Ma gli Jago esistono per davvero?
ed è veramente esistito uno Jago?
Di Mauro Antonio Miglieruolo
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Forse non è esistito, dal punto di vista storico, il personaggio effettivamente rappresentato da Shakesperare, ma gli Jago di quel tipo esistono e prosperano in mezzo a noi, non dubitate. Ne sono testimone.
Non parlo di Jago simbolici rappresentativi dei tanti umani difetti e specificamente della tendenza a calunniare, unita all’altra deliziosa e maligna tendenza a ingannare. Parlo proprio di persone che sembrano la copia conforme del capostipite, seminatori di discordia per vocazione; essendo per altro a loro volta vittime di una altrettanto specifica, violenta libidine, la libidine di godere dei guai degli altri: anzi, di provocare, con i propri atti, guai al prossimo. Non, dunque, (sul tema non mi sazierei mai di ulteriormente specificare) uno di quelli che lo fanno per “sport”, o lo fanno perché sono bravi in quel mestiere e non hanno niente altro da fare; ma perché è propria della loro natura farlo: perché dà loro soddisfazione, li riempie di felicità.
Molti anni fa, al tempo di una ancora fiorente gioventù, quando la vita era progetto incognito e le speranze fiorivano come prati in primavera, ne ho conosciuto uno di questi bei tomi. Uno che, prima di vederlo all’opera, lo si sarebbe volentieri accettato come ideale vicino di scrivania, e ottima prima scelta per le pause caffè, nonché ideale confinante di pianerottolo. Cordiale, simpatico, sapeva come metterti a tuo agio, come divertire e come sembrare innocuo. Ma innocuo non era. Al contrario, una vera serpe. Per lui la vita acquisiva senso quando riusciva a mettere le persone l’una contro l’altra armata. Guai a chi aveva la ventura di incrociare il suo cammino; o di entrare a far parte dello stesso reparto: doveva necessariamente adattarsi a pagare dazio!
La tattica che adoperava era semplice. Semplice e infallibile. Non soltanto perché collaudata e affinata in decenni di perseverante applicazione, ma perché sostenuta da un talento che non esito a definire notevole (dico notevole per non dire ammirevole). Mi avevano messo per tempo in guardia contro di lui, ma ci sarei cascato come tutti non fosse stato per aver avuto modo di assistere per tempo al sacrificio di alcune sue vittime.
Il Signor J. (già dall’iniziale del cognome si nota la consonanza con il personaggio Shakespereano) procedeva con la cautela e l’accortezza dei grandi strateghi. Sceglieva con cura la vittima. La sceglieva credula se riusciva a trovarne una credula; altrimenti gli bastava fosse nuova dell’ambiente e quindi non resa avvertita dai precedenti. L’ignaro Cassio di turno veniva blandito, elogiato, gli si faceva mostra di grande considerazione e amicizia, lo si intratteneva con storie divertenti e piccole insinuazioni, che potevano sembrare casuali, su questo o quell’altro assente, ma che miravano, sollecitate dall’allegria del momento e dalla leggerezza del tono, a strappare al poveretto qualche analogo contro commento. Quando questo succedeva e prima o poi era inevitabile succedesse (con l’insinuante personaggio a far da cava-commento), il tizio era perduto. La frase, o l’epiteto, venivano immediatamente riportati a chi di dovere; e riportati condendoli (ma a volte, considerata la gravità del contro commento non ce n’era neppure bisogno) da apparentemente sincere espressioni di sdegno e sotterranei inviti alla necessità della ritorsione. Aggiungo che il meglio dei suoi “relata” lo otteneva quando poteva farsi avallare da testimoni, dei quali riusciva spesso a procurarsi la presenza. Interpellati, questi secondi poveretti, non potevano far altro che ammettere che sì, quella determinata frase o quello specifico insulto erano stati effettivamente pronunciati. Inevitabile a quel punto che il furore dell’innocente coinvolto e ferito esprimesse altrettanto incauto commentare.
A quel punto il Signor J. trionfava. L’impresa sua non doveva più essere gran che spinta, possedendo già i connotati dell’inevitabile. Non doveva far altro che far la spola tra i due NON contendenti scagliati a forza nell’arena, continuando in quella sua atroce beffa di istigazioni, con sempre più forte materiale con le quali farle procedere. E continuava e continuava e continuava finché tra i due, accumulandosi il rancore, alla prima occasione finiva con l’esplodere nei giochi pirotecnici di una lite di quelle serie da “tenetemi, altrimenti non si sa cosa sono capace di fare”.
In una di queste volte, forse la più arrischiata, vidi un tipo tarchiato, karateka di quelli buoni, cintura nera e non so che altro, un tizio innocuo, buono come un pezzo di pane, ma che era stato portato a tali vertici di furore che era impossibile riuscisse a controllarsi. Questo tizio si mise a dare in balzi inconsulti su e giù sulle stesse mattonelle, ululando, “chi è!? Dov’è? Lo ammazzo! Io l’ammazzo!”. E poiché l’interessato, per altro una vera carogna, per fortuna sua e di noi tutti era lontano, che altrimenti avremmo assistito a uno spettacolo ben poco piacevole; si sfogò su una fila di sette (dico sette, come quello dell’ammazza sette) faldoni strapieni, pesanti alcuni chili ognuno, che colpì con un colpo netto del taglio della mano. Sotto i nostri occhi increduli e spaventati (il Signor D’Orazio, rispettabilissima persona, se interpellato, potrebbe fornire in merito ampia testimonianza) partirono a razzo per andarsi a spiaccicare sul muro posto a un metro e mezzo circa di distanza (constatammo poi che sull’intonaco si impresso il colore del faldone: brivido nostro alla constatazione). Se quel giorno non ci furono vittime fu per merito esclusivo del destino, che aveva capricciosamente deciso altrimenti.
Mister Jago, inserendo nelle vicende certi suoi splendidi “a parte” molto teatrali, in genere se la rideva osservando da lontano (non in quell’occasione, saggiamente convinto di doversene stare molto, ma molto lontano). E mi capitò una volta di ammirare, un po’ atterrito, il suo orribile ghigno di contentezza. Per cui, dopo averlo udito commentare: “ma quanto sono fessi!”, non sapendomi trattenere a mia volta commentai: “Sei sicuro di non essere tu il più fesso?”
Può essere non lo fosse. Il più fesso. Sicuramente era il meno raccomandabile tra gli individui poco raccomandabili che, da sempre, ho avuto modo di avvicinare.