L’ombra del colonialismo
Due documentari realizzati da Simone Brioni con Ribka Sibhatu e con Kaha Mohamed Aden
«Dov’è l’Eritrea?» chiede, ai bagnanti, Simone Brioni all’inizio del documentario «Aulò» che ha realizzato con Ribka Sibhatu: c’è chi sa tutto (persino che in quella zona è probabilmente iniziata la storia della specie umana) e chi ignora persino di quale continente si stia parlando; abbastanza sconcertante visto che parliamo di una ex colonia italiana. La cronaca ci suggerisce che questa smemoratezza è doppiamente pericolosa al punto da consentire che, questa estate, la città di Affile abbia inaugurato un sacrario a Rodolfo Graziani, autore di feroci massacri in Africa (e non solo) mentre la tradizione anti-colonialista del nostro Paese è completamente dimenticata. Da un lato esistono, a livello specialistico, le ricerche di Angelo Del Boca e altri storici ma dall’altra i libri di scuola si limitano a dire bugie condite a banalità e a rimozioni su immaginari “italiani tutta brava gente”.
Ribka Sibhatu si definisce franco-eritrea-italiana. E’ fuggita da Asmara nel 1980, neanche ventenne, ora è ricercatrice in Antropologia culturale all’università di Roma e ha scritto vari libri fra i quali (nel 1993) «Aulò. Canto-poesia dall’Eritrea». Da qui è partito Brioni, che lavora all’università di Warwick, per il suo bel documentario che si affianca a «La quarta via» nel quale un’altra scrittrice, Kaha Mohamed Aden (di origini somale ma ora a Pavia) ragiona – come Sibhatu – di colonialismo, migrazione e delle loro radici “in movimento”. Scrivono entrambe in italiano, vivono qui, eppure sono più conosciute nelle università anglo-americane che da noi.
«La quarta via» racconta di Mogadiscio, oggi devastata dalla guerra civile. Sono anche strade metaforiche, le tracce del passato e del presente: la verde, colore dell’Islam e dei ricordi; la via nera, emblema del dominio fascista; rossa è la terza via, come una rivoluzione socialista finita male; l’ultima via è grigia, parla di una guerra che ha distrutto un intero Paese.
L’ignoranza e l’indifferenza di molti italiani verso due ex colonie – l’amnesia come la definisce Brioni – fa nascere molte domande sul nostro rapporto con i migranti e in generale con altri popoli. Ed è un altro dei fili che attraversa i due documentari. In questo senso c’è un passaggio molto significativo in «Aulò» (è un tipo di poesia, spesso improvvisata, che i cantastorie portavano ovunque): Ribka Sibhatu invita a visitare il Vittoriano – di Roma, a piazza Venezia – non per il suo legame con le vicende coloniali ma perché oggi al suo interno c’è il museo delle migrazioni italiane.
I documentari sono a disposizione, ognuno allegato a un volumetto bi-lingue (italiano e inglese perché verranno adottati anche negli Usa e in Gran Bretagna) per porre le storie di Mohamed Aden e di Sibhatu in una prospettiva più larga. Si possono acquistare in rete (http://www.kimerafilm.com/#) a 25 euri, tutto compreso.
Grazie per l’ informazione, mi procurero’ i documentari, anche se come sai, come comunista ed antimperialista) sto dalla parte di chi non fugge dall’ Eritrea e contro chi la sanziona ( imperialismo USA ) Spero di completare entro breve il mio viaggio personale attraverso la malattia per andarci in Eritrea.. Conosco l’ Africa ( tutto il nord, il Mali, l’ Uganda, il Sud Africa ed il Mozambico), ed un po’ l’ Etiopia., ma voglio vedere la Somalia ed innanzitutto l’ Eritrea.
Ciao Daniele, grazie per la segnalazione, li acquisterò sicuramente, sto cercando di recuperare film e documentari sugli orrori del colonialismo italiano, da mettere anche a disposizione della Cineteca Sarda.