Luce D’Eramo, l’aliena
Un ricordo (del 2001) e un convegno (il prossimo 1-2 marzo)
di Gian Filippo Pizzo
Quest’anno ricorrono dieci anni dalla scomparsa di Luce d’Eramo, e visto che oltretutto il tema si attaglia perfettamente a quello di questo numero di «IF», ho pensato di ricordarla riproponendo un articolo che scrissi subito dopo l’Italcon del 1994.
Avevo conosciuto questa Signora dall’aspetto fragile ma dalla personalità forte e decisa all’Italcon del 1986, tenutasi a Montepulciano, una convention che è passata alla storia della fantascienza in Italia per l’attacco livoroso e ingiustificato di Alberto Moravia (presente assieme ad altre personalità del suo entourage: Dario Bellezza, Alain Elkann e, appunto, la D’Eramo) alla fantascienza e specialmente proprio a lei, colpevole di essere scivolata verso la fantascienza con il suo romanzo (peraltro denso e bellissimo) «Partiranno», appena pubblicato. Moravia brandiva il suo bastone e sembrava sul punto di volerla addirittura colpire, biascicando improperi, ma lei seppe tenergli testa con fermezza e dignità, rivendicando i valori della sua scelta artistica (e ricordo ancora Vittorio Catani uscire imbestialito dalla sala e rifiutarsi di ritirare il premio assegnatogli, mormorando «qui ci stanno prendendo in giro»). La personalità di Luce d’Eramo mi colpì molto e fui contentissimo di rivederla alle Italcon del 1992 e del 1994, entrambe a Courmayeur: facemmo quasi amicizia e per qualche tempo siamo stati in contatto. Nel 1994 lei presentò una relazione dalla quale ricavò un articolo poi apparso sull’«Unità», io invece ne feci una sintesi che pubblicai su «Il Giornale dei Misteri» e le feci avere una copia: conservo ancora la cartolina che mi scrisse dopo averlo ricevuto: «Grazie dal fondo del cuore per il suo bellissimo “Essere alieni” che ha anche dato volume al mio intervento a Courmayeur, inserendolo articolatamente in un discorso sulla science fiction coi richiami pertinenti (e per me lusinghieri) a diverse opere di questa straordinaria letteratura. Grazie. E’ stata proprio una bella sorpresa per me leggere il Suo testo così ricco di spunti».
Non mi pare sia necessario aggiungere altro.
L’intervento più toccante e più applaudito tra quelli presentati alla ultima convention di fantascienza, la XX Fancon di Courmayeur, è stato certamente quello di Luce d’Eramo, «Il diverso e l’alieno, a partire dalla mia vita».
Credo che Luce d’Eramo sia ben conosciuta, come scrittrice e come frequentatrice di talk-show televisivi, dove la sua opinione è molto richiesta: è una donna forte e decisa, di grande rigore morale ma allo stesso tempo di grande umanità e comprensione, una donna che mi ha affascinato subito quando l’ho conosciuta ad un’altra convention qualche anno fa. Luce d’Eramo non è una scrittrice specializzata nel fantastico, perché ha seguito altre vie ed è approdata alla science fiction solo occasionalmente e tardi, ma in modo pregnante!, col romanzo «Partiranno» (Mondadori) e con qualche racconto, ma è una lettrice attenta ed una conoscitrice del genere da molti anni.
La sua relazione aveva come tema “il diverso”, che poi era l’argomento dell’intero congresso (intitolato «Alieni, mutanti e robot»), e lei lo ha svolto sicuramente in modo molto originale e personale, partendo dalle sue esperienze private. Prima, di bambina amante degli animali (soprattutto dei gatti, amati a quanto pare da tutti gli scrittori di Sf e spesso inseriti nei loro racconti, come dimostrano molte opere di Fritz Leiber, da «Il verde millennio» a «Novilunio»), i primi diversi con i quali entriamo in contatto. Bambina nata in Francia da genitori italiani e quindi fatalmente soprannominata la petite italienne, appena rientrata nel nostro Paese fu inevitabilmente definita “la francesina”: ancora, comunque, una diversa.
Le esperienze di questo tipo sono continuate, racconta Luce d’Eramo, con la drammatica permanenza, appena diciottenne, in un lager nazista (raccontata nel romanzo «Deviazione»); esperienza talmente alienante che non stupisce il fatto che un altro scrittore reduce da un campo di concentramento, Primo Levi, abbia preso anche lui a scrivere racconti di science fiction («Storie naturali» e «Vizio di forma»). Quindi, con il successivo incidente che la privò dell’uso delle gambe, ella sperimentò il culmine della sua esperienza, quella di sentire alieno persino il suo stesso corpo. (Anche questa una situazione ampiamente sfruttata dalla Sf, da «Acciaio» di Matheson a «Impostore» di Dick, ma quanto deve essere duro sperimentarla davvero!).
Ma la fantascienza non è solo letteratura del diverso, ma anche letteratura del sogno e della speranza. (Sogno inteso non come evasione, ma come aspirazione, come anelito al futuro, ad un futuro migliore, come desiderio di trascendenza). Ancora, la scrittrice ci racconta come seguisse con ansia i progressi dell’uomo nella conquista dello spazio, dai primi razzi Sputnik al primo astronauta allo sbarco sulla Luna. Da una fantasticheria cosciente, quella che un extraterrestre andasse a salvare la cagnetta Laika, abbandonata in orbita nel novembre 1957 e di cui per radio si potevano ascoltare battiti del cuore e guaiti, nasceva il pensiero di come avrebbe reagito lei stessa nell’incontrare un vero extraterrestre, di come avrebbero mai potuto comunicare.
