Migranti venduti all’asta ai trafficanti: 1200 dinari libici, circa 750 euro, il prezzo medio del destino dei più disperati tra i disperati. La denuncia è della Cnn che, nell’agosto scorso, ha documentato quel che accade ai migranti giunti in Libia che non possono pagarsi il viaggio verso l’Europa. È questa la terribile realtà che va in scena a sud del Mediterraneo, come denunciato anche dall’Onu, che riaccende i riflettori su abusi e violenze contro i migranti.
di Alessio Di Florio (*)
I reporter della Cnn hanno assistito di persona ad un’asta: in poco più di sei minuti almeno dodici persone hanno visto il loro destino finire nelle mani dei trafficanti. Nelle aste documentate i migranti vengono “venduti” come “ragazzi forti per lavori agricoli” o “scavatori”. Cancellata ogni dignità, ogni umanità, considerati come attrezzi e macchine. Gli inviati del network statunitense dopo l’asta raccontano di aver provato ad intervistare due persone “vendute” all’asta ma per i traumi subiti non riuscivano a parlare.
LA PRECEDENTE DENUNCIA DELL’OIM
L’inchiesta della Cnn racconta quello che l’Organizzazione internazionale per le migrazioni cercò di denunciare lo scorso 11 aprile. Monica Chirac, funzionaria dell’Organizzazione in Niger, riportò che molti migranti raccontavano di essere stati venduti in Libia. Racconti in aumento nei mesi precedenti. Testimonianze costanti di violenti abusi, percosse, stupri, torture. Fino ad alcuni che hanno raccontato di persone cosparse di benzina e date alle fiamme; altri a cui hanno sparato o lasciati morire di fame. Crimini che avvengono anche nelle carceri.
TRAFFICO DI ORGANI, DENUNCIA ONU DEI CAMPI LIBICI E SENTENZA DI MILANO
È la terribile quotidiana realtà a sud del Mediterraneo, di quel che avviene prima di imbarcarsi sui barconi e tentare l’arrivo in Europa. Un’infinita catena di crimini e violenza che a nord di Lampedusa in tanti fanno finta di non vedere. Ma esistono. Nel 2008 “Come un uomo sulla Terra” documentò una realtà terribile e disumana: il viaggio di Dagmawi, studente di Giurisprudenza ad Addis Abeba dalla quale decide di emigrare davanti alla durissima repressione politica, che sarà testimone e vittima di violenze e abusi dei trafficanti e della polizia libica. Torture, stupri, arresti arbitrari. Sono passati nove anni ma non è cambiato nulla. Una ricerca dell’Organizzazione internazionale delle migrazioni ha denunciato che il 70 per cento delle persone che giungono in Europa sono state vittime del traffico di organi. Il 6 per cento degli intervistati nei sei mesi della ricerca ha affermato di essere stato in contatto con qualcuno costretto a farsi prelevare sangue o a pagare parte del viaggio con un organo.
Le atrocità in Libia sono anche al centro di una sentenza della Corte d’Assise di Milano. Il 10 ottobre il Tribunale lombardo ha condannato a tre anni di reclusione il somalo Matammud Osman per omicidio, sequestro di persona in concorso e continuato a scopo estorsivo e violenza sessuale aggravata. Secondo la sentenza Osman, componente di un’organizzazione che gestiva un campo a Beni Walid in Libia, avrebbe sequestrato e torturato moltissimi suoi connazionali. Quattro morti per le conseguenze. I fatti sarebbero avvenuti tra il 2015 e il settembre dell’anno successivo.
GLI ACCORDI LIBICO-EUROPEI E LE ACCUSE INTERNAZIONALI
Nelle scorse settimane il commissario ONU per i diritti umani, Zeid Raad Hussein, ha definito la politica europea di assistenza alla guardia costiera libica, nell’intercettare e respingere i migranti nel Mediterraneo, disumana. Un oltraggio alla coscienza umana su cui, secondo l’alto esponente delle Nazioni unite, la comunità internazionale non può continuare a chiudere gli occhi. Una presa di posizione basata su denunce di Oim, Amnesty International e altre organizzazioni. E che punta il dito contro gli accordi tra l’Europa, a partire dall’Italia, e il governo libico di Al Serraj.
Già nel dicembre dell’anno scorso una missione Onu in Libia accertò che la maggior parte dei 34 centri di detenzione presenti sono veri e propri lager. E dove i trafficanti agiscono liberamente con la complicità di funzionari e polizia libica. Alcune donne, prima di entrare in Libia, davanti all’altissimo rischio di stupri assumono enormi dosi di anticoncezionali. Cercano così di evitare gravidanze ma si procurano danni irreversibili all’organismo. Dopo aver visitato alcuni di questi centri il commissario Onu per i rifugiati Filippo Grandi non nascose di essere rientrato a dir poco scioccato per quel che aveva riscontrato.
