L’uomo che barattò il suo secolo con una chiacchierata
di Daniela Pia (*) Il racconto delle stagioni di 101 anni è avvenuto una sera di inizio autunno, in un antico gesto di condivisione del tempo. Due ore ricche di emozioni e sentimenti: 100 anni di vicenda umana che Tziu Giulliu Podda, poeta per diletto e custode del tempo del paese-museo, mi ha regalato. Un tempo, il suo, nel quale si sono intrecciati lavoro, istruzione, cibo e Amore, quello con la maiuscola. Quando sono arrivata a casa sua, nel quartiere di San Giovanni, a San Sperate, l’ho trovato seduto su una piccola seggiola impagliata, appoggiata al muro della sua abitazione, sotto una finestrella fiorita, a leggere «l’Unione Sarda», senza gli occhiali, nonostante l’incerta luce dell’imbrunire. Nato nel 1913 “Tziu” Giulliu ha saputo raccontare spaccati della sua e della nostra storia con grande consapevolezza e generosità, barattando il suo secolo con una chiacchierata. Ha iniziato parlando del lavoro, raccontando di quando era appena un bimbo che seguiva il padre – merciaio ambulante – nei suoi spostamenti verso i paesi vicini dove, a piedi, con appesa in spalla la sua cassettina di fili e bottoni, a malapena riusciva a tenere il passo. Ha raccontato di quando, a 10 anni fu chiamato a lavorare come guardiano di agnelli: un guardiano assai pauroso, che però riuscì a svolgere il suo compito, seppur fra le lacrime. Crescendo ha imparato a fare il calzolaio, poi si è consumato nelle saline, al carico dei sacchi. Dopo il servizio militare ha dedicato le sue forze al lavoro nei campi. Quando gli ho chiesto se avesse frequentato la scuola mi ha risposto che, ai suoi tempi, studiare non era per tutti e lui, comunque, non avrebbe potuto frequentarla. Ricorda di aver imparato a leggere e scrivere grazie ad un sacerdote che prestava la sua opera a San Sperate intorno agli anni ’30: don Mulas, parroco laureato con la passione per il calcio. Un giorno, racconta Tziu Giulliu, alla fine della messa, don Mulas rivolto ai suoi fedeli dice «chi desidera fare scuola serale con me sappia che io la faccio gratis a chi la vuole». Giulio lo volle, fortissimamente. Nel 1932 in sacrestia, dalle 19 alle 23, nove giovani seguirono le lezioni della prima, seconda e terza elementare: non si scherzava bisognava scrivere molto e risolvere problemi «persino di 20 operazioni». L’ anno successivo la classe fu preparata per gli esami e furono promossi tutti quanti a pieni voti. Uomo colto, sensibile e intelligente era il parroco: così lo ricorda Tziu Giulliu che, ancora oggi, provando nei suoi confronti un sentimento di profonda gratitudine. Poter studiare infatti gli ha consentito di emanciparsi e di poter scrivere persino lettere d’ amore, accompagnate da qualche “muttetu” (poesie dialettali) dedicato alla donna della sua vita: Flavia. Gli si illuminano ancora gli occhi a ricordarla. «Era bella – lo sottolinea – e la prima volta che l’ ho vista aveva 16 anni, la guardai, mi guardò timidamente ma non scambiammo una parola. Prima di conoscere lei avevo una ragazza che era di Monastir, eravamo convinti che si saremmo sposati. Io ero intenzionato a farlo prima di compiere 25 anni perché non volevo pagare la tassa di 35 lire che veniva imposta ai celibi durante il fascismo. Non era poco, se si pensa che certi braccianti venivano retribuiti 5 lire a giornata. La storia però finì, lei andò a lavorare a Spoleto e non se ne fece nulla. Flavia mi tornava continuamente in mente e l’8 settembre del 1936 trovai il coraggio di scriverle una lettera per dichiarare che ero innamorato e che la volevo. Però il tempo passava e non ricevevo risposta. Allora presi più coraggio e la fermai per strada, le chiesi perché non mi avesse risposto e