Lo spirito femminile del mare

Riflessioni della scrittrice femminista mapuche Elisa Loncón Antileo

 di Maria Teresa Messidoro (*)

Elisa Loncón Antileo è nata il 23 gennaio 1963 a Traiguén in Cile, nella regione dell’Araucania, o meglio in Wallmapu, come viene chiamata quella terra in mapuzugun, la lingua mapuche.

Elisa, tra il 2021 ed il 2022, è stata Presidentessa della Convenció Constitucional de Chile, l’istituzione preposta all’incarico di redigere una nuova costituzione del Cile; purtroppo, nel referendum del 4 settembre 2022, la proposta, che si prefiggeva di modificare la precedente costituzione ratificata durante la dittatura militare, è stata sconfitta. (1)

Elisa scrive di donne, di saperi differenti da quelli tradizionali che si apprendono soltanto sui banchi di scuola, di esperienze collettive, di una storia, quella del suo popolo mapuche, tutta da riscrivere.

Il suo ultimo libro è Azmapu, aportes de la filosofía para el cuidado del Lof y la Madre Tierra (Azmapu. Contributi da parte della filosofia per la cura del Lof e della Madre Terra (2).

Già nel primo capitolo ci affascina con la riflessione proprio sul  mapuzugun, anzi sulla portata simbolica di alcune parole utilizzate dal popolo mapuche per indicare in modi differenti il modo di parlare degli esseri umani e di altri esseri viventi: accanto al mapuzugun infatti esiste il wiwkei, la lingua degli uccelli, il txalkan, la lingua dei vulcani, il txaytxay, la lingua della pioggia, etc…

Inoltre, proprio il mapuzugun significa “la lingua della Terra”, perché questa lingua è condivisa tra gli esseri umani e quelli non umani, perché le persone vivono, o dovrebbero vivere, in fratellanza (e sorellanza) con gli animali, la rugiada, la montagna, il sole. Perché la stessa Terra respira attraverso le parole, i canti, i suoni e le voci che esistono nella natura.

In questo contesto, si inserisce una riflessione di Elisa sul fatto che essere donna nel secolo XXI significa recuperare la propria storia, smontando la struttura di dominazione patriarcale, colonialista e razzista esistente da secoli.

Perché le donne non devono essere oggetto di folklore, afferma Elisa, ma possono recuperare la propria identità a partire dalla propria storia, cultura, lingua.

Ed ecco dunque una storia raccontata tra le altre da Elisa:

“Mio padre mi parlava di la mar (3), un ente femminile: ho imparato che la mar era un essere vivente, il cui gene si trovava nell’acqua salata, ed era sanatrice. Né io né nessuno della nostra famiglia la aveva mai vista, nemmeno mio padre: la mar era parte dei racconti immaginari, il mondo sconosciuto con cui non avevamo vissuto esperienze reali. Avevo quindici anni quando nel collegio che frequentavo mi si offrì la possibilità di andare in gita quindici giorni alla mar; la mia famiglia approvò questa possibilità e fece di tutto per recuperare i soldi necessari per la vacanza. Prima di partire, mille volte ho provato ad immaginare la sua estensione, che credevo enorme. Camminavo per due chilometri dalla mia casa ad un albero mirador, che utilizzavamo come punto di riferimento per vedere chi arrivava dal paese; contavo i passi, per calcolare il tempo che avrei dovuto trascorrere per attraversare la mar. Quando finalmente l’ho conosciuta, mi hanno impressionato la sua immensità e la sua infinitezza, facevo fatica a comprendere che la metà dello spazio che osservavo poteva essere di pura acqua.

Mi ha impressionato il suo sapore salato, il rumore delle onde che ruggivano come un toro, la sabbia fine della spiaggia. Mio padre mi aveva chiesto di portargli dell’acqua salata, così ritornai a casa con varie bottiglie di acqua marina da ripartire tra i miei genitori, i miei nonni, i miei zii. Ciascuno di loro, quando ricevettero la bottiglia, ne sparse alcune gocce sul suolo….” (4)

Io ho “scoperto” la mar già adulta: pur non sapendo nuotare, ho imparato ad apprezzare il rumore delle onde, i panorami che si perdono a vista d’occhio, i tramonti che testimoniano l’incontro tra il sole e l’acqua, gli assordanti temporali là in fondo, minacciosi e meravigliosi, le lunghe camminate su spiagge o rocce.

Adesso posso comprendere meglio la mia affinità con questo spirito femminile, la mar.

E sentirmi un poco come ha scritto una donna kicwa degli altopiani ecuadoriani:

Mi sono fatta da sola:

sono una laguna, sono un altopiano, sono gli uccelli,

un arcobaleno.

Sono parte della natura, del territorio di cui faccio parte.

Tutti gli esseri devono vivere in armonia (5)

Per ricordarci che siamo parte di un tutto interconnesso che si chiama Pacha, Madre Terra, Natura.

 

  1. In bottega qui https://www.labottegadelbarbieri.org/cile-come-ripartire-dopo-la-sconfitta-dellapruebo/
    https://www.labottegadelbarbieri.org/cile-come-interpretare-la-sconfitta-nel-referendum-sulla-nuova-costituzione/
  2. Azmapu è letteralmente la giustizia indigena ancestrale mapuche, ancora vigente anche se in forma più rudimentale di un tempo. Il lof invece è la forma basica di organizzazione per il popolo mapuche, costituito sostanzialmente da un gruppo di famiglie che si riconoscono nell’autorità di un lonco, un cacicco.
  3. In spagnolo esiste anche la forma femminile del termine mar, cioè la mar, citata nei vocabolari ma raramente usata. In questa nota, userò il termine la mar.
  4. Tratto da https://www.resumenlatinoamericano.org/2023/03/03/feminismos-no-somos-objetos-de-folclore/, da cui nasce questa mia riflessione.
  5. Colectivo Mirada Critica del Territorio desde el Femminismo, 2017

 

*Vicepresidentessa associazione Lisangà culture in movimento OdV, femminista sempre.

Teresa Messidoro

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