E da ciò l’interesse per quello che altri autori scrivevano sull’argomento, l’interesse per le speculazioni di Bester e di Dick, per i marziani di Bradbury e i cani del futuro di Simak, per il «Piccolo popolo» di Piper e per gli Hoyle padre e figli e la loro senziente «Nuvola nera» (interesse che aveva un humus ben preciso, quello delle letture da bambina, anche queste storie di “diversi”: i bambini poveri e abbandonati dei romanzi di Dickens, di Malot e di altri scrittori per l’infanzia). Con un po’ di insofferenza da una parte per la fantascienza razzista che presentava l’extraterrestre come un mostro da distruggere, dall’altra per quella che viceversa ce lo presentava come improbabile fraterno amico.
Da queste valutazioni maturate anno dopo anno, da queste considerazioni raggiunte a poco a poco (si veda anche la notazione sul movimento ecologico come intimamente collegato alla visione spaziale, come momento imprescindibile del mondo votato alla conquista dello spazio, perché il nostro mondo non ci appare ora isolato, ma inserito nell’universo, ed è importante salvaguardarlo) la scrittrice ha desunto il materiale sufficiente a farle scrivere il suo bel romanzo «Partiranno», come nella sua relazione dichiara. Ma la genesi del romanzo, in fondo, non è che l’osservazione delle cose della vita, per quanto distorte o meglio trasfigurate possano essere dalla personalità di chi scrive. Ed ecco quindi che Luce d’Eramo torna allo spunto iniziale, quello dell’alienità che vediamo oggi costantemente, nel povero e nel barbone, nello straniero, nell’extracomunitario e nel marocchino, nel bambino abbandonato. La fantascienza, possiamo aggiungere estendendo un po’ il discorso, di questo se ne era già resa conto e già ci aveva raccontato di diversi che non sono solo mostri insettoidi venuti a conquistare il mondo o a insidiare le nostre donne, ma sono – poniamo – «L’uomo che cadde sulla Terra» di Walter Tevis (splendidamente reso da David Bowie nell’omonimo film di Roeg) o l’oceano senziente di «Solaris». Nel ricordarci gli esempi della narrativa, Luce d’Eramo ci invita ad una tolleranza costante nella vita di tutti i giorni.
Quello descritto da Luce d’Eramo è ovviamente solo un percorso, uno dei tanti possibili che porta all’apprezzamento di questa forma di letteratura in genere troppo poco considerata, ma mi sembra emblematico e sono sicuro che molti lettori riconosceranno di aver seguito vie simili. All’inizio c’è solo un particolare che ci attira, il “sogno spaziale” come legittima aspirazione dell’uomo all’evoluzione, oppure semplicemente il resoconto di un’avventura in un mondo fantastico o la curiosità di vedere cosa uno scrittore immagina del futuro, ma poi ci accorgiamo che nella fantascienza c’è di più, che vengono affrontati vari problemi – e sono tutti problemi umani. Si parla di politica o di morale, di storia o di psicologia, di inquinamento, di religione. Così il cerchio si chiude, si raffrontano le letture con la nostra esperienza e ci si accorge che vanno a braccetto, che la fantascienza non è narrativa dell’irreale, ma semmai dell’iperreale, perché trasferisce nello spazio o nel tempo quelle che sono le nostre esperienze. La Sf parla di alieni, di diversi, di estranei… e di noi stessi. Soprattutto di noi stessi, suggerisce in fondo la d’Eramo, che apre e chiude il suo intervento dichiarando che Socrate, se fosse vissuto oggi, invece di «conosci te stesso» direbbe «conosci l’alieno che è in te».
Devo esser chiaro: ho tentato di dare un resoconto su quanto detto nella relazione, sia pure sorvolando sui fatti biografici ed estendendo viceversa il discorso generale sulla science fiction, anche se non ho potuto affrontare tutto, perché l’intervento è ricchissimo e contiene molti spunti (per esempio quello della comunicazione che, se è già difficile tra gli esseri umani, come potrà essere tra uomini e alieni?). Ma niente può sostituire la relazione stessa, che oltretutto è scritta con uno stile veramente eccezionale, uno stile che non è quello freddo e amorfo delle conferenze, ma quello vivido e descrittivo della narrativa. Luce d’Eramo, che qui pubblicamente ringrazio, me ne ha mandato copia (cosa che mi ha permesso un controllo su questo articolo, impostato e in gran parte già scritto sulla base degli appunti), avvisandomi inoltre che una versione leggermente più breve sarebbe apparsa su «l’Unità» (infatti è stata pubblicata, con il titolo «Io sono un’Aliena», il giorno 1 agosto). Io consiglio a tutti di procurarsela e di leggerla attentamente perché ne vale la pena, anche se non potrete provare, come è successo a chi era presente a Courmayeur, l’emozione di sentirla dalla voce dell’autrice.
BREVE NOTA
Per chi abita a Roma (o può venirci) ecco qui sotto la locandina di due incontri – 1 e 2 marzo – per ricordare Luce D’Eramo. Rammento che Feltrinelli ha da poco ristampato «Deviazione». Il breve saggio citato da Pizzo, «Io sono un’aliena» è rintracciabile nell’omonimo libro pubblicato, nel 1999, da Edizioni Lavoro. (db)