L’unica libertà rimasta in Turchia è quella di morire, ma in silenzio
Le autorità turche hanno arrestato ad Ankara un accademico e un insegnante in sciopero della fame da due mesi contro il loro licenziamento nella repressione dopo il golpe fallito dello scorso anno. Lo riferiscono i media locali.
Nuriye Gulmen e Semih Ozakca sono stati licenziati in base allo stato di emergenza imposto dopo il fallito golpe del 15 luglio 2016 dal presidente Recep Tayyip Erdogan.
I due docenti hanno iniziato il loro sciopero della fame 75 giorni fa e sono sopravvissuti bevendo solo acqua. Entrambi sono stati arrestati stamani presto, dopo che i mandati d’arresto sono stati emessi nel weekend, secondo quanto riferito dalla Ntv.
“ANNIENTAMENTO PROFESSIONALE”: AMNESTY INTERNATIONAL DENUNCIA IL LICENZIAMENTO DI OLTRE 100.000 IMPIEGATI PUBBLICI NELLA PURGA SUCCESSIVA AL TENTATO COLPO DI STATO
In un nuovo rapporto Amnesty International ha denunciato che il licenziamento di oltre 100.000 impiegati del settore pubblico della Turchia è stato arbitrario e sta avendo un impatto catastrofico sulle vite delle persone colpite.
Il rapporto, intitolato “Nessuna fine in vista: il futuro negato agli impiegati del settore pubblico della Turchia dopo la purga”, rivela che decine di migliaia di persone – tra cui medici, agenti di polizia, insegnanti, docenti universitari e soldati – etichettate come “terroristi” ed estromesse dal settore pubblico, oggi stanno lottando per la sopravvivenza.
“L’onda d’urto della repressione avviata dalle autorità turche dopo il tentato colpo di stato continua a devastare la vita di un gran numero di persone che non solo hanno perso il lavoro ma hanno visto anche la loro vita e la loro carriera professionale fatte a pezzi”, ha dichiarato Andrew Gardner, ricercatore di Amnesty International sulla Turchia.
“Dipinte come ‘terroristi’ e private delle loro fonti di reddito, molte persone in Turchia non possono più proseguire la loro carriera professionale e non riescono a trovare un impiego alternativo”, ha aggiunto Gardner.
Il rapporto, basato su 61 interviste svolte ad Ankara, Diyarbak e Istanbul rivela che in quello che una volta era un ambito professionale sicuro, i lavoratori stanno affrontando una situazione tremenda senza possibilità di porvi rimedio. Le persone intervistate hanno raccontato che, in assenza di altri mezzi di sostentamento come la pensione, sono costrette a sacrificare tutti i loro risparmi, a fare affidamento su amici e familiari, a cercare un lavoro irregolare o a contare su piccoli contributi di solidarietà da parte dei sindacati.
A molti dei lavoratori licenziati è vietato svolgere in regime privato una professione regolamentata dallo stato, come l’insegnamento e l’avvocatura. Allo stesso modo, i poliziotti e i soldati licenziati non possono ottenere impieghi simili nel settore privato. I pohi che possono farlo, come gli operatori sanitari, fanno fatica a trovare un lavoro, soprattutto uno analogo per posizione e salario a quello precedente.
Le autorità hanno annullato il passaporto ai lavoratori licenziati, precludendo loro le possibilità di cercare lavoro all’estero e restringendo così ulteriormente le loro opportunità d’impiego.
Anche se alcuni dei licenziamenti, come ad esempio quelli dei soldati che hanno preso parte al tentativo di colpo di stato, possono essere giustificati, l’assenza di criteri rigorosi e di prove di singoli comportamenti illeciti getta un’ombra sulle dichiarazioni ufficiali circa la necessità dei licenziamenti per conrastare il terrorismo. Al contrario, le prove a disposizione suggeriscono che dietro alla purga si celino motivi discriminatori e arbitrari.
“Se vogliono farti fuori dalle istituzioni, basta dire che sei un gülenista”, ha dichiarato un ex funzionario governativo.
La dimensione pubblica della vicenda ha reso le cose ancora più difficili alle persone licenziate:
“Prima ero considerato un eroe, adesso sono un terrorista e un traditore”, ha dichiarato un soldato che si trovava nella parte opposta della Turchia nelle ore del tentato colpo di stato.
“Mio figlio non vuole più andare a scuola, gli altri alunni lo offendono dicendo che sua madre è una terrorista e una traditrice”, ha raccontato una docente universitaria licenziata nell’agosto 2016.
A nessuna delle persone intervistate da Amnesty International è stata data alcuna spiegazione per il licenziamento, a parte la generica accusa di legami con i gruppi terroristi. Nonostante l’evidente arbitrarietà dei provvedimenti, non esiste alcuna valida procedura d’appello contro i licenziamenti nel pubblico impiego. La commissione incaricata a gennaio di riesaminare i casi manca d’indipendenza e di capacità d’azione efficace e oltretutto non è ancora operativa.
Un piccolo numero di lavoratori licenziati ha intrapreso proteste pubbliche e subisce minacce, arresti e maltrattamenti. Nuriye Gülmen, una docente universitaria, e Semih Özakça, un insegnante, sono in sciopero della fame da 75 giorni.
“Il licenziamento di 100.000 lavoratori assomiglia a un annientamento professionale di massa ed è evidentemente collegato alla più vasta epurazione nei confronti di reali o presunti oppositori politici”, ha commentato Gardner.
“Le autorità devono porre immediatamente fine a questi licenziamenti arbitrari e riassumere tutti quelli che non sono stati responsabili di comportamenti illeciti. Alle persone licenziate dev’essere messa a disposizione una procedura d’appello rapida ed efficace in modo che possano riabilitare il loro nome, ricevere un risarcimento e riprendere le loro carriere”, ha concluso Gardner.
Roma, 22 maggio 2017
Il rapporto intitolato “Nessuna fine in vista: il futuro negato agli impiegati del settore pubblico della Turchia dopo la purga” è online all’indirizzo:
https://www.amnesty.org/en/documents/eur44/6272/2017/en/