Libia: le scomode memorie italiane di Derna
di Eric Salerno
Dieci, forse ventimila morti a Derna, cittadina sulla costa orientale della Libia, non distante dall’Egitto e da quel confine che le truppe italiane fasciste segnarono con un chilometrico reticolato di filo spinato per impedire ai ribelli libici di rifugiarsi dopo aver cercato di contrastare l’avanzata italiana.
I soccorsi, raccontano le cronache di queste ore, faticano ad arrivare tra i centri abitati delle «Montagne verdi, la zona agricola più ricca della Libia – leggo sul Corriere della Sera – dove la colonizzazione italiana poco meno di un secolo fa aveva costruito fattorie modello». Fattorie modello e anche… campi di concentramento modello. Esempi di strutture, nella loro semplicità ed efficacia, che furono poi copiate in altri luoghi, in altri paesi dove la repressione collettiva dellepopolazioni, o di una parte di esse, era o sarebbe stata all’ordine del giorno.
Non credevo che il ricordo di quella impresa architettonica fosse ancora impressa nella popolazione della zona o nel resto della Cirenaica ma proprio la settimana scorsa – la settimana prima della tragedia che si è abbattuta su Derna – sono stato contattato da un professore dell’Università della vicina Tobruk. Mi chiedeva di partecipare a un incontro tra studiosi e soprattutto studenti per parlare dei campi di concentramento fascisti in Libia. E di quante furono le vittime della conquista italiana.
La prima edizione di Genocidio in Libia uscì nel 1979 e costrinse molti italiani a fare i conti con il passato coloniale del nostro paese. Nell’ultima edizione (Manifesto-Libri) ampliata con il frutto di nuove ricerche, mostrai anche come il passato, talvolta, viene sacrificato sull’altare della convenienza.
«Se non fosse tragico – scrissi – farebbe sorridere lo scambio di convenevoli tra l’allora presidente del Consiglio nazionale di transizione (appoggiato dall’Italia subito dopo la guerra della Nato e la morte di Gheddafi, e che rappresenta una parte della Libia di oggi) Mustafa Abdel Jalil e il ministro della difesa Ignazio La Russa l’8 ottobre 2011, durante le celebrazioni a Tripoli del centenario dell’assalto italiano alla Libia. «Quella del colonialismo italiano – dichiarò Jalil e leggiamo nella
cronaca de il manifesto – fu per la Libia un’era di sviluppo. Infatti, il colonialismo italiano portò strade e palazzi ancora oggi bellissimi a Tripoli, Derna, Bengasi; portò sviluppo agricolo, leggi giuste e processi giusti: i libici questo lo sanno benissimo».
Questa “rilettura storica” fu molto apprezzata dal ministro La Russa: «La storia coloniale europea la conosciamo bene, anche con le sue ombre, però l’Italia ha lasciato un segno di amicizia».
Cominciai ad occuparmi dei comportamenti dell’Italia in Libia quando il 7 ottobre 1975, ascoltai il leader libico pronunciare un atto d’accusa al nostro Paese. «Ciò che l’Italia ha commesso nella località di el Agheila rappresenta oggi una lezione storica per l’umanità e un tragico esempio di aggressione, brutalità e barbarie. Esso rispecchia l’arroganza dei forti quando aggrediscono i popoli poveri e deboli».
La Libia con quasi 1.8 milioni di chilometri quadrati è il quarto Paese per superficie dell’Africa. E le ombre del colonialismo, per citare l’attuale presidente del Senato italiano, erano grandi abbastanza da coprire buona parte del territorio. Ci sono quasi 400 chilometri da Derna a Soluch, passando a sud di Bengasi. L’ultima volta che ci sono stato affioravano ancora dalla sabbia del deserto le ossa dei libici morti nel campo di concentramento. Altre tre ore di autostrada per sostare sulla spiaggia
non lontano dai resti del campo di El-Agheila, dove venivano internati i ribelli più pericolosi e dove furono registrati il maggior numero di morti.
Parlare di cifre è praticamente impossibile. Molte ricerche furono fatte inutilmente negli archivi dei ministeri italiani che in qualche modo potevano sapere. Ma è credibile, e per difetto, la cifra di 80mila vittime.
La storia della conquista italiana del Paese nordafricano è lunga e complicata. La prima fase fu la sconfitta dell’impero Ottomano. Fu invasa Tripoli. Fra il 1911 e il 1912 ci fu una campagna di deportazioni collettive. La maggior parte di quelli di Tripoli finirono nelle colonie penali di Ustica e nelle Tremiti; quelli da Bengasi, Derna e Homs finirono a Gaeta e Favignana, in pratica colonie penali, soggetti al domicilio coatto. Una misura amministrativa e strumento «preventivo» per
l’ordine pubblico che era in vigore in Italia dal 1863. Molti non sono mai tornati alle loro case in Libia.
(*) in “bottega” cfr «Genocidio in Libia» di Eric Salerno ma vale meditare anche su questa Scor-data: 27 settembre 1911 e sulle vicende (il passato che non passa) legate a Omar al-Mukhtar, “Il leone del deserto”: per esempio vedi Monica Macchi: «Il ribelle Omar e il boia di Affile» e Gheddafi, i nazisti, un leone, i film censurati e noi
MA COSA SONO LE «SCOR-DATE»? NOTA PER CHI CAPITASSE QUI SOLTANTO ADESSO.
Per «scor-data» qui in “bottega” si intende il rimando a una persona o a un evento che il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna deformano, rammentano “a rovescio” o cancellano; a volte i temi possono essere più leggeri ché ogni tanto sorridere non fa male, anzi. Ovviamente assai diversi gli stili e le scelte per raccontare; a volte post brevi e magari solo un titolo, una citazione, una foto, un disegno. Comunque un gran lavoro. E si può fare meglio, specie se il nostro “collettivo di lavoro” si allargherà. Vi sentite chiamate/i “in causa”? Proprio così, questo è un bando di arruolamento nel nostro disarmato esercituccio. Grazie in anticipo a chi collaborerà, commenterà, linkerà, correggerà i nostri errori sempre possibili, segnalerà qualcun/qualcosa … o anche solo ci leggerà.
La redazione – abbastanza ballerina – della bottega
Succede sul Lago Maggiore
di Tonio Dell’Olio
Ci sono gesti che irrigano la speranza. Talvolta avviene non in favore di telecamere. Talvolta non è una scelta dei protagonisti ma piuttosto distrazione dei comunicatori che ritengono più urgente un’altra cronaca. È avvenuto così che ieri a Meina (Novara) Maite Billerbek, nipote del criminale nazista Hans Roehwer, tra gli autori della strage del lago Maggiore, sia andata a incontrare i familiari delle vittime. Il tutto nel corso di una cerimonia pubblica di memoria di quel settembre del 1943 quando gli ebrei furono rastrellati e uccisi in diverse località della riviera. Alla fine le vittime furono 57. Maite Billeberk ha incontrato Rossana Ottolenghi, figlia di Becky Behar, che sopravvisse alla strage con il padre Alberto, proprietario dell’hotel in riva al lago, a Meina, dove alloggiavano i 16 ebrei che furono prima imprigionati e poi uccisi tra il 22 e il 23 settembre. Tre di loro appartenevano alla famiglia Fernandez Diaz ed erano minori: Jean di 17 anni, Robert di 13 e Blanchette, 12, alla quale è stata intitolata la scuola media del paese.
25 settembre 2023
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Grazie per ricordare.
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