Lunga vita alle donne
di Olutosin Oladosu Adebowale (corrispondente dalla Nigeria per «Safe World for Women», novembre 2012; traduzione di Maria G. Di Rienzo).
Quando ho deciso di chiamare me stessa “Olutosin 3” non è stato per scherzo o ignoranza, ma perché potevo vedere la brutta testa dell’abuso far capolino nella mia vita. Mia nonna, “Olutosin 1”, decise di diventare una donna forte dopo aver subito un bel po’ di abusi; mia madre, la numero 2, ne ebbe la sua parte e quando toccò a me mi dissi che dovevo segnare la fine della violenza generazionale.
Mia nonna è stata sposata a tre uomini, e a nessuno di essi per propria volontà. La diedero in moglie, quando aveva 14 anni, ad un uomo molto vecchio. Lei mise al mondo un figlio e il vecchio uomo morì. A questo punto fu “ereditata” come moglie dal fratello di costui. Dopo altri due bambini, il secondo vecchio uomo morì. All’età di 25 anni aveva tre figli ed era pronta per il terzo fratello. Questa volta rifiutò, ma l’uomo che sarebbe diventato mio nonno imprigionò i suoi genitori finché lei cedette. Ebbe altri quattro bambini dall’uomo che aveva tenuto prigionieri suo padre e sua madre. Morì poco dopo aver dato alla luce il settimo figlio.
La storia di mia madre fu un po’ diversa. Mio padre morì quando io non avevo ancora cinque anni. Al suo funerale le nostre sedie furono gettate fuori dalla stanza e chi simpatizzava con noi disperso in modo poco cerimonioso: la ragione era che mia madre aveva avuto solo figlie da mio padre. Dovemmo lasciare quella casa. Eccetto mia madre e i suoi parenti, nessuno si curò di queste figlie. Mia madre era molto insistente sull’istruzione per noi bambine: pensava che l’analfabetismo e l’ignoranza fossero le cause della violenza che lei aveva subito. Perciò, io cominciai a studiare come se ne dipendesse la mia vita. E infine sposai un “Romeo africano”, o almeno lui così si pensava. Un Romeo africano significa “potere”, mentre una Giulietta africana significa “ama, lavora, ascolta, sottomettiti”. Niente di strano, si tratta della socializzazione stereotipata tipica in cui sfortunatamente veniamo cresciuti. Io accettai il mio destino sino ad un giorno fatale che cambiò la storia della mia vita.
Ahimè, l’istruzione non ha niente a che fare con la violenza contro le donne. I miei diplomi non fermarono nemmeno uno degli schiaffi di mio marito. Picchiare una donna non è insolito, nella mia comunità, fino a che lo fa un padre, un marito o un anziano qualsiasi. Una donna incinta può essere picchiata fustigandole le gambe: una scopa lunga fa il lavoro benissimo e niente accade al bambino nel suo ventre. Nessuna donna sfugge all’essere picchiata in casa, specialmente se è una “moglie”, una moglie è una schiava che produce bambini.
La paura che si era nutrita dentro di me venne alla luce: io stavo segretamente temendo e aspettando quel giorno, il giorno inevitabile in cui gli schiaffi sarebbero piovuti su di me. Non dovetti attendere troppo. La mia prima figlia aveva 28 giorni quando accadde. Il primo pestaggio di mio marito mi mandò in ospedale nel bel mezzo della notte. E sapete perché? Gli avevo chiesto di tenere la bambina per un po’. “Ho bisogno di dormire qualche ora, per piacere aiutami con la bambina.” Non avevo mai saputo che un uomo non può curarsi di un neonato per un paio d’ore.
Infine presi la drastica decisione di mettere fine a quel matrimonio, o quel matrimonio avrebbe messo fine alla mia esistenza. Ero terrorizzata all’idea che Olutosin 3 ereditasse le medesime esperienza della prima e della seconda generazione, e poi c’è la quarta Olutosin, in questo mondo, mia figlia: lei non deve assolutamente incontrare lo stesso destino. Diventai più forte parlando con altre donne forti, diventai una lottatrice e decisi di darci un taglio con le facce gonfie e le corse al pronto soccorso, dove tra l’altro non potevo dire la verità ai medici sulla genesi della mia faccia gonfia.
Oggi, se io rifiuto di essere una voce, le mie figlie non avranno la loro. Nella mia comunità, ora, sono benedetta da più di 70 ragazzine che imparano da me. Queste bambine diventeranno protettrici di altre bambine se noi continuiamo a proiettare le nostre voci. Io sono diventata un’attivista per le donne, istruendomi ancora, collaborando, essendo disponibile ad investire nell’istruzione delle altre. Le donne che lottavano e soffrivano in silenzio sono diventate le mie alleate. Adesso siamo in 150, nella mia comunità, a lavorare per trasformare noi stesse e la società in cui viviamo. Ce lo rende più facile la collaborazione a livello internazionale con donne che la pensano come noi e come noi lavorano appassionatamente in altri paesi africani o asiatici. Lunga vita alle donne, quindi, ma noi tutte vivremo più a lungo se saremo decise a mettere fine alla violenza contro le donne nel mondo intero.
UNA BREVE NOTA
Gli articoli di Maria G. Di Rienzo sono ripresi – come le sue traduzioni – dal bellissimo blog lunanuvola.wordpress.com/. Maria segnala che di Olutosin Oladosu Adebowale potete leggere anche:
http://lunanuvola.wordpress.com/2011/02/21/il-mio-ventre-porta-solo-bambine/
L’ultimo libro di Maria è “Voci dalla rete: come le donne stanno cambiando il mondo”: una mia recensione è qui alla data 2 luglio 2011. (db)