Lingua amica, lingua nemica

Chi legge i versi qui sotto, se non nata/o in Sicilia, è cortesemente invitato a un piccolo sforzo di comprensione. E’ una breve poesia in un dialetto forse meno chiaro delle frasi che Montalbano (il commissario camillerizzato) dispensa in sceneggiati e libri. Ma vale la pena perderci su un attimo o persino chiedere a qualche siciliana/o se «catina» è catena (facile no?), se «unni» si traduce dove, se «si manciano tra d’iddi» vuol dire «si divorano fra di loro» e se «vucca» significa proprio bocca. Quanto a «travagghiu» è facile se sapete il francese (o lo spagnolo): in italiano è lavoro ma al sud si chiama giustamente «fatica».

Volete provare? Grazie.

«Un populu mittitilu a catina

spugghiatilu

attuppatici a vucca

è ancora libiru.

Livatici u travagghiu, u passaportu

a tavola unni mancia

u lettu unni dormi,

è ancora riccu.

Un populu diventa poviru e servu

quannu ci arrobanu la lingua

addutata di patri:

è persa pi sempri.

Diventa poviru e servu

quannu i paroli nun figghianu paroli

e si manciano tra d’iddi».

E’ abbastanza chiaro? Sono versi di Ignazio Buttitta. E adesso un bel salto di oltre 50 anni, cioè all’oggi. Si può leggere (a esempio su www.giornaledellumbria.it/sites/default/files/imagecache/400xY/img_articles/analfabetismo-adolescenti.jpg) che la Francia, vincendo una lunga riluttanza ad ammettere di ospitare analfabeti, ha creato un’agenzia per verificare i livelli di alfabetizzazione. I risultati dell’indagine sono stati pubblicati a dicembre: su testi di comunicazione quotidiana si verifica la totale incapacità di decifrare singole parole o cifre per l’1% di adulti nativi o immigrati nell’età 16-65 anni (in Italia il problema riguarda il 5% dei nativi). Il 7% dei francesi non capisce o non sa scrivere una breve frase (in Italia invece il 33%) e percentuali maggiori hanno difficoltà anche nella comprensione di testi orali.

Per me quel 33 per cento è quasi un cazzotto (ho preso pugni in vita e dunque so di cosa parlo): dolore, stordimento, sangue in bocca, umiliazione, rabbia. Scusate il fatto personale.

Prima di accettare quel 33-cazzotto devo capirlo bene. Parliamo di «analfabetismo di ritorno», la niente affatto “misteriosa” malattia che colpisce chi sa un minimo leggere e scrivere, dunque capire, ma poi disimpara, si confonde. Se andate su wikipedia (la santa protettrice dei pigri, frettolosi e bisognosi di celere rassicurazione) su questa voce trovate: «In quanto fenomeno di regressione culturale, in politica l’analfabetismo professionale determina una carente coscienza o conoscenza delle istituzioni politiche di una comunità sociale. Nel caso di una democrazia, esso può limitare l’effettiva attuazione della sovranità popolare in proporzione ai limiti di un’opinione pubblica sottomessa a forze esterne (dal consumismo al denaro, dalle mode ai bisogni artificiali) e con minori capacità di valutazione politica, di difesa dalla propaganda o di controllo sugli atti delle istituzioni». Visto che stiamo per votare è interessante, no?

Il 33 per cento è una enormità eppure… ho un vago ricordo che Tullio De Mauro, in questo campo autorità riconosciuta, anni fa aveva dato percentuali maggiori. Faccio un po’ di ricerca e lo trovo: a esempio è sul «Corriere della sera» (28 novembre 2011) sotto il titolo-horror «Se 7 italiani su 10 non capiscono la lingua». Qualche passaggio dell’articolo (firmato da Paolo Di Stefano): «La salute della nostra lingua sembra piuttosto allarmante, a giudicare dai dati che Tullio De Mauro ha illustrato ieri a Firenze, durante un convegno del Consiglio regionale toscano […] Tra i numeri evocati da De Mauro e fondati su ricerche internazionali, ce ne sono alcuni particolarmente impressionanti: per esempio, quel 71 per cento della popolazione italiana che si trova al di sotto del livello minimo di comprensione nella lettura di un testo di media difficoltà. […] Di vera emergenza sociale si tratta, visto che il dominio della propria (sottolineato propria) lingua è un presupposto indispensabile per lo sviluppo culturale ed economico dell’individuo e della collettività. […] Oggi si registra, con il record di abbandoni scolastici, un incremento pauroso del cosiddetto analfabetismo di ritorno, favorito anche dalla dipendenza televisiva e tecnologica. Non deve dunque stupire che il 33 per cento degli italiani, pur sapendo leggere, riesca a decifrare soltanto testi elementari, e che persista un 5 per cento incapace di decodificare qualsivoglia lettera e cifra. Del resto, pare che la conoscenza delle strutture grammaticali e sintattiche sia pressoché assente persino presso i nostri studenti universitari, che per quanto riguarda le competenze linguistiche si collocano ai gradini più bassi delle classifiche europee (come avviene per le nozioni matematiche)».

