«L’ultimo miglio»
Gian Marco Martignoni sul viaggio di Angelo Mastrandrea nel mondo della logistica e dell’e-commerce in Italia fra Amazon, riders, portaconteiner, magazzinieri e criminalità organizzata
Vengono i brividi nel leggere le inchieste di Angelo Mastrandrea in L’ultimo miglio (Manni pagine; pagine 170, euro 14). Tanto che l’economista marxista Joseph Halevi, studioso a Sidney dei processi legati alla globalizzazione, ha parlato senza peli sulla lingua di ritorno a un “Medioevo capitalista”. I cinque capitoli che compongono questo libro disvelano perfettamente le brutali condizioni di lavoro e di vita di coloro che permettono l’indispensabile movimentazione (non solo ai colossi del settore) di merci di ogni tipo.
Il viaggio di Mastrandrea nella penisola non poteva che iniziare con Amazon, la multinazionale che nel nostro Paese dalla fine del 2010 ha aperto 27 magazzini ben suddivisi sul territorio, arrivando in breve tempo a occupare 9500 dipendenti, mentre ne annovera 560.000 in tutto il mondo. In particolare sono stati posti sotto osservazione il magazzino di Passo Corese, ubicato nell’alto Lazio (che nei picchi di ordinazione sfiora i 3000 occupati) e quello di Castel San Giovanni in provincia di Piacenza. Per inciso l’insediamento nella Sabina della struttura di 65.000 metri quadrati, inaugurata il 9 febbraio 2017, è stato assai distruttivo nei confronti di un territorio tradizionalmente agricolo e ricco di uliveti, contrastato solo dagli esponenti dell’associazione ambientalista Sabina Futura, nell’ossequio più religioso delle istituzioni nazionali e regionali rappresentate dal ministro Graziano Del Rio e da Nicola Zingaretti. Fin da subito il turn over si è configurato come fisiologicamente elevato in questa “catena di montaggio del nuovo millennio” poiché se la soddisfazione del cliente è al primo posto, invece i lavoratori e le lavoratrici sono spremuti come limoni, per via dei ritmi e degli orari di lavoro insostenibili, al punto che l’andare in bagno più volte urta con gli imperativi degli algoritmi. Al contempo, a differenza di Castel San Giovanni – ove la contrattazione sindacale ha fatto registrare significativi passi in avanti, anche per regolamentare le anomalie registrate dalle ispezioni condotte dall’Ispettorato del lavoro – a Passo Corese sono emerse notevoli difficoltà nell’organizzare i lavoratori e le lavoratrici, stante che per la logica Amazon il sindacato è un fattore non contemplato.
La seconda tappa ha puntato i riflettori sulla Città del Libro a Stradella, descrivendo le condizioni di lavoro semi-schiavistiche tipiche di un capitalismo autoritario, all’interno di un paradigma che esalta la diseguaglianza. Alla Città del Libro si riforniscono i principali attori della distribuzione libraria italiana, ovvero Messaggerie e Rcs, con una movimentazione annua di 90 milioni di libri. Senonchè nel 2017, in seguito alle denunce sollecitate dalla Camera del lavoro di Pavia, le visite di 150 finanzieri e poi degli ispettori del lavoro hanno accertato che nel girone dantesco dello sfruttamento della forza lavoro, con turni (sotto ricatto) di dodici ore, un’agenzia interinale lodigiana, appoggiandosi a una romena con sede a Bucarest, proponeva contratti a termine solo in parte pagati in euro, essendo il restante pagato in leu. Sono 300 i lavoratori e le lavoratrici coinvolti nel sistema del continuo ricorso e cambio fiscale delle cooperative sui 1400 dipendenti dello stabilimento, gestito dal consorzio Premium Net (10.000 dipendenti complessivi) per conto della multinazionale olandese-americana Ceva Logistics Italia. Presidente del consorzio era un certo Giancarlo Bolondi, imprenditore milanese con residenza a Melide nel Canton Ticino che al termine del processo, oltre al sequestro di 120 beni mobili e immobili e di 17 milioni di euro, è stato condannato dal tribunale di Pavia a un anno e sei mesi per associazione a delinquere per truffe fiscali, mentre otto dei suoi collaboratori hanno patteggiato la pena per sfruttamento dei lavoratori all’interno di un organico sistema di caporalato. Nel 2020 si è finalmente tornati all’applicazione del contratto nazionale di lavoro dell’editoria, eliminando i turni di 12 ore, per cui Vincenzo Agrillo, un lavoratore napoletano che non ha chinato la testa, ha potuto orgogliosamente affermare: «ora possiamo pure permetterci di scioperare liberamente».
Successivamente Mastrandrea è sceso al sud, prima a Napoli e poi alla Geotrans di Catania, dove ventuno coraggiosi lavoratori e lavoratrici, costituendo una cooperativa – sostenuta da Banca Etica, Cgil, Libera e dall’Agenzia nazionale per i beni confiscati – hanno sconfitto i ricatti della famiglia di Vincenzo Ercolano e soprattutto il triste detto “senza la mafia non si lavora”. Come recita il logo della cooperativa «La legalità viaggia con le aziende confiscate»… pur se il 60% della logistica agro-alimentare è ancora controllato dalle mafie. Napoli è stata l’occasione per fare conoscenza con la Casa del rider, un luogo di tutele ideato da Antonio Prisco, sindacalista di Nidil Cgil morto prematuramente a 37 anni la sera del 30 aprile di quest’anno. Sono oltre 2500 le persone che, avendo perso il lavoro dopo il covid-19 , si sono reinventate come ciclo-fattorini al servizio delle piattaforme digitali e degli ordini di un algoritmo, cambiando solo la forma a un lavoro che vanta un’antica tradizione in questa città.
Infine, l’ultimo denso capitolo è dedicato al porto di Salerno, la vera fabbrica della provincia, ove nel 2020 la Procura della Repubblica ha smantellato un oliato sistema di corruzione, finchè è esploso, grazie alle proteste dell’associazione Tunisie verte, lo scandalo ecologico dei 212 container di rifiuti non riclicabili italiani bloccati in Tunisia. Sulle tracce delle connessioni generate dalla “mafia dei rifiuti” nell’assenza di qualsiasi controllo pubblico, Mastrandrea ritorna sulle tristi vicende delle «navi dei veleni» contraddistinte da quella striscia di morti impunite – a partire da quelle di Ilaria Alpi e Mauro Rostagno – che hanno tragicamente insanguinato il mar Mediterraneo. Gli interrogativi si chiudono (terminata a Roma la chiusura in redazione) con i fari puntati sul molo del porto di Livorno, dopo una corsa notturna con la sua Fiat Uno sulla via Aurelia , rimuginando sulla tragedia della Moby Prince e sulla movimentazione dei container di armi da parte degli spadroneggianti militari statunitensi.
I primi abbozzi di questa ricerca sul campo erano apparsi sul quotidiano il manifesto, sul settimanale Internazionale e sul quindicinale svizzero Area (una pubblicazione legata al sindacato Unia) fra le poche testate in circolazione che testardamente contrastano le letture apologetiche del capitalismo dominante, esplorando le nuove forme di autorganizzazione e di resistenza del movimento sindacale su scala mondiale.