Loro!
di Tahar Lamri
So cosa diranno. Diranno che sono pazzo. Diranno che è il gesto di un folle. So cosa diranno. Lo so. Certo che lo so. Ora il mio gesto me lo devo gustare in anteprima, da solo, come una masturbazione. Vedo la scena e la rivedo. Ecco. Capite? Colazione italiana: cappuccino e cornetto. Italianissima. Devo elaborare la mia teoria, davanti a una bella tazza di caffè, dopo il cappuccino. Caffè italiano. Italianissimo. Devo selezionare accuratamente i miei obiettivi: non devo colpire nessun bianco. Io sono ritenuto da tutti i camerati un nerd, “un tipo mite e buffo” come ebbe a dirmi una volta Gianluca. Devo rimanere mite e buffo per i miei amici bianchi, italianissimi. E’ per loro, per il loro futuro che ho qui davanti questo bell’aggeggio. La mia calibro .357. Carica di supposte. Armando il cane, il grilletto sarà più sensibile, la corsa minore. Con pochissima pressione l’arma già fa fuoco. Pah! Così non dovrò muovere troppo il dito e sarò più preciso nel mio tiro al bersaglio: rigorosamente nero. Non devo colpire nessun bianco, ricordate?
Io sono un fascista del terzo millennio, sono l’espressione febbrile di una comunità in marcia. So che dovrò morire. Ho bisogno di morire per dare un segnale alla mia comunità: non riesco a integrarmi, non ce la faccio a integrarmi nella mia comunità perimetrata. Ho letto Durkheim. Mi ricordo perfettamente le sue parole. Sono lucido e colpirò le vittime a partire dalla mia cultura e comunità di riferimento. Ce lo siamo detti tante volte, anche in silenzio, anche con il linguaggio del corpo, sì che ce lo siamo ripetuti. Ebbene io l’ho inteso come un ordine. E’ un ordine da eseguire prima che sia tardi. Prima che siano troppi. Sono già troppi. Dopo lo choc iniziale, ci sarà l’assestamento, la mia comunità ci guadagnerà, ne sono certo. I nostri ormai smidollati esperti si concentreranno sull’analisi del mio comportamento, nessuno presterà attenzione ai miei codici culturali, al messaggio che lancio ai camerati con la mia morte, nessuno si attarderà sul dato sociale presente nel mio gesto strettamente personale. E quei coglioni di extracomunitari alzeranno la voce in un primo momento poi vedrai che non faranno più i furbi con i loro corpi fastidiosamente slanciati e inutilmente muscolosi. Non hanno il diritto di essere slanciati e muscolosi. Anzi non me ne frega niente. Io ho una missione precisa. Forse finalmente qualcuno dirà che siamo esasperati, che questo multiculturalismo non s’ha da fare. Ogni proiettile respingerà indietro uno di loro. Loro!
UNA BREVE NOTA
Tahar Lamri vive a Ravenna dal 1986. E’ autore fra l’altro dell’appassionante “I sessanta nomi dell’amore” pubblicato da Mangrovie-Silvia De Marchi editore nel 2007: una bella cornice (di messaggi elettronici che ragionano sull’amore e che lo generano) per racconti molto diversi fra loro, con riferimenti mobilissimi (Italo Calvino e Nazim Hikmet per dire due nomi citati da Lamri). In uno dei racconti, “Le stanze sgombre” si legge: “Mi sa che da quando l’uomo non crede più all’inferno ha trasformato la sua vita in qualcosa che gli assomiglia”. Forse, estrapolando la frase dal contesto, si potrebbe cercare qui la radice di “Loro!” (in uscita sulla rivista “Città meticcia”) dove Tahar Lamri ha cercato di immaginare, in poche righe, ciò che frullava nella mente dell’ assassino di Firenze. Due vittime che stanno già passando nel dimenticatoio. A poche ore dal delitto di Firenze, il quotidiano on line “Imola oggi” titolava sull’arresto (a Firenze!) di senegalesi per possesso di droga: esercizi consci e inconsci per far dimenticare o per giustificare un fascista che spara. (db)
Grande Tahar Lamri. Bravo.Molto bravo. Parole e pensieri che sono pallottole, a mio modesto sentire, prima delle pallottole metalliche esplose. Diceva il mio vecchio professore di Antropologia culturale, Cesare Pitto, le parole sono pietre. Io aggiunsi: le pietre uccidono, anche. Proprietà transitiva: le parole uccidono. Le parole e pensieri che sono delle pallottole. Scusate! Ho parlato troppo.
Geneviève Makaping