Il 3 febbraio di quest’anno a Malta i governi europei hanno sottoscritto un accordo con la Libia per bloccare le rotte dei migranti. Il Fondo fiduciario dell’Ue per l’Africa, su proposta della Commissione europea, il 12 aprile scorso ha approvato un programma di 90 milioni di euro per “una migliore gestione dei flussi migratori” (parole dell’Alta rappresentante Ue per la politica estera, Federica Mogherini). Nelle settimane precedenti l’Italia aveva già firmato un trattato con Al-Serraj. Un trattato secondo il quale l’Italia sta fornendo elicotteri e fuoristrada, sta contribuendo alla formazione della Guardia Costiera Libica e alla creazione della sorveglianza del Sahara. Decisioni contro cui si è opposta l’Associazione studi giuridici sull’immigrazione che sta portando avanti un ricorso al Tar del Lazio. Promosso contro i ministeri degli Esteri e dell’Interno, il ricorso si oppone alla destinazione di 2,5 milioni del Fondo Africa per armare la Guardia costiera libica per il trasporto e la sistemazione delle motovedette. In Libia, secondo l’avvocata Giulia Crescini dell’Asgi, l’Italia dovrebbe invece impegnarsi per la fine dell’emergenza umanitaria. Contro la quale le motovedette non sono certamente utili. Anche perché sono acclarate da anni le complicità e le collaborazioni tra la Guardia costiera libica e gli stessi trafficanti. Un’inchiesta della giornalista internazionale Nancy Porsia del febbraio di quest’anno ha evidenziato la figura chiave nel traffico di esseri umani del capo della guardia costiera a Zawiya: Abdurahman Al Milad Aka Bija.
Al Bija è accusato di avere legami con le milizie di Tripoli che portano i migranti dal Sahara alla costa, prima che siano imbarcati verso l’Italia. Accuse ribadite due mesi dopo anche dall’Oim. Il porto della città è lo snodo centrale di tutta la costa occidentale libica per i traffici di esseri umani e di petrolio.
Mentre le forze militari europee schierate in mare, denuncia la Porsia, “stanno chiudendo un occhio”, solo il traffico di carburanti vale 10 milioni di euro. E “negli ultimi due anni le milizie hanno infiltrato l’amministrazione della raffineria qui, e anche della guardia costiera”. Denunce simili, sempre a febbraio, furono sollevate da un reportage de l’Espresso in collaborazione con l’Unicef. “Ci sono guardie costiere che recuperano i migranti in mare e li vendono alle milizie che li trasportano nelle prigioni illegali. I migranti sono i bancomat di questo Paese. L’Europa vede, ne è consapevole, eppure ha preferito spostare il problema sulle nostre spalle anziché farsene carico. Preferisce non vedere i morti”, leggiamo nel reportage in cui viene riportata anche la denuncia di un poliziotto locale sulla brigata Sharikan, una delle più potenti a Tripoli: “fingono di arrestare i migranti clandestini e li tengono nei loro centri, senza cibo e senza acqua, prendono loro i soldi, li sfruttano, abusano delle donne e poi li trasportano nella zona di Garabulli per farli partire con i gommoni, con la complicità di parte della guardia costiera”.
Un video amatoriale pubblicato dal Times pochi giorni prima documenta le violenze sui migranti intercettati in mare e riportati in Libia. Nel video si vede addirittura Al Bija frustare alcuni migranti con una corda. I trafficanti che non pagano una quota ad Al Bija vengono fermati dalla Guardia costiera e le loro barche requisite.
La Guardia costiera libica è sotto accusa per quanto accaduto il 6 novembre scorso. I volontari di Sea Watch hanno denunciato di essere stati ostacolati durante un intervento di salvataggio. Nonostante si stessero coordinando con un elicottero della Marina militare italiana e una nave militare francese. La Guardia costiera libica, accusano i volontari, li ha attaccati e contemporaneamente filmavano le persone che morivano, ha portato avanti manovre pericolosissime e ha picchiato e minacciato i migranti saliti sulla loro imbarcazione. Almeno 20 i migranti annegati durante l’operazione e altri 5, tra cui un bambino di 4 anni, sono stati recuperati ormai morti.
Diversi i precedenti nei mesi scorsi: il 27 settembre fu attaccata dalla Guardia costiera una nave tedesca; il 15 agosto era stata sequestrata in acque internazionali la nave degli spagnoli di Proactiva Open Arms; il 7 agosto era stata attaccata la stessa nave; il 23 maggio era stata attaccata la nave di Medici senza frontiere; un episodio simile al 6 novembre era già avvenuto il 10 maggio contro le operazioni di salvataggio di Sea Watch.
(*) articolo tratto da Terre di Frontiera
IN BOTTEGA vedi Lettera aperta alle Ong, disertate il bando per «migliorare» i campi in Libia, Lager Libia. I migranti raccontano l’indicibile, Libia: i mercati degli schiavi… e delle schiave e soprattutto il recente Le politiche disumane della UE. «La verità… con i vari link lì indicati. [db]
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.