lei, rossa rossa in faccia, mi rispose che, siccome era ancora minorenne, non avrebbe potuto prendere decisioni da sola. Forse però si era fatta coraggio e ne aveva parlato in casa perché qualche giorno dopo fui invitato a fare la richiesta ufficiale tramite mio padre. Non fu gentile mio padre quando gliene parlai – così continua Tziu Giulliu, rabbuiandosi – e la sua risposta mi ferì perché mi disse che io ero un ragazzo che aveva a malapena una lira e mi stavo prendendo una che non aveva nemmeno quella. Gli risposi che non per danaro la volevo ma per amore. Passò qualche tempo e finalmente, grazie alla intercessione di mia madre e di mia zia, mi disse che il sabato successivo saremo andati a fare la richiesta. Così le comprai un anello d’ oro e glielo misi al dito. Siamo stati sposati 68 anni e abbiamo avuto 9 figli. Otto sono viventi, quattro maschi per me e quattro femmine per lei. E poi il tempo è trascorso, troppo in fretta. Mia moglie se ne è andata. Da quando lei non c’ è più molte cose sono cambiate. Mangio poco, nemmeno più il vino rosso bevo e ne ho anche qualche bottiglia in casa; non ho bisogno di niente, anzi cucino io per mio figlio che vive a casa. Faccio qualche commissione per i vicini e, scherza scherza, fra mattina e sera mi faccio, quasi otto chilometri con la mia Graziella. “Gge non mi sono arreso”. Anzi, ho festeggiato i 100 anni con una pedalata insieme a tutto il paese. Io ero in prima fila, mi vogliono tutti bene, Pinuccio Sciola per i cento anni mi ha regalato un disegno con la dedica e ce l’ ho appeso in cucina sopra il camino, il paese mi fatto una grande festa. Per la manifestazione di Cuncambias (baratto) mi chiamano per fare il servizio fotografico, che già lo sai che sono la mascotte. Mi sono vestito di bandito del Far West, di quelli che rapinano le banche; ho anche corteggiato la cassiera della banca – per ischerzo mih – ma era solo per il film; poi mi sono vestito da re Artù, da bambino di scuola con il grembiule, da marinaio. Quest’anno per pubblicizzare la manifestazione ho incontrato anche Gigi Riva che mi ha messo l’autografo nella foto mia personale, quella dell’anno dello scudetto del Cagliari: “al mio amico Giulio” l’ha firmata così. Io gli ho portato in regalo le pesche più belle e le fragole. Lui era contento e anche io ero contento, chè lui è un vero campione. Mah! Cosa vuoi che ti dica il tempo sta passando ma io sono contento, e mi piace anche regalarlo il tempo perché penso sia il dono più grande che possiamo fare a qualcuno: perché gli regali un pezzo della tua vita che non ti ritornerà mai indietro ma già ti tornano indietro la stima e le attenzioni del prossimo». Così si è conclusa la chiacchierata: il tempo è volato e si è fatto tardi ma prima di andar via, questo nonno molto speciale ha voluto mostrarmi alcune foto. Di quelle color seppia, custodite in cornici invecchiate, che lo ritraevano, sempre giovane, con la sua Flavia; foto capaci di fermare il tempo: l’unica risorsa che non si può acquistare o vendere. Conversare con lui è stato per me un dono prezioso, di quelli che suggeriscono di provare a trascorrere, senza frenesia i giorni, per diventare capaci di riconoscerli, contarli e raccontarli, fra le pieghe del tempo. (grazie ad Annamaria Marcello) (*) Dal 17 al 23 novembre c’è la sesta edizione della «Settimana del Baratto» ( digitate “La settimana del baratto” e troverete altre notizie). La piccola redazione del blog aveva pensato di postare 7 storie sul baratto. Strada facendo si sono ridotte a 3: abbiamo iniziato ieri con la vignetta di Energu; oggi questa bella vicenda “centenaria”; domani David Lifodi chiude la “mini serie”. Ma se chi passa da codesto blog ha qualcosa da proporci…. evviva.