L’otto marzo? Da non “scordare”
di Francesco Troccoli, recensione a La storia “scordata”, di Luana Testa.
L’augurio che ripeto ogni 8 marzo a tutte le donne è che arrivi presto il giorno in cui la Festa della Donna non esisterà più, perché non ce ne sarà più bisogno. Ma pur sembrando ogni anno più vicino, un otto marzo che passi inosservato, che non abbia mimose geneticamente inscritte in quel segno di infinito, dritto e verticale, che così bene rappresenta le donne, oggi appartiene ancora – e purtroppo – al calendario di Utopia. Lo dicono le ricerche di mercato, le statistiche, il fisco, i bilanci delle aziende: meno posti direzionali, stipendi più bassi, carriere limitate. Ma lo dicono ancor più forte, fino a gridarlo, le tante donne vittime di persecuzione, stupro, assassinio, per mano maschile.
Se le donne in quanto individui, le donne al plurale, subiscono quotidianamente limitazioni e violenze, è perché la Donna in quanto singolare collettivo, in quanto immagine femminile, è oggetto – di certo in misura ampiamente variabile fra i vari contesti sociali e culturali contemporanei – di un sistematico annullamento. Solo l’eliminazione della diversità e della specificità che la Donna rappresenta rispetto all’uomo può essere alla base di quell’attitudine – non solo maschile – a sottovalutare, svalutare, diminuire il ruolo e l’importanza delle donne nelle società di oggi, dai casi più eclatanti di imprigionamento in abiti integrali di matrice religiosa a quelli più subdoli e nostrani di sparizione laica e discreta fra le pieghe di una cultura, di un codice, in cui “essere umano” si dice “uomo” , “paese degli antenati” si dice “patria” e l’origine del coraggio risiederebbe nei testicoli.
Lungi da me il tentativo di analizzare le cause storiche di tanta distorsione, mi limito a rilevare come essa si nutra oggi anche dell’annullamento della Donna, e delle singole donne, nella nostra Storia. In quella italiana come in quella europea. Quella storia recente, ad esempio, che celebriamo come fondativa del nostro Paese, il Risorgimento. Quella storia dell’arte, ad esempio, che consideriamo fondativa del nostro patrimonio artistico, ovvero la poderosa successione di rinascimento, barocco e neoclassicismo, a cavallo di tre secoli. Oppure ancora quella straordinaria svolta tutta francese, ma che ha poi influenzato la storia dell’intera Europa, che ha avuto il suo culmine nella rivoluzione del 1789. Sono proprio questi i tre blocchi storici in cui si muovono le tre protagoniste principali, fra moltissime altre per la verità, de La Storia Scordata di Luana Testa, sceneggiatura per il teatro appena pubblicata per i tipi di Albatros.
Scrive Luana Testa nell’incipit: “La storia si svolge ai nostri tempi ed inizia con il dialogo tra quattro ragazzi, due femmine e due maschi, che, ai primi anni di superiori, dopo il lockdown conseguente all’epidemia da COVID-19, si ritrovano a fare una gita scolastica a San Luigi dei Francesi a Roma, chiesa nota per tre quadri di Caravaggio al suo interno.” Visitando la cappella che ospita i capolavori del Merisi, i quattro scoprono così che è stata progettata da un’architetta, una donna. “Questa è una architetta! Una architetta nel ’600!” esclama la più intraprendente. Ed è così che, magia del teatro e del suo linguaggio, inizia l’avventura quasi onirica dei quattro giovani, che si snoda come un dialogo con le protagoniste dimenticate dalla storia, un dialogo che è insieme di scoperta e di formazione, tanto per loro quanto per lo spettatore. Plautilla Bricci si esprime nella lingua dell’epoca che, come osserva il regista Andrea Fazzini nella bella prefazione, “si sposa fluentemente con le battute di tenore opposto” nel romanesco adolescenziale dei ragazzi mentre racconta la propria storia di architetta, autrice appunto della cappella in cui si trovano e direttrice di maestranze tutte maschili nei cantieri della Roma del Seicento, delle quali senza troppo sforzo ci possiamo figurare la soavità.
