Lino Aldani e la sf Italiana – Dossier FS 36
Lino Aldani o la sf Italiana
di Gian Filippo PizzoPresentare Lino Aldani vuol dire fare in pratica la storia della fantascienza italiana degli ultimi trent’anni. Pur senza tralasciare il contributo di altri importanti scrittori ed operatori, ad Aldani si deve riconoscere un’opera di diffusione, in particolare all’estero, del lavoro dei nostri fantascrittori, che non può essere misconosciuta.
Ma non solo per questo ce ne occupiamo in questo fascicolo;
ce ne occupiamo principalmente perché Lino Aldani è a tutti gli effetti un grande scrittore di sciene fiction (è tra l’altro lo scrittore italiano di Sf più noto, in Italia e soprattutto all’estero) e merita al pari di altri di essere trattato in questa rubrica. Ciò stupirà qualche lettore abituato a considerare solo i «mostri sacri» americani che l’industria editoriale propone, ma la nostra rassegna non vuole certo essere una galleria di mostri sacri (rischierebbe di diventare invece un museo delle cere) e d’altra parte ci sembra giusto andare contro la moda esterofila che ci affligge in vari campi, non per puro campanilismo ma in nome del valore e della dignità dei prodotti nazionali.
La fantascienza italiana, dunque, e Lino Aldani, la cui validità è ampiamente dimostrata da oltre duecento titoli pubblicati e traduzioni in tutto il mondo.
Lino Aldani nasce nel 1926 a San Cipriano Po, provincia di Pavia, quindi nel bel mezzo di quella Pianura Padana piena di brume che più volte ritorna come ambientazione dei suoi racconti. Ha vissuto per molti anni a Roma, dove è stato insegnante di matematica, ed è tornato nel suo paese natale, di cui ha anche ricoperto la carica di sindaco, nel 1968. Vi abita tuttora, con la moglie (una simpatica signora romana), alternando gli impegni letterari con la cura di un giardino. Si è occupato di politica, di scacchi (ha scritto dei memorabili racconti basati su partite, come l’insuperabile Scacco doppio) ed ha studiato la cultura degli zingari, che gli è servita come retroterra nel suo romanzo Quando le radici.
L’esordio narrativo di Aldani avviene nel 1960 sulla rivista «Oltre il Cielo», con il racconto Dove sono i vostri Kùmar, firmato con lo pseudonimo di N. L. Janda, che sarà abbandonato definitivamente solo nel 1963. Seguono vari altri racconti, per l’esattezza 18 (nonché un romanzo a puntate di stampo avventuroso, Più in alto delle stelle, non più ristampato), sempre sulla stessa rivista, e poi altri ancora sulla piacentina «Galassia», dove nel ’61 appare quello che secondo il sottoscritto è il primo significativo racconto di Aldani, Morte di un agente segreto. Della narrativa di «N. L. Janda», ha scritto un critico del periodo: «Un autore che a volte sembra intenzionato a voler battere gli americani sul loro stesso terreno, vale a dire sul piano della suspense e del colpo di scena, è N. L. Janda, considerato il più forte e il più spietato dei narratori italiani di sciencefiction. (…) Janda è stato paragonato a Matheson. Il suo stile, infatti, ha alcuni punti di contatto con quello del grande americano, vedi la costruzione del periodo che si presenta sempre scarno ed essenziale, la parsimonia nell’uso degli aggettivi e soprattutto la spontaneità dell’incisiva tonalità della battuta.
Tuttavia … un accostamento a Bradbury ci sembrerebbe più opportuno, se non altro per certe impennate poetiche e per il lusso di molte immagini evocative che Janda sapientemente costruisce…
Narratore autentico, si è sbizzarrito lungo una gamma ricchissima di toni e di accenti, dal racconto satirico a quello surrealista, dal drammatico all’umoristico, dal racconto di puro movimento alla schermaglia psicologica». Chi scrive queste parole è… Lino Aldani stesso, il quale in veste di saggista ha voluto giudicare la sua opera di narratore, profittando del fatto di essersi celato per quest’ultima dietro uno pseudonimo. Ma non certo per vanità o megalomania, visto che la sua identità era ben conosciuta nell’ambiente, più probabilmente per puntualizzare l’analisi della sua opera. A distanza di molti anni, il giudizio pare ancora coerente.
Il saggio in cui compare questa autoanalisi è La fantascienza: che cos’è, come è sorta, dove tende (Editrice La Tribuna, 1962), che è in assoluto il primo libro sulla Sf apparso in Italia (in precedenza si erano avuti in pratica solo i notevoli interventi di Sergio Solmi) e che ancora oggi resta valido per parecchie intuizioni, in particolare per l’approccio storico, per il tentativo di definizione della Sf, per l’analisi dei rapporti tra questa e la psicologia e per la acuta analisi della produzione italiana (personalmente ne auspicheremmo un’edizione riveduta). Successivamente e fino al 1967 sono pubblicati dei racconti che consacreranno Aldani come il miglior scrittore italiano del genere: Buona notte, Sofia (pubblicato anche come Onirofilm), Trentasette centigradi, Nemico invisibile, Doppio psicosomatico, Harem nella valigia, L’altra riva, Domenica romana. Esce anche un’antologia di alcuni suoi racconti (Quarta dimensione, Baldini & Castoldi, 1964) ed altre ne vengono confezionate all’estero (in Francia nel 1965, in Spagna e Sudamerica nel 1968), dove comunque erano già stati pubblicati suoi singoli racconti. La notorietà che Aldani acquista fuori dai nostri confini gli procurerà la curatela di diverse antologie di Sf italiana e servirà anche a lanciare altri nostri scrittori. Attualmente Aldani vanta moltissime altre traduzioni, sia di racconti che di romanzi e raccolte, praticamente in tutte le lingue europee (è particolarmente apprezzato nei paesi dell’Est), oltre che in Giappone (dove il suo nome suona come «Rino Arudani»); è infine in pratica l’unico nostro scrittore che sia riuscito ad essere tradotto anche negli Stati Uniti.
