L’Inquisitore e il suo doppio
di Gian Filippo Pizzo (*)
Crediamo che Valerio Evangelisti non se la prenderebbe se lo paragonassimo, ad esempio, a Emilio Salgari, visto che ha sempre espresso la sua preferenza per la letteratura popolare. Infatti l’accostamento va letto solo in termini di popolarità, perché a ben guardare le differenze sono tante: Salgari scrive velocemente (a volte anche sciattamente) e si concentra solo sull’avventura, anche se le sue idee progressiste comunque traspaiono, mentre Evangelisti è molto più ponderato e all’azione accompagna uno stile pregevole, un’ottima caratterizzazione dei personaggi, una minuziosa documentazione storica, una notevole abilità nello strutturare le storie e riflessioni non banali. Ma forse a Evangelisti si può meglio attagliare quello che scrive Stefano Salis (sul Sole24ore del 9 dicembre 2018) a proposito di Andrea Camilleri, che cioè il successo dei suoi romanzi popolari finisce per nuocere al resto della sua produzione negandogli il favore della critica paludata. Se Camilleri oltre al suo popolare commissario Montalbano ha scritto romanzi storici dal significato politico, anche Evangelisti vanta un percorso simile: all’inquisitore Eymerich (e al pistolero Pantera) ha affiancato opere tra l’altro sulla rivoluzione messicana, sulle proteste operaie americane e sulle politiche sindacali italiane tra il 1875 e il 1945, queste nella trilogia Il sole dell’avvenire (2013-16).
Questa premessa per invogliare a leggere anche altre opere di Evangelisti, oltre a quelle dedicate a Nicolas Eymerich, giunte al dodicesimo volume con questo Il fantasma di Eymerich (Mondadori, pp. 265, euro 17; 9,99 in ebook). Eymerich è un personaggio storico realmente esistito (1320-1399), domenicano e strenuo difensore della fede e dell’ortodossia, inquisitore generale del Regno di Aragona; scrisse un manuale dell’inquisizione, pubblicato però solo nel Cinquecento. Evangelisti ovviamente lo stravolge per i suoi fini narrativi, o meglio ne esaspera i tratti caratteriali rendendolo un idealista fanatico, spesso feroce ma mai meschino. Non simpatico, non buono (ma nemmeno malvagio senza scopo, come i cattivi dello schermo o del fumetto), acquista una personalità vivida proprio per essere oltre le contraddizioni che il suo stato gli impone, nel senso che di contraddizioni dovrebbe averne, ma non ne ha, tutto compreso nel suo ruolo di difensore della fede ed avversario del male. Un vilain che, come spesso accade nella narrativa popolare, finisce per diventare un personaggio di culto: non a caso, risuscita come Sherlock Holmes, prima ucciso dal suo creatore e poi fatto rivivere.
I romanzi sono scritti con la tecnica della “narrazione parallela”, che ci racconta le avventure dei vari personaggi separatamente, ma qui arricchita da un elemento particolare, quello della dislocazione temporale. Sono infatti in genere tre i momenti che Evangelisti inserisce nella trama dei suoi romanzi: uno, medioevale, in cui Eymerich è alle prese con una eresia o una manifestazione del male che è suo compito indagare e distruggere; gli altri, ambientati in epoca contemporanea o storicamente a noi più vicine, oppure nel futuro, nei quali si ha una nuova manifestazione, comunque derivante da quella medievale (il lettore lo capisce presto, ma i protagonisti non possono saperlo). Alla fine, si ha uno scioglimento della vicenda in cui tutto viene giustificato, incredibilmente ma con grande maestria narrativa.
In questo Il fantasma di Eymerich l’inquisitore si trova a essere imprigionato dal Re di Aragona ma riesce a fuggire e si reca a Roma; vi giunge proprio nei giorni in cui muore Gregorio XI, appena tornato da Avignone (dove il Papato si era trasferito settant’anni prima) e viene eletto Urbano VI. Il nuovo pontefice si inimica i cardinali corrotti che si ribellano ed eleggono un antipapa, Clemente VII, dando vita allo Scisma d’Occidente o Grande Scisma. Seppure romanzata, la vicenda rispecchia perfettamente gli avvenimenti storici e i personaggi che vi parteciparono, ma ancora più interessante è la descrizione della vita di un’Urbe lontanissima dai fasti passati e degradata, con la nobiltà e il clero che tentano di vivere in continuità al loro rango e alla loro ricchezza e una plebaglia in mano a pochi caporioni che riesce a condizionare il Conclave. A questi avvenimenti Eymerich partecipa poco, non si lascia coinvolgere perché la sua preoccupazione è un’altra: debellare l’ennesima manifestazione demoniaca, che in questo caso consiste nel tentativo di ripristinare l’antica religione mitraica.