“Mentre dimenticare si riferisce ad un “allontanare dalla mente”, scordare ha nella sua etimologia la radice cor, cordis, cioè cuore”, spiega Luana Testa nell’introduzione, e così il titolo dell’opera trova la sua origine: proprio come la chitarra scordata che una dei quattro ragazzi trova abbandonata in un angolo all’inizio della rappresentazione in scena, anche la storia umana deve essere “riaccordata”, riappropriandosi delle sue protagoniste.
A uno dei ragazzi, che ipotizza che fosse la sola donna artista, Plautilla chiarisce subito: “Artemisia Gentileschi, Sofonisba Anguissola, Lavinia Fontana mi hanno mirabilmente preceduta”. Sono solo i primi tre di una serie di quasi trenta personaggi femminili, che si succedono in una narrazione storicamente coerente e rigorosa; donne quasi del tutto sconosciute ai più, dimenticate, sminuite o negate dalla storiografia ufficiale, assenti dai manuali scolastici, nascoste fra le pieghe di siti web specializzati o le pagine di libri di vera e propria inchiesta, per fortuna sempre più diffusi negli ultimi anni (l’utopia dunque si avvicina?). La storia “scordata” procede per collegamenti precisi e riaccordanti: l’opera più importante di Plautilla è La Villa del Vascello al Gianicolo, che fu distrutta dalle cannonate francesi durante la repressione della Seconda Repubblica romana nel 1849, e a dare la brutta notizia all’architetta è la seconda protagonista che giunge in scena, la nobildonna lombarda Cristina Trivulzio di Belgioioso, finanziatrice della carboneria, scrittrice, allestitrice della rete di soccorso (che includeva anche trecento prostitute) per i feriti della battaglia di Porta San Pancrazio, da cui la Villa di Plautilla uscì devastata. E così, fra stoccate ai maschi illustri del periodo, come Alessandro Manzoni e Giuseppe Mazzini, e passaggi riguardanti altre donne importanti come Margaret Fuller, la prima giornalista assunta da un giornale, o Adele Brambati, la bella veneziana fra le cui braccia morì Goffredo Mameli, il voltafaccia di Napoleone III (“una bella spina nel cuore per me. Ero amica di Luigi Napoleone, il nipote del Bonaparte …”), diventa motivo per spostare l’attenzione (e la scena) su Olympe de Gouges, la terza donna protagonista, scrittrice di romanzi e teatro, di umili origini, attivista, partecipante alla Rivoluzione francese del 1789, autrice de “La dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina” e infine denunciata proprio da una donna, arrestata e ghigliottinata nel 1793.
La storia scordata nasce come spettacolo teatrale. È stata riadattata e messa in scena dalla regista e attrice Angela Antonini, che di questo libro ha scritto la postfazione, ed è scritta da una psicoterapeuta. È forse questo il punto più importante. Il rifiuto della “damnatio memoriae toccata alle donne” rivela la sua natura profonda di atto di cura sociale, di intervento volto a raddrizzare quelle storture del pensiero dominante che non possono non avere (e aver avuto storicamente nelle varie culture e nelle varie società) un ruolo determinante nell’eziopatogenesi del disagio psichico, quando non della franca patologia mentale. Basti pensare al problema enorme della violenza contro le donne, e alla sua connessione con la cultura patriarcale, maschilista, misogina, della quale solo in questi anni si iniziano finalmente a riconoscere le responsabilità.
Come uomo mi rallegra, più che consolarmi, leggere degli uomini che il libro cita e che hanno aiutato e amato Plautilla, Olympe, Cristina e le altre. Spesso pagando anche loro con la propria vita. Devono essere per noi un esempio da seguire.
Come uomo, il mio augurio di quest’anno alle donne, per l’otto marzo, ha assunto la forma di un ringraziamento pubblico verso Luana Testa, autrice di quest’opera.
Bellissimo, l’ho visto a teatro.