Sul supplizio di Giordano Bruno
di Mauro Antonio Miglieruolo
Sul sacrificio di Giordano Bruno, assassinato dalla Chiesa il 17 febbraio 1600 (nota: qualcuno riporta il 19 febbraio – vedi James Reston: “Galileo”, supplemento a “Famiglia cristiana”) credo sia stato detto tutto; molto però resta da ripetere e sottolineare per non fornire ai carnefici la possibilità dell’alibi della dimenticanza onde sottrarsi alla responsabilità di avere esercitato un potere assoluto che solo la forza armata della rivoluzione italiana ha costretto a moderarsi.
Di quel giorno orrendo intendo rievocare un aspetto apparentemente secondario, ma altrettanto significativo delle motivazioni che hanno portato alla legittimazione del delitto e alle modalità con il quale ha trovato esecuzione.
Mentre il condannato viene condotto al rogo, il viso stretto in una morsa di ferro, nella lingua infisso un lungo chiodo e un altro nel palato, affinché non possa proclamare le proprie verità e propria innocenza, coloro che lo scortano, membri della Compagnia della Misericordia e della Pietà, a chi chiede di chi si tratti, rispondono: “un luterano”. Ma è una colossale bugia, anche se a quei tempi spesso utilizzata per insultare coloro che venivano condannati dalla chiesa (l’analogo di allora con cui nel Novecento gli stalinisti liquidavano gli oppositori, unificati tutti nella generica e insensata categoria di trotskysti). Giordano Bruno non è seguace di Lutero: è frate domenicano; né è stato condannato su materia specificamente religiosa, ma su materie che la Chiesa ha deciso di sottomettere ai propri pregiudizi: la natura dell’essere e le modalità con il quale indagarlo (non diversamente da quanto fanno oggi i telebani che, a proposito di governo della società e di dominio sulle donne, attribuiscono al Corano le proprie opinioni); i “peccati” di Giordano Bruno sono dunque relativi ai propri convincimenti in quanto pensatore sull’infinità dell’universo, l’esistenza di altri Mondi e il non essere la Terra il centro dell’Universo…
La menzogna di questi “misericordiosi” colpisce altrettanto della crudeltà con cui è trattato l’illustre frate. Colpisce perché testimonia dell’eterna propensione del potere alla menzogna, al sopruso, al dileggio delle proprie vittime.
Commentava una dei presenti all’orribile uccisione di Giordano Bruno, il quale ha subito la pena del rogo affinché “non vi fosse spargimento di sangue” (notare l’abissale ipocrisia con cui viene giustificato il supplemento di tortura): “questo è il nostro modo di procedere nei confronti di tali uomini, o sarebbe meglio dire, di tali mostri”. Ignoro a chi attribuire queste indegne parole. Forse un Domenicano (i Domenicani erano una sorta di polizia spirituale della chiesa, detti appunto Domini Canes, cioè cani del Signore), anche lui responsabile delle sofferenze inflitte al suo correligionario. Il che non solo avvilisce, ma anche sorprende, poiché si dice che cane non mangia cane, o meglio non dovrebbe; ma costoro (i Domenicani) erano tali che divoravano se stessi. La propria integrità, l’umanità e il credo.
E che più si può fare contro se stessi che vantarsi dei propri delitti? A quell’anonimo io dunque dico che parla di mostri perché il vero mostro è lui, proprio lui.