E qui, finalmente, dopo vari accenni negli altri romanzi, c’è una spiegazione più approfondita del perché l’inquisitore consideri Raimundo Lullo un eretico e di come il lullismo possa condurre a deviare dalla vera fede a causa degli influssi sul suo pensiero della cultura araba e di quella ebraica (almeno secondo Evangelisti, che riesce a inserire nel discorso anche il culto di Mithra e un’improbabile commistione tra il simbolo francescano del Tau e la radice di taurus, “toro” in latino, animale sacrificale del mitraismo). La parte ambientata nel futuro – che negli ultimi romanzi Evangelisti ha notevolmente ridotto rispetto ai primi libri – riguarda un personaggio già apparso in precedenti opere, lo scienziato Marcus Frullifer, qui impegnato nella costruzione dell’astronave “psitronica” Malpertuis che avevamo trovato già in viaggio nel primo romanzo della serie, Nicolas Eymerich, Inquisitore (1994). Poi c’è il “fantasma” del titolo, un’entità forse incorporea identica all’inquisitore, un suo doppelgaenger che ne precede e ne condiziona le mosse: non diciamo di più lasciando al lettore il gusto di sbrogliare la matassa.
Valerio Evangelisti aveva fatto morire il suo personaggio con il decimo romanzo, Rex tremendae maiestatis (Mondadori, 2010), ambientato nel 1399, poi a furor di popolo (e per le insistenze dell’editore) lo aveva ripresentato nel 2017 con Eymerich risorge, titolo ingannevole perché non si tratta di una resurrezione ma di una storia ambientata in precedenza, nel 1374. Questo Il fantasma di Eymerich è ambientato nel 1378 e dunque resterebbe spazio per altre avventure, ma molti indizi (tra cui le dichiarazioni di Evangelisti nell’intervista che stiamo per pubblicare) lascerebbero comprendere che si tratta in realtà del capitolo definitivo, per quanto il finale sembrerebbe più aperto. In attesa di scoprire come evolverà la faccenda godiamoci questo.
Sempre in argomento vogliamo però segnalare un altro volume, il bel saggio di Alberto Sebastiani «Nicolas Eymerich: il lettore e l’immaginario in Valerio Evangelisti da poco pubblicato da Odoya (pp. 249, € 18). Non è certo il primo ad essere dedicato all’autore , ormai oggetto di diverse opere di critica e tesi di laurea (va ricordato Valerio Evangelisti, di Luca Somigli, pubblicato da Cadmo nel 2007), ma è il primo incentrato più specificamente sul suo personaggio più famoso. Sebastiani, pubblicista e docente presso l’università di Bologna, dopo aver analizzato brevemente le altre opere di Evangelisti si concentra sull’inquisitore esaminando tutti i romanzi e i racconti e quelle che definisce “estensioni”, che potremmo anche chiamare con un termine ormai entrato nell’uso, spin-off: racconti fuori dal canone principale, fumetti, scritti di altri autori che hanno preso in prestito il personaggio, eccetera. L’analisi comprende anche il romanzo qui recensito, che deve evidentemente aver letto in anteprima. Successivamente affronta il problema delle fonti cui Evangelisti attinge, dagli stilemi della narrativa popolare all’impegno politico, ed esamina Eymerich sotto il profilo psicologico, interrogandosi infine sui motivi per cui piace ai lettori. Una disamina puntuale e precisa, assolutamente condivisibile, di un personaggio e di un autore diventati meritatamente di culto.
(*) ripreso da PULP Libri
NOTA DELLA BOTTEGA: il pigrissimo (?) db sta leggendo – con tempi troppo rilassati, si sussurra – il libro di Alberto Sebastiani; e dunque presto (?) ne leggerete qui in “bottega”.