L’istinto, la solitudine, il vuoto dentro
di Daniela Pia
Avere 35 anni, due bimbe e il vuoto che ti dilaga dentro. sovrumano. intollerabile. Sentire il richiamo del baratro che ti corteggia, definitivo, desiderabile. Basta volare . Ha scritto «sono stanca» la donna che si è lanciata dal quinto piano di un hotel a Cagliari, assieme alle due figliolette. Essere stanca
per una donna potrebbe voler dire tante cose, ma qui non c’è molto spazio alle interpretazioni: lo scritto laconico ha saputo raccontare molto più di quanto potrebbero fare psicologi e psichiatri; una madre giunta al bivio.
Un bivio che non era solo suo, ma anche delle due bimbe, inconsapevoli, ignare che non si può volare dal quinto piano di un hotel senza farsi la bua. Eppure se lo ha detto la mamma deve essere possibile. Madre, mamma, parola che si ammanta di dolcezza di colori tenui e immagini tenere. Eppure la realtà è molto diversa soprattutto di questi tempi in cui la donna è sempre più sola e la gravidanza è spesso un lusso che economicamente non ci si può permettere. Se fosse solo una questione di soldi però potrebbe essere superabile. Quando una donna sente l’ insostenibile pesantezza del ruolo significa che l’impegno emotivo l’ ha sfinita mentalmente e che, dopo una giornata passata a fare i conti sulla difficoltà di conciliare pranzo e cena, anche i gesti quotidiani si trasformano in una fatica di Sisifo. Soprattutto quella mentale: questione di equilibrio irraggiungibile se non si sa incanalare la rabbia, gestire la frustrazione, controllare l’ istinto.
Quando le lacrime non sono più capaci di lavare via lo spavento, il sentirsi sole, che è cosa diversa dall’essere sole, diventa voragine, si spalanca innanzi nera e cupa. Un tarlo comincia a mangiarsi il futuro e non si riesce più a competere con il ruolo che la leggenda sulla figura femminile pretenderebbe: figlia, madre, moglie, lavoratrice. Donna. E si trasforma nel desiderio del nulla, della morte.
Ci si può dimettere dall’essere madre? Ogni donna dovrebbe essere libera di dare la risposta che sente dentro. Una cosa però è certa – senza scomodare Medea – cioè che le donne sentono, nella fragilità del quotidiano, come la bellezza del ruolo possa essere affiancata alla totalità di una lacerazione capace di costringere in un limbo. In tante sono serene e felici. Alcune si sentono sospese, colpevoli, sino a quando il vuoto, per loro, non si fa richiamo, diviene sirena; sino a che la disperazione trova la soluzione. Ultima. Gesti che non possono essere liquidati con una condanna facile facile, liberatoria. Solo chi non ha mai avuto un baratro che le si è spalancato innanzi può farsi avanti e lanciare la prima pietra. Io non potrei.
L’accaduto è molto doloroso, l’articolo è molto addolorato. Lo condivido, conosco il baratro. Piuttosto è per me difficile immedesimarmi in un baratro a tre, e vorticissimamente pensare che il non farcela è collettivo, e che le mie figlie non sono frecce scagliate dal mio arco, ma sono anch’esse me . Quel me che non ce la fa, e che fa delle scelte di non ritorno. Ma siamo in tre. Mentre scrivo però io non sono su un balcone, ed è difficile per me entrare fino in fondo in questa triste storia. Un abbraccio, Gianfranco.
Chi mai potrebbe immedesimarsi in un baratro a tre mi chiedo? Per fortuna una pensilina e una palma hanno salvato le bimbe, che non sarebbero in pericolo di vita. la madre è più grave.