Negli anni ’63 e ’64 Aldani si fa promotore di una iniziativa che resta nella storia della Sf italiana: fonda e dirige, con Massimo Lo Jacono e Giulio Raiola la rivista «Futuro», che ospita soltanto interventi e racconti italiani (o prevalentemente italiani: ma le poche eccezioni sono comunque non angloamericane, e privilegiano paesi la cui produzione è totalmente sconosciuta in Italia, come la Polonia — con Stanislaw Lem — o la Spagna). «Futuro» è la prima (e sotto certi aspetti, unica) rivista italiana ‘di qualità’ e i suoi testi sono letterariamente molto validi come chiunque si può rendere conto leggendo l’antologia celebrativa che Inisero Cremaschi, uno dei più assidui collaboratori, ha compilato qualche anno fa («Futuro»: il meglio di una mitica rivista, ed. Nord). Dall’editoriale del primo numero: «Il nostro fondamentale proposito è quello di presentare una science-fiction valida sotto tutti gli aspetti: offrire una narrativa apprezzabile di per sé, prima ancora che per la suspense del suo modulo fantascientifico». Ma torniamo all’Aldani narratore. Per circa un decennio, dopo l’intenso inizio e l’attività critica, non produce quasi niente e si limita alla ripubblicazione di vecchi racconti (continuano ad uscire all’estero sue raccolte). Poi, nel ’76-’78, si rifà vivo con racconti che sono quanto di più maturo abbia prodotto la fantascienza italiana: Visita al padre (stupendo!), Screziato di rosso, Seconda nascita, e con due romanzi: Quando le radici (La Tribuna, 1977) e Eclissi 2000 (De Vecchi, 1979). Il primo («ispirato alle soffocazioni e alle degenerazioni del mondo industriale», scrive Cremaschi) sembra voler risolvere il problema del mondo moderno attraverso un recupero di antiche tradizioni, che sono quelle offerte dagli zingari; il secondo, che si presenta come una storia avventurosa del classico tema delle astronavi generazionali, e che è godibilissimo anche solo come romanzo di pura avventura, è in realtà un «serrato dibattito sulla natura del potere» (Vittorio Curtoni). So che Lino non è pienamente soddisfatto di quest’opera, sembrandogli di essersi lasciato troppo trascinare dalla vicenda per motivi di commerciabilità; in realtà è il romanzo che personalmente preferisco e mi sembra che la Sf dia il suo meglio quando riesce a coniugare perfettamente le esigenze della trama con la riflessione sull’uomo e/o la società.
Siamo arrivati ai nostri giorni. Aldani è sempre lì, nella sua Padana, e continua indefessamente a lavorare. Ha pubblicato altri racconti e un’antologia, Parabole per domani (Solfanelli, 1987) che sta per essere tradotta in vari paesi. Ci ha persino dato un romanzo di fantasy, Nel segno della luna bianca, scritto in collaborazione con Daniela Piegai (ed. Nord, 1985), che è la sua unica escursione in questo campo. È attualmente presidente della sezione italiana della World SF, una associazione di operatori del settore, e in questa veste sta curando per la Perseo Libri un’antologia di scrittori italiani (Pianeta Italia).
Un giudizio finale? Preferiamo lasciare la parola ad Oreste del Buono: «Lino Aldani è uno scrittore di science fiction internazionale. Eppure, e questa è la dimostrazione più limpida della sua classe e della sua razza, è lo scrittore più italiano che io conosca. E, per quanto scriva spesso di vicende del futuro e di altri mondi, non è mai scrittore di evasione, nel senso di evadere le sue responsabilità qui tra noi» (dall’introduzione sr-Parabole per domani).
Per tutto: grazie, Lino.
Gian Filippo Pizzo
Nota bibliografica:
I racconti di Aldani sono sparsi su riviste e antologie di problematico reperimento. L’unica raccolta accessibile, perché recente, è Parabole per domani, pubblicata da Solfanelli di Chieti. Reperibile ai remainder’s è il romanzo Eclissi 2000, che contiene in appendice tre racconti citati nell’articolo. Rintracciabile dovrebbe essere anche Quando le radici, presso la Casa Editrice La Tribuna di Piacenza. Disponibilissimo il romanzo scritto con la Piegai Nel segno della luna bianca (Nord). Accessibile anche l’antologia «Futuro» (Nord), documento unico per la fantascienza italiana degli anni sessanta.