Lo sciopero climatico e il dopo
di Umberto Franchi
Alla vigilia dello sciopero climatico del 23 settembre dei Fridays For Future, nella campagna elettorale è continuato un negazionismo esplicito che consiste nel sostenere: i problemi climatici esistono ma è inutile parlarne, ci sono cose più importanti…
«Il problema è la crescita»… Bisogna continuare con le sanzioni economiche alla Russia e l’invio di armi all’Ucraina…
Esiste anche un negazionismo opportunista che dice tutto e il contrario: che in Italia vanta i progressi delle rinnovabili ma vuole i rigassificatori e un ritorno all’energia nucleare.
Anche i negazionisti però sanno che una catastrofe è alle porte,
I segnali del ghiacciaio della Marmolada e della tragedia di Senigallia evidenziano come, anche in Italia, il cambiamento climatico stia assumendo un andamento irreversibile. I ghiacciai continuano ad arretrare e non torneranno più come prima: fra 20 anni il ghiacciaio della Marmolada sparirà mentre le calotte polari si scioglieranno.
In tutto l’emisfero boreale si scioglie il permafrost, liberando quantità sterminate di metano (un gas di serra 20 volte più potente della Co2). Altro metano si sprigiona dallo sviluppo intenso degli allevamenti suini in Val Padana, e a livello globale dal riscaldamento dei fondali artici.
Come ci dicono i glaciologi, si è avviata una prospettiva che nel breve periodo può diventare senza ritorno. Nel mondo si alzerà il livello del mare e cambieranno le correnti marine e aeree (monsoni inclusi) alterando completamente l’assetto climatico del pianeta e moltiplicando gli eventi estremi destinati a trasformarsi in catastrofi… mentre nelle aree tropicali e temperate avanzeranno ovunque i deserti causando migrazioni davvero bibliche.
Anche i periodici allarmi lanciati dall’IPCC sono rimasti inascoltati e gli obiettivi fissati prima al vertice di Parigi e dopo a COP26 di Glasgow sono insufficienti; ma nemmeno quelli vengono rispettati.
Ricordiamo la pochezza degli obiettivi fissati al Cop 26 a Glasgow nel novembre 21: decarbonizzazione e taglio del 45% delle emissioni entro il 2030 (zero emissioni entro il 2050); con il target a 1,5 gradi nonostante gli allarmi lanciati dalla scienza sulla necessità di restare sotto 1 grado per evitare il pericolo di non ritorno e senza aiuti ai Paesi meno sviluppati. Insomma nessuna garanzia di interventi propositivi sulle prospettive climatiche.
Il tempo passa e tutti i cambiamenti in corso stanno subendo un’accelerazione. Il mondo in cui vivranno i nostri nipoti – forse già i nostri figli e alcuni di noi – non sarà più quello che conosciamo; davvero più ostico, per molti la vita sarà più difficile o impossibile. Anche la guerra della Russia in Ucraina va incanalata nella contesa mondiale per spartirsi le risorse residue, a partire dal gas.
Nel novembre 2019 ben 11.258 scienziati di 153 Paesi (250 italiani) hanno lanciato l’allarme sull’ emergenza climatica – pubblicato anche dalla rivista Bioscienze – con la propota di 6 azioni immediate che i governanti dovrebbero prendere come base di riferimento. Esse sono:
- Sostituzione dei combustibili fossili con fonti rinnovabili;
- Riduzione rapida di emissioni di metano, di polveri sottili, idrofluoro carburi e altri inquinanti per ridurre del 50% in 10 anni la tendenza al riscaldamento globale;
- Ripristinare e proteggere gli ecosistemi come le foreste dell’Amazzonia, le praterie eccetera;
- Cambiare stile di vita nel mangiare, passando da una dieta basata sulle carni rosse a una più bilanciata a base di vegetali… al fine di ridurre le emissioni di metano e gas serra;
- Convertire l’economia basandola sul carbon-free (e non sulla crescita del PIL) sfruttando gli ecosistemi in modo da mantenere la sostenibilità delle risorse della biosfera;
- Invertire la rotta della crescita della popolazione umana (200.000 al giorno) e garantire la giustizia sociale ed economica.
Le rinunce necessarie a rallentare il disastro (che per molti potrebbero anche rivelarsi vantaggi) – quelle che i governi non osano prospettare agli elettori – in un prossimo futuro verranno comunque imposte dagli eventi probabilmente moltiplicate per 10 da una natura ormai stravolta.
Il 23 settembre scioperano gli studenti – mentre i sindacati si limitano a fare una generica solidarietà – e quindi non saranno ascoltati. E’ altamente improbabile che senza un coinvolgimento della classe operaia a livello mondiale quei 6 punti proposti dagli scienziati siano raggiungibili e che quindi il processo di distruzione del pianeta venga bloccato dalle proteste dei ragazzi ispirati da Greta Thunberg. Per fermare la catastrofe climatica bisognerebbe cambiare alle radici l’economia, l’organizzazione sociale del lavoro, modificando strutturalmente il modello di sviluppo capitalista.
Nè la coalizione di Draghi, nè il futuro governo (che si paventa a guida della destra), tanto meno gli imprenditori nostrani e di altri Paesi sono disposti a farlo.
22 settembre 2022
LE VIGNETTE – scelte dalla “bottega” – SONO DI MAURO BIANI.