbero funzionato da deterrente all’aumento dei prezzi del petrolio.
Una massiccia tenda in stile beduino, eretta a Parigi nel dicembre 2007, divenne il simbolo dell’attitudine conciliante della Francia verso la Libia. La tenda fu eretta per ordine di Gheddafi davanti all’ Hotel Marigny, dove risiedono di solito gli ospiti importanti in Francia. In questa tenda ricevette le sue visite, estendendo la sua permanenza da tre giorni a sei.
La segretaria di stato francese per i diritti umani, Rama Yade, fu oltraggiata dalla visita di Gheddafi, dicendo che la Francia non era “un tappetino dove un leader – terrorismo o non terrorismo – potesse pulirsi i piedi sporchi del sangue dei suoi crimini.” Pure, quando Gheddafi tornò a casa, la Francia aveva piazzato 10 miliardi di euro nei suoi accordi con la Libia, inclusa la costruzione di un impianto ad energia atomica, un impianto di desalinizzazione e 21 aeroplani Airbus.
Il primo ministro francese Francois Fillon difese gli interessi della Francia, facendo riferimento alle cinque infermiere bulgare rilasciate dalla custodia libica un anno e mezzo prima, dopo aver ricevuto sentenze alla pena capitale con l’accusa di aver diffuso il virus Hiv fra i bambini: “La Francia sta ricevendo il colonnello Gheddafi perché egli ha liberato le infermiere bulgare. E perché il colonnello Gheddafi si sta impegnando per la reintegrazione del suo paese nella comunità internazionale.”, ed aggiunse come monito, “Tutti coloro che volessero darci lezioni dovrebbero pesare cautamente le loro parole.”
Le infermiere furono rilasciate grazie alla pressione francese il giorno dopo l’incontro di Sarkozy e Gheddafi a Tripoli, incontro che servì a forgiare i piani per gli accordi franco-libici siglati più tardi a Parigi.
La Francia cominciò a coltivare la sua relazione con la Libia nel 2003, sotto il predecessore di Sarkozy, Jacques Chirac. Chirac volò in Libia immediatamente dopo che le sanzioni delle Nazioni Unite contro il paese erano state tolte. Durante quella visita, Chirac chiese a Gheddafi riparazione per 170 milioni di euro per il bombardamento di un DC-10 francese nel 1989, in cui morirono 170 persone, fra cui 53 cittadini francesi.
RIPRENDO da “Redattore sociale” e scommetto che domani ben pochi media se ne accorgeranno (db)
L’analisi di GIORGIO BERETTA: “Il silenzio italiano è motivato dagli affari siglati dalle industrie militari italiane con il colonnello Gheddafi, a cominciare dalle controllate di Finmeccanica”
MILANO – Perché l’Italia, a differenza di Francia e Gran Bretagna, non ha ancora revocato la fornitura di armi alla Libia? Una domanda a cui prova a rispondere Giorgio Beretta della Ong Unimondo, in un articolo pubblicato oggi sul sito unimondo.org (vedi lancio precedente). Secondo Beretta, il silenzio italiano è motivato dagli affari siglati dalle industrie militari italiane con il colonnello Gheddafi, “a cominciare dalle controllate di Finmeccanica”, tra cui Agusta Westland (elicotteri, anche da guerra), Alenia Aermacchi (aerei da combattimento) e Mbda (sistemi missilistici).
Secondo le relazioni annuali della Presidenza del Consiglio sulle esportazioni militari, citate da Unimondo, dal 2006 al 2009 le controllate di Finmeccanica in Libia hanno venduto elicotteri militari, aerei, dispositivi per l’ammodernamento di aeromobili, ricambi, servizi di addestramento e persino missili (attraverso la Mbda, partecipata al 25% da Finmeccanica, ndr), per un totale di oltre 164 milioni di euro. Non solo: la holding italiana, partecipata al 32,5% dal Ministero dell’Economia, ha come secondo azionista proprio la Lybian Investment Authority, l’autorità governativa libica che detiene una quota del 2,01%, “quota che Gheddafi mira ad espandere fino al 3% del capitale per imporre nel consiglio di amministrazione alcuni dei suoi uomini fidati e che comunque già adesso le permetterebbe di eleggere fino a quattro delegati”, spiega Beretta.
Anche le voci minori in apparenza minori, secondo Beretta, devono destare preoccupazione, come i 2,2 milioni di euro spesi in “ricambi e addestramento” per i velivoli F260W della Alenia Aermacchi, di cui la Libia possiede circa 250 esemplari. Questi aerei, “che in Europa vengono utilizzati come addestratori, in Africa e America latina sono spesso impiegati come bombardieri”, scrive Beretta, citando un articolo di Enrico Casale apparso sulla rivista Popoli. Secondo il giornalista del mensile dei Gesuiti, nel luglio 2009 Finmeccanica e la Libyan Investment Authority hanno stretto ulteriormente i loro rapporti siglando l’impegno a creare una nuova joint-venture (con capitale di 270 milioni di euro) attraverso la quale gestiranno investimenti industriali e commerciali in Libia, ma anche in altri Paesi africani. A cominciare da un accordo siglato da Selex Sistemi Integrati, società controllata da Finmeccanica, e dal governo libico: un contratto del valore di 300 milioni di euro che consentirà la creazione di un sistema di “protezione e sicurezza” dei confini meridionali della Libia per frenare l’immigrazione.
“Forse anche per questo il ministro Frattini è in difficoltà ad intervenire quando sente parlare di sanzioni contro il leader libico -chiosa Beretta-. Gli andrebbe ricordato che la legge 185 del 1990 e la Posizione comune dell’Unione europea sulle esportazioni di armamenti chiedono di accertare il ‘rispetto dei diritti umani nel paese di destinazione finale e il rispetto del diritto internazionale umanitario da parte di detto paese’ e di rifiutare le esportazione di armamenti ‘qualora esista un rischio evidente che la tecnologia o le attrezzature militari da esportare possano essere utilizzate a fini di repressione interna’”. Proprio per evitare questo tipo di utilizzo, Francia, Germania e Regno Unito hanno deciso nei giorni scorsi di sospendere le esportazioni militari a diversi paesi, tra cui la Libia. Info: http://www.unimondo.org (ar)
Fonte: Redattoresociale.it
alzi la mano chi non sa che le armi con le quali si massacra il popolo libico sono italiane. Nessuno.
e che aspettiamo a ricordarlo a tutti quelli che a destra sanno solo parlare di “esodo biblico” (una piaga d’Egitto, come non vedere il sottinteso involontario lapsus , mentre la superficie riflette l’ignobile, provinciale calcolo di bottega) e a tutti quelli di sinistra (ops, sinistra?) che molto flebilmente piangono (rim-piangono?) sul latte ormai versato, affari, occupazione, solidità economiche.
davvero, cosa aspettiamo?