Allora è peggio? Quel 33 per cento è addirittura un 71 «sotto il livello minimo di comprensione nella lettura di un testo di media difficoltà»? Un testo come questo mio di oggi suppongo sia mediamente difficile: ha molti incisi, qualche parola meno comune, quelle strane sbarre a ricordare (polemizzare forse) che nel linguaggio il maschile non deve risucchiare il femminile, un oscillare tra fatti e riflessioni.

Discorso molto interessante e complesso. Ma cosa c’entra con «Corriere dell’immigrazione», con chi migra? Immagino se lo stia chiedendo qualcuna/o che sa «decodificare» (vogliamo usare un più semplice «capire»?) un articolo «di media difficoltà» come questo. L’autore – italiano sembrerebbe da nome e cognome – vuole insinuare che siamo stranieri in patria? Oppure propone che ai corsi di italiano per straniere/i siano ammessi (obbligati parrebbe troppo) anche native e nativi?

In effetti sono italianissimo, o meglio su 4 generazioni giurerei ma oltre i bisnonni non vado (e se poi si scopre che quel «barbieri» prima era un «berberi» o «barbari», come quel «mussolini» – provate a sentire come lo pronunciano in Romagna – era forse un «muslin» cioè un «musulmani»?). Proprio questo è il dubbio ricorrente. Cosa significa? Sapete dirmi con esattezza cos’è l’Italia? Una patria si basa su un territorio definito, un esercito, il diritto di imporre tasse, leggi certe, ideali condivisi, una religione sola, una lingua? O un po’ di tutto ciò? Io sono italiano perché apprezzo Dante e la Costituzione (come suggerisce Roberto Benigni) e dunque – faccio due nomi a caso – Berlusconi e Maroni non lo sono? Chi non è in grado di capire cosa c’è scritto nella Costituzione è italiana/o? Certo è arbitrario quanto pericoloso imporre a native/i un test di cittadinanza. Ma allora perché va bene per straniere e stranieri? In un paesino del profondo (o sprofondo) Nord un sindaco che parla solo il dialetto si oppone che venga data la cittadinanza a uno straniero che parla molto bene tre lingue (italiano compreso). Nulla di male – anzi – a parlare il dialetto; se la lingua è madre, i dialetti sono padri o zii carissimi. Ma chi parla solo il dialetto mostra di non volere e/o sapere comunicare con chi abita nel villaggio accanto. Orso a dir poco.

Sul lungo periodo la soluzione c’è: imparare più lingue possibili ma soprattutto continuare a studiare (formazione permanente anche per chi è nell’età adulta) in modo da meglio affrontare un mondo sempre più complesso e mutante. Sapere le lingue e conoscere il mondo è uno strumento in più (non la garanzia purtroppo) per ottenere i diritti di cittadinanza. Sul breve periodo sono più incerto e resto dubbioso di capire se sono italiano o meglio se sono connazionale di Gino Strada o invece di Roberto Calderoli o addirittura di entrambi. Mi assalgono persino dubbi (da reazionario?) se sia giusto che voti anche quel 33 per cento – o il 71? – di native/i che non capisce un testo di media difficoltà… come un programma elettorale (sarà per questo che i partiti non ne hanno più e chiedono il voto su brevi slogan tipo «con noi il cielo è più blu»?).

Comunque, per importanti che siano, la lingua e il dialetto non sono tutto. Parlano anche i corpi e il nostro agire. Meglio di me lo ha detto Bertolt Brecht in questa storia che gira in rete sotto il titolo «L’esame per ottenere la cittadinanza» (non ho scovato data, fonte e traduzione italiana se no potrei fare filotto; frase di medio-alta difficoltà suppongo).

«A Los Angeles davanti al giudice che esamina le domande di coloro che vogliono diventare cittadini degli Usa venne un oste italiano. Era preparato seriamente, ma a disagio per la nuova lingua. Alla domanda “cosa dice l’ottavo emendamento?” rispose esitando: “1492”. Poiché la legge prescrive al richiedente conoscenze di lingua e storia, venne respinto. Tornò dopo tre mesi trascorsi in ulteriori studi, ma ancora incerto sulla nuova lingua. Gli chiesero: “chi fu il generale che vinse la guerra civile?”. Con voce alta e cordiale rispose: “1492”. Fu mandato via. Tornò per la terza volta e alla domanda “quanti anni dura in carica un presidente?” di nuovo disse: “1492”. Il giudice, che aveva simpatia per l’uomo, capì che non riusciva a imparare la nuova lingua. Si informò sul modo in cui viveva, seppe che lavorava duramente ed era onesto quanto generoso. Alla quarta seduta il giudice gli chiese: “quando fu scoperta l’America”? E in base alla risposta esatta – “1492” – l’uomo ottenne la cittadinanza».

SOLITA NOTA

Questo mio articolo di media – o alta? – difficoltà è stato pubblicato su «Corriere dell’immigrazione» che mi permetto di ri-consigliarvi. (db)

 

